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martedì 2 dicembre 2025

Al Mannar e Leone XIV: disarmare i cuori, prima delle armi.

Ho ascoltato alcuni giorni fa un video dell’Imam Al Mannar, sì... mentre stavo facendo colazione, con la luce dell'alba che iniziava a filtrare tra le persiane di casa.

Non era programmato, mi è comparso così, già... come capita ormai a tanti tra voi, mentre scorriamo un video su Tik Tok, eppure quel messaggio, quelle parole mi hanno colpito, non per la forza del tono, anzi era pacato, quasi sussurrato, ma esplicitamente chiaro: una chiarezza che non accusa, non assolve, ma chiama.

E poi, di lì a poco, ecco giungere dal Libano le parole di Papa Leone XIV che - in un qualche modo - hanno fatto eco all'Imam, come se due voci così distanti e in contesti diversi, stessero leggendo dalla stessa pagina, quella dove si parla non di nemici da sconfiggere, ma di cuori da disarmare. 

Da quanto sopra è nata stasera questa mia riflessione: non un trattato, non una presa di posizione, ma solo un tentativo di mettere in fila pensieri che, da troppo tempo bussano alla porta, sì... senza chiedere permesso.

Perché c’è un momento, in cui il pensiero vacilla, non per cattiveria, ma per abitudine, sì... l’abitudine a lasciar parlare prima la paura che la ragione, un fatto di cronaca che influenza negativamente, ed è in quel momento che nasce spontanea la domanda: l’italiano è razzista?

Non è una provocazione, è il grido di chi si sente guardato con diffidenza, non per ciò che ha fatto, ma per ciò che altri hanno fatto al posto suo. E l’Imam Al Mannar, nel suo video - https://www.tiktok.com/@al.manar.official/video/7560042529333333270?_r=1&_t=ZN-91lsSvBtDT4 - non elude la domanda, non la avvolge in formule diplomatiche, né scarica la colpa su chi ora viene visto come un nemico, ma risponde con una lucidità disarmante: non cercate la causa della discriminazione negli italiani, ma guardate prima tra voi. Sembra di riascoltare la frase pronunciata da Gesù, tratta dal Vangelo di Giovanni: "chi è senza peccato, scagli la prima pietra".

Non per giustificare il pregiudizio, ma per riconoscere una verità scomoda: che la dignità di una fede, di una comunità, di un popolo, non si difende con le lamentele, ma con l’esemplarità quotidiana, perché quando qualcuno, pur dicendosi musulmano, cristiano, ebreo, cittadino del mondo, si comporta con arroganza, menzogna o violenza, non sta solo tradendo se stesso, ma tutta l'intera comunità che rappresenta. 

E allora viene spontaneo chiedersi: ma davvero è così difficile capire che l’integrazione non comincia con la richiesta di essere accolti, ma con la scelta di meritare l'accoglienza? Che non basta dire io sono per bene se intorno a noi qualcuno, con lo stesso nome, lo stesso libro sacro, lo stesso volto, agisce in modo da rendere sospetto quel nome, quel libro, quel volto? 

La coerenza non è un lusso spirituale, è una responsabilità civile. Essere puntuali, lavorare onestamente, rispettare le regole sociali, pagare gli affitti, non occupare gli spazi comuni con prepotenza e soprattutto non vendere stupefacenti, non far parte della criminalità organizzata, non imporre la propria voce quando si discute, salutare sempre chi ci abita accanto, questi non sono gesti secondari: sono i mattoni invisibili di una fiducia che, una volta spezzata, non si ricompone con discorsi, ma solo con anni di pazienza e di condotta irreprensibile.

Eppure, quanti silenzi compiacenti coprono chi offende la convivenza in nome di un’appartenenza che non merita? Quante volte preferiamo difendere un’apparenza piuttosto che un principio?

Ed è proprio da qui - da questa presa di coscienza personale - che risuona altrettanto forte l’appello di questi giorni di Papa Leone XIV rivolto al Libano, ma che va ben oltre i confini di una terra: “Tutti devono unire gli sforzi perché questa terra possa ritornare al suo splendore. E abbiamo un solo modo per farlo: disarmiamo i nostri cuori”. Non parla di trattati, non invoca sanzioni—parla di un gesto interiore, radicale: disarmare. Deporre le armi nascoste—quelle del sospetto sistematico, della chiusura etnica, dell’identità costruita per esclusione. E aggiunge: “facciamo cadere le corazze delle nostre chiusure etniche e politiche, apriamo le nostre confessioni religiose all’incontro reciproco”. Non basta convivere—bisogna incontrarsi, cioè riconoscere nell’altro non una minaccia da contenere, ma una persona da ascoltare, anche quando la sua preghiera ha parole diverse dalle nostre. Perché la vera fede non teme il confronto—al contrario, lo cerca, sapendo che la verità non si possiede, si condivide.

E allora ecco ricordare il sogno di Isaia - il lupo con l’agnello, il leopardo accanto al capretto, smette di essere una metafora lontana per diventare un invito concreto: non perché gli animali perdano la loro natura, ma perché scelgano, ogni giorno, di non usarla per distruggere. Il lupo ha fame, sì... ma decide di non mangiare. Il leopardo è forte, sì... ma usa la forza per proteggere, non per dominare. Così siamo noi: capaci di chiusura, certo...ma anche capaci di aprirci, se qualcuno ci mostra che la porta non è sigillata. 

E quando un giovane, in Italia o in Libano, in un quartiere o in un campo profughi, chiede: perché mi guardano con diffidenza? La risposta più onesta non è loro hanno torto, ma noi dobbiamo fare di più. Perché la pace non è l’assenza di guerra, è la presenza ostinata della giustizia, della coerenza, del rispetto vissuto fino all’ultimo dettaglio.

Allora forse la vera rivoluzione non è gridare contro l’ingiustizia, è vivere in modo tale che l’ingiustizia non trovi appigli. È sapere che, ogni volta che scegliamo di essere onesti anche quando nessuno ci vede, precisi anche quando non serve, gentili anche quando siamo stanchi, non stiamo solo facendo il nostro dovere, stiamo disinnescando una bomba, una parola d’odio, un gesto di esclusione.

Ed è proprio in quel momento, senza fanfare, senza telecamere, senza likes, stiamo costruendo quel Libano possibile, quella città possibile, quel mondo possibile, dove tutti, finalmente, possano riconoscersi non come nemici da tollerare, ma come fratelli da custodire.

Trovate la pagina dell'Immam Al Manar (con un'interessante didascalia: aiutateci a far vedere il vero islam) al seguente link: al.manar.official

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