Sono per natura troppo razionale per prestare fede a tutte quelle storielle che ci hanno raccontato sin da piccoli, ancor meno a quelle instillate dalla nostra Chiesa e ai suoi dogmi. Una mente razionale dovrebbe saper riconoscere un qualsivoglia costrutto, per quanto antico o rivestito di autorità.
Ho sempre pensato che gli unici fantasmi degni di fiducia siano i ricordi, siano essi vividi o sbiaditi, fedeli o abbelliti dal tempo. Tutto il resto, tutto ciò che viene descritto come ombre parlanti nelle notti insonni, resurrezioni, apparizioni, voci provenienti da un immaginario altrove, presenze sacre o anche demoniache, non sono altro che il prodotto della mente... sì, una mente capace di meraviglie, ma anche di incubi, per un motivo semplice e profondo: l’incapacità di accettare il vuoto!
Quando una persona se ne va, il mondo sembra fermarsi per un istante, per poi riprendere il suo corso, indifferente. Dentro di noi, invece, qualcosa si incrina e si ribella a quella legge naturale, a quella fine che si presenta con una definitività così assoluta. Ed è allora che vediamo persone cercare un dialogo con chi non c’è più, e credo lo facciano con la più pura e struggente sincerità. Non c’è inganno in quel desiderio, solo un amore che rifiuta radicalmente il concetto stesso di addio.
Ma se ascoltassero con attenzione, la voce che risponde è sempre la loro. Se qualcosa sembra materializzarsi nell’aria, è il loro cuore a scolpirne la forma, con la precisione struggente di un artista che ritrae un volto amato per l’ultima volta. Già... è la mente, accecata dalla mancanza, a plasmare un’immagine così potente da sembrare tangibile. Il dolore, si sa, possiede una forza creativa immensa.
Può costruire mondi paralleli in cui l’incontro è ancora possibile, può far vibrare l’aria di una presenza, trasformare un sospiro del vento in una voce familiare, un soffio in una parola riconoscibile. Sopportare la definitività di una partenza è a volte un compito troppo grande per l’anima umana.
Ed è allora che essa, pur di non rimanere per sempre esiliata, costruisce un ponte, anche se illusorio. In questo senso, chi se ne è andato non scompare mai del tutto, continua a esistere, non in un aldilà nebuloso, ma nello spazio sterminato e intimo di chi lo ricorda.
La mente di una sola persona, quando è animata dalla memoria, diventa un universo più vasto di quello che contiene le stelle. Può custodire voci, risate, sguardi, può rivivere interi pomeriggi dimenticati dal tempo oggettivo, in quello spazio, non valgono le leggi della fisica, ma solo le leggi dell’amore.
Ed è qui, credo, che si cela il messaggio più importante. La vita ci presenta sempre il suo conto ineluttabile, che si chiama fine. Razionalmente, sappiamo che dopo non resta nulla di ciò che siamo o possediamo, eppure, continuiamo a costruire ricordi, a lottare perché un nome non venga dimenticato, a credere che un legame possa sopravvivere alla morte della carne.
Volete sapere perché? Perché alla fine, ciò che continua a esistere non è un fatto, ma un atto di fede. È la nostra personale, irriducibile motivazione a scegliere che qualcosa, o qualcuno, non debba finire.
Accettiamo la fine con la ragione, ma la ribelliamo con il cuore. Sappiamo bene che probabilmente non c'è nulla dopo l'ultimo respiro, eppure ci aggrappiamo con tutte le nostre forze all’idea che ci sia qualcosa dopo l'ultimo abbraccio. Quel qualcosa è il ricordo, tenace, testardo, che si rifiuta di dissolversi.
È la nostra unica, personale vittoria, fragile e profondamente umana, contro la fugacità del tutto.
