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venerdì 24 gennaio 2025

La complicità dello Stato: un'illusoria lotta alla criminalità organizzata.

Stasera voglio riprendere un mio vecchio post del 2013. Sono passati 12 anni, ma nulla è cambiato. Anzi, molte cose sono peggiorate, forse troppe…
 
"Lotta alla criminalità". Quante volte abbiamo sentito questa espressione? Eppure, più che una lotta, sembra un’operazione cosmetica, utile a decorare discorsi preconfezionati durante campagne elettorali o celebrazioni ufficiali. Dietro queste parole non c’è la sicurezza dei cittadini, ma un teatrino politico in cui l’interesse reale è tutt’altro.

Ogni giorno, i notiziari riportano rapine, violenze, spaccio, estorsioni e altri crimini che, anziché diminuire, si moltiplicano. E lo Stato? Dove si trova quando la criminalità si evolve e cresce sotto i nostri occhi?

Si dice di non generalizzare, che lo Stato è presente e combatte. Ma i fatti dimostrano il contrario: le azioni si limitano a interventi sporadici, a operazioni dal forte impatto mediatico ma prive di un vero seguito. Nel frattempo, la criminalità si riorganizza, si insinua nei settori economici e istituzionali, trasformando il malaffare in sistema.

Dopo le stragi e le grandi operazioni di facciata, la lotta alla criminalità si è trasformata in compromesso. Non c’è prevenzione, non c’è visione strategica. L’impegno dello Stato sembra più mirato a gestire che a estirpare il problema, lasciando spazio a un sistema che ormai si nutre di collusioni, connivenze e silenzi.

Cosa serve davvero? Un sistema che prevenga il crimine prima che si manifesti? Un impegno reale nel sostenere le famiglie disagiate, educare i giovani, creare opportunità di lavoro? Pene certe, giuste e celeri, senza vie di fuga per i criminali?

Ma tutto questo rimane un miraggio, perché è qui che emerge la vera sconfitta dello Stato. La criminalità organizzata non è solo tollerata: in molti casi, è protetta. Esistono figure istituzionali che, dietro una maschera di rispettabilità, lavorano attivamente per mantenere intatto il sistema. Non per incapacità, ma per volontà.

Il punto più infame è proprio questo: lo Stato che dovrebbe combattere il crimine ne è spesso complice. Non solo con le sue omissioni, ma con le sue azioni. Chi è chiamato a rappresentare la legalità si piega a interessi privati, trasformando le istituzioni in strumenti di potere al servizio di pochi.

Il contrasto alla criminalità organizzata non è una priorità, ma una farsa. Perché cambiare lo status quo significherebbe colpire quegli stessi interessi che alimentano carriere politiche e arricchiscono chi, in teoria, dovrebbe difenderci. Fino a quando questo sistema resterà intoccabile, ogni discorso sulla lotta al crimine sarà solo una recita ben orchestrata.

Ed è questo il vero tradimento dello Stato verso i suoi cittadini: aver abdicato al suo ruolo di garante della giustizia, scegliendo di convivere con il male invece di combatterlo.

giovedì 23 gennaio 2025

Come è possibile che ancora oggi, nel 2025, si continuino a commettere reati come quelli che sto per descrivere?

Mi chiedo se sia normale trovarsi ad ascoltare inchieste giudiziarie che rivelano sempre gli stessi scenari: militari dei comandi provinciali della Guardia di Finanza che, attraverso indagini accurate, portano alla luce un inquietante panorama fatto di emissioni di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazioni omesse e mancati versamenti dell'IVA.

Sono meccanismi complessi, messi in atto con l'intento di produrre fatture false per decine e decine di milioni di euro, utilizzate poi per evadere imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Un modus operandi consolidato, che sembra ripetersi quasi come una prassi.

E così, a fatti compiuti e con il denaro ormai volatilizzato, si procede con sequestri preventivi e confische, mentre si effettuano arresti di quegli "imprenditori" – o meglio, "prenditori" – che per anni hanno costruito un sistema basato su violazioni fiscali. Al momento opportuno, queste stesse persone riescono a ottenere la chiusura d'ufficio delle società coinvolte, sottraendosi così ulteriormente alle proprie responsabilità.

Certamente, l'obiettivo dello Stato è recuperare quanto più possibile le somme illecitamente sottratte e smantellare gli schemi fraudolenti, ma la realtà ci mostra un sistema di controllo e garanzia che spesso si rivela inefficace.

E quando a questo si aggiunge l’ulteriore beffa di incaricare "Amministratori giudiziari" che, durante il loro mandato, commettono a loro volta atti fraudolenti o comunque infedeli – come raccontano le cronache di questi giorni – viene naturale pensare che il problema non sia circoscritto a pochi casi isolati. Si tratta di un sistema profondamente malato, che sembra resistere a ogni tentativo di cambiamento.

Ma perché? C’è forse una volontà latente di mantenere le cose come stanno? Un equilibrio che avvantaggia sia chi froda il sistema sia chi, in teoria, dovrebbe vigilare, ma si accontenta di raccogliere i frutti di incarichi ispettivi ben retribuiti?

Siamo di fronte a un "cane che si morde la coda", dove chi dovrebbe rappresentare la giustizia e la legalità finisce per alimentare lo stesso sistema che dovrebbe combattere.

Se non si interviene con una revisione radicale delle procedure, dei controlli e delle responsabilità, il rischio è che questo ciclo di frodi, indagini e inadempienze continui senza fine. Serve un sistema che non solo sanzioni, ma soprattutto prevenga. Un sistema che metta al centro trasparenza, tecnologia e meritocrazia, capace di smantellare le reti di complicità e corruzione.

Eppure, resta un dubbio amaro: si vuole davvero cambiare o tutto questo serve a garantire il perpetuarsi di un sistema che, in fondo, fa comodo a troppi?

Se continuiamo a tollerare questa situazione, non sarà solo lo Stato a perdere; saremo tutti noi, cittadini onesti, a pagare il prezzo più alto!!!

mercoledì 22 gennaio 2025

Criminalità giovanile: un futuro diverso è possibile se diamo ai giovani una vera alternativa.

Basta leggere qualsiasi studio sul fenomeno della criminalità per capire come i giovani siano i più vulnerabili a scivolare nell'illegalità. 

Le statistiche parlano chiaro: la delinquenza è più diffusa tra i giovani e raggiunge il picco tra i 20 e i 25 anni, per poi diminuire gradualmente con l'età. 

Questa tendenza evidenzia come l’attività criminale inizi spesso precocemente, alimentata dall’immaturità, dall’inesperienza e dalla difficoltà nel riconoscere i pericoli, inclusi i soggetti che spingono verso il malaffare.

I giovani, in questa fase della vita, sono più inclini a comportamenti impulsivi, ribelli e meno conformisti. 

Questi fattori, insieme a una maturità sociale non ancora pienamente sviluppata, contribuiscono a renderli più esposti alle attività illecite. Ed è proprio per questo che è essenziale intervenire: sostenere i ragazzi nel loro percorso di crescita psicologica e sociale è la chiave per allontanarli dalle lusinghe della criminalità.

Osservando in questi lunghi anni il mondo lavorativo posso affermare, senza alcuna incertezza, che i giovani coinvolti in attività criminali svolgano ruoli marginali, spesso i più rischiosi e facilmente identificabili, come furti o rapine. 

Al contrario, le attività criminali più sofisticate, come quelle nel mondo economico o ai vertici delle organizzazioni mafiose, sono riservate a chi ha raggiunto una posizione consolidata con l'età. Questo scenario rende ancora più urgente offrire ai giovani opportunità alternative che possano dare loro un senso di appartenenza e realizzazione senza dover ricorrere al crimine.

Laddove la disoccupazione e l'esclusione sociale sono più forti, l’adesione a una “cosca” spesso appare come l'unica via per ottenere promozione sociale e affermazione personale.

E allora, cosa possiamo fare? Lo Stato ha il dovere di offrire ai ragazzi percorsi di formazione, lavoro e crescita che li aiutino a dire “NO” alla criminalità, anche in contesti difficili. Dare loro una vera alternativa significa sottrarli alla morsa della criminalità organizzata, offrendo un futuro migliore non solo a loro, ma anche alla nostra società.

Se vogliamo davvero contrastare la criminalità giovanile, dobbiamo smettere con le chiacchiere sterili e investire seriamente in programmi che mettano i giovani al centro, perché ogni ragazzo salvato dal crimine è un passo verso una società più giusta e sicura per tutti.

martedì 21 gennaio 2025

Non solo imprese mafiose: Le nuove frontiere del crimine.

Già... esistono imprese che, pur potendo essere definite "criminali" per le modalità con cui estendono le loro ramificazioni illecite, operano al di fuori della tradizionale criminalità organizzata. 

I loro referenti infatti si trovano a un livello talmente alto che perfino i capi di quelle organizzazioni mafiose spesso ignorano la loro esistenza.

Parliamo di soggetti dotati di alta professionalità e competenze specialistiche, rappresentano una classe completamente diversa. Molti di loro vantano titoli accademici eccellenti, conseguiti in prestigiose università, e si distinguono nettamente dalla manovalanza che solitamente appare nelle cronache di nera.

Sono geni del male: informatici, bancari, broker, esperti d'arte, professionisti nel settore commerciale, amministrativo e legale. Creano e gestiscono imprese artificiose, spesso multinazionali, che operano con criteri manageriali e si dedicano ad attività illecite in base alle richieste del mercato. Non appartengono alle associazioni di tipo mafioso, così come definite dal codice penale, ma sviluppano strategie sofisticate per infiltrarsi nelle stanze del potere, quelle in cui si prendono decisioni strategiche.

A differenza delle organizzazioni mafiose, che si caratterizzano per traffici illeciti accompagnati da violenza e azioni delittuose, queste imprese criminali sfruttano la tecnologia avanzata, utilizzano intermediari e sistemi di pagamento criptati, manipolano i mercati finanziari tradizionali e alternativi. Non hanno bisogno di sporcarsi le mani: la loro forza risiede nella capacità di muovere risorse e influenze senza lasciare tracce.

Questi professionisti hanno creato un sistema finanziario parallelo, connesso alla finanza tradizionale ma separato da essa, progettato per ottenere guadagni speculativi enormi. 

Ad esempio, manipolano il prezzo di un bene, lo gonfiano artificialmente, e lo vendono a un prezzo maggiorato, generando plusvalenze che appaiono legali. Tutto avviene in forma digitale: beni immateriali trasferiti da una parte all'altra del mondo senza la necessità di movimentare merci fisiche o attraversare confini.

Le loro operazioni sono estremamente difficili da individuare e perseguire. Anche quando un raggiro viene scoperto e denunciato, il denaro trafugato è già stato trasferito in paradisi fiscali, al riparo da qualsiasi azione legale. Non devono preoccuparsi delle distanze geografiche o del rischio di attraversare confini pericolosi; tutto si svolge comodamente dietro lo schermo di un computer.

Questi imprenditori criminali rappresentano una nuova frontiera del crimine, dove tecnologia e finanza si intrecciano in modo inestricabile. Hanno strumenti all'avanguardia che permettono loro non solo di eludere le leggi, ma di anticipare le contromisure degli investigatori, rendendo le loro attività quasi impossibili da tracciare. Si muovono in un’area grigia, sfruttando lacune normative e connessioni globali.

Ecco il vero volto di queste imprese: non è la ferocia, ma la capacità di manipolare sistemi complessi, influenzare i mercati e infiltrarsi nei gangli vitali dell'economia globale. Il loro obiettivo non è solo arricchirsi, ma esercitare un controllo silenzioso, quasi invisibile, che rende il mondo un po' più vulnerabile e insicuro.

Forse è arrivato il momento di guardare oltre i confini del crimine tradizionale e di riconoscere che il vero potere si nasconde spesso dove meno ce lo aspettiamo: nelle pieghe di un sistema apparentemente legittimo, orchestrato da menti brillanti al servizio del profitto illecito.


lunedì 20 gennaio 2025

Sindaco Trantino, basta rattoppi! Mi consenta una soluzione definitiva per tutte queste nostre buche stradali.

In questi giorni ho notato alcune squadre di operai impegnate a riparare le numerose buche che hanno devastato l’asfalto di molte strade cittadine. 

Come spesso accade, queste riparazioni vengono giustificate attribuendo la colpa al maltempo e soprattutto alle forti piogge, già... come quelle che recentemente hanno colpito la nostra isola e in particolare la città di Catania.

Sindaco Trantino, mi consenta di sottolineare come il problema non risiede negli eventi climatici imprevedibili, anche se questi hanno di per sé una loro responsabilità, bensì ad una manutenzione stradale inadeguata e, purtroppo, in interventi di riparazione che durano appena il tempo di qualche passaggio di veicoli.

Sappiamo tutti come il materiale utilizzato per queste riparazioni, chiamato "asfalto a freddo", viene solitamente impiegato per riempire buche in zone già asfaltate o per ripristinare piccole superfici, evitando così di rifare l’intero processo di asfaltatura, ma se pur negli ultimi anni questo prodotto sia stato di gran lunga migliorato grazie all'inserimento nel composto di elementi innovativi, lo stesso risulta ahimè essere non particolarmente resistente e ancor meno durevole, rendendo il più delle volte, quelle operazioni di manutenzione, uno spreco di tempo, manodopera e soprattutto denaro.

E il denaro, anche se è pubblico e quindi non direttamente percepito come un problema da chi lo gestisce, viene comunque da noi cittadini, che meriterebbero quantomeno una gestione più oculata e professionale. 

Ed è quindi con questo spirito che vorrei offrire un consiglio pratico per migliorare la qualità e soprattutto la durata degli interventi di manutenzione stradale.

Suggerisco di considerare l’acquisto di un’attrezzatura chiamata "Thermobox": un container termico per asfalto dotato di coclea di scarico, che mantiene caldo e quindi facilmente lavorabile l’asfalto prodotto a caldo (non quello a freddo) dai moderni impianti di conglomerato bituminoso. 

Questa tecnologia consente di garantire una distribuzione ottimale del calore all’interno del container, grazie a un bruciatore che si attiva automaticamente quando la temperatura scende sotto un valore predefinito (solitamente tra 140° e 160°). Al suo interno, una tramoggia a “V” permette all’asfalto di convergere verso il fondo per essere distribuito con precisione sulla superficie da riparare.

L’acquisto di un Thermobox rappresenta non solo un investimento contenuto per le casse comunali, ma garantirebbe interventi di manutenzione di gran lunga più durevoli rispetto a quelli attuali, riducendo il numero di riparazioni necessarie e migliorando la sicurezza stradale. 

Difatti, realizzare riparazioni a caldo significa assicurare una qualità che può durare anni, a differenza delle soluzioni temporanee che dopo poche ore vengono compromesse, come purtroppo si è già verificato.

Sig. Sindaco, concludo augurandomi che questo suggerimento possa essere preso in considerazione, nella speranza di vedere presto una squadra ben organizzata, composta da pochi elementi (solitamente cinque), dotata di questa attrezzatura efficiente, impegnati a risolvere in modo definitivo uno dei problemi più evidenti della nostra città.  

Grazie quindi per l’attenzione e per l’impegno che vorrà dedicare a questo post, perché vede, non si tratta solo di risparmiare denaro, ma di restituire ai cittadini strade più sicure e di dimostrare una gestione più responsabile delle risorse pubbliche.

 

domenica 19 gennaio 2025

Sfogliare prima di acquistare: il trucco per amare i tuoi libri.

Acquistare un libro senza conoscere l'autore non è facile, anzi, si rischia, per eccesso di curiosità, di non vedere accendersi in noi quella luce, già... quel necessario entusiasmo. 

Molto spesso infatti accade il contrario. Quei titoli finiscono per risultare sterili, pesanti nella lettura, con un inevitabile spreco di soldi.

Ecco perché ritengo fondamentale avere sempre un assaggio dello stile di un autore prima di impegnarsi in un acquisto, soprattutto quando si tratta di libri su argomenti impegnativi o poco familiari. Uno stile poco coinvolgente, infatti, può far sembrare il libro un investimento sprecato.

Si può provare a cercare estratti gratuiti su piattaforme come Google Play Libri, Amazon o persino sul sito dell'editore. Questi strumenti spesso offrono un'anteprima del contenuto, permettendo di capire se il modo di scrivere dell'autore risuona positivamente. 

Tuttavia, non sempre è possibile trovare un'anteprima. In questi casi, si tenta di cercare sul web un estratto del libro o almeno una recensione che possa dare un'idea più chiara dello stile dell'autore. Purtroppo, il più delle volte quanto cerchiamo non è disponibile online..

Altre volte, ci imbattiamo in contenuti concepiti per propagandare il libro o l'autore. Informazioni che non rappresentano una lettura diretta di un estratto e che, spesso, non riescono nemmeno a trasmettere un'idea chiara dello stile o dei temi trattati.

È così che ci rendiamo conto di come molti giudizi siano pensati più per promuovere l'opera che per fornire una reale analisi. Capita difatti che chi scrive una recensione non abbia nemmeno letto il libro, limitandosi a rielaborare informazioni fornite dall'editore o dall'ufficio stampa. Questo è un fenomeno purtroppo comune, non solo nel nostro paese e non solo in ambito letterario...

Viviamo ahimè in una società in cui spesso si privilegia l'apparenza rispetto alla sostanza. Questo crea inevitabilmente un clima di scetticismo, soprattutto tra coloro che cercano genuinità e autenticità. Ecco perché, quando si vuole un parere sincero, è meglio rivolgersi a lettori comuni o cercare opinioni in forum e/o blog indipendenti. In questi spazi è più probabile trovare critiche oneste e non influenzate.

Proprio pochi giorni fa, per ottenere un quadro più autentico, ho esaminato le opinioni dei lettori sul web riguardo a un libro che mi interessava. Le recensioni indicavano un apprezzamento per lo stile coinvolgente e la profondità tematica del testo. Tuttavia, leggendo con attenzione, ho notato alcune criticità nei giudizi.

Ad esempio, una lettrice dichiarava apertamente la propria stima per l'autore prima ancora di esprimere il suo commento. Questo mi ha fato pensare a un giudizio poco obiettivo. Quando si parte con un'opinione favorevole sull'autore, è inevitabile che la valutazione risulti influenzata. Non sappiamo se abbia apprezzato il libro per il contenuto o per un senso di affinità personale con l'autore stesso.

Un altro lettore raccontava di aver letto il libro in soli due giorni. Questo potrebbe indicare che il libro fosse effettivamente scorrevole e coinvolgente, ma lascia anche il dubbio di una lettura troppo rapida per un reale approfondimento. Sì... potrebbe essere stata una giornata particolarmente vuota di impegni, oppure una lettura superficiale...

Infine, un terzo commento sembrava più interessante: la lettrice descriveva l'ambito del romanzo e accennava a una linea narrativa. Tuttavia, il suo commento era troppo generico. Un'osservazione così ampia potrebbe essere stata formulata leggendo una sinossi o una recensione, senza una reale lettura del libro.

Questi esempi mettono in luce uno degli aspetti più complessi delle recensioni personali: l'influenza di preconcetti, situazioni personali e il livello di approfondimento reale di chi scrive. Ecco perché, ripensando a quei giudizi, resto convinto che sia fondamentale approcciarsi con cautela a tali valutazioni.

Perdonate il mio scetticismo, ma da tempo ho imparato a non giustificare certi atteggiamenti, specialmente quando si tratta di commenti anonimi sul web o sui social. Spesso, dietro a quelle parole apparentemente entusiastiche, si nasconde una mancanza di lettura concreta che non permette di comprendere davvero cosa ci sia di valido o unico in un libro.

Ecco perché consiglio, prima di acquistare un libro, di recarsi in libreria. In alcune di queste ad esempio, nella mia città di Catania ad esempio, dove il sottoscritto è abbonato, i titolari sono cortesi da permettere a chiunque di sfogliare il libro prima dell'acquisto. Questo consente di valutare personalmente lo stile dell'autore e soprattutto il contenuto dell'opera.

Non mi resta quindi che augurare a tutti Voi una buona lettura, ricordando come un libro ben scelto può salvarci da qualsiasi cosa, persino da noi stessi...

sabato 18 gennaio 2025

Potere e omertà: La politica nelle mani della mafia.

Di poche ore è l'ennesimo processo con rito abbreviato relativo all’inchiesta su presunte infiltrazioni mafiose e casi di corruzione in un Comune alle falde dell'Etna.

In particolare, la Procura ha chiesto la condanna dell’ex sindaco per voto di scambio politico-mafioso e per alcuni presunti episodi di corruzione.

Come già avviene da tempo nelle pagine del mio blog, non intendo entrare nel merito delle inchieste giudiziarie, quelle competono ai Tribunali e ai siti web dedicati alla cronaca. 

Viceversa, come studioso dei comportamenti umani, e in particolare delle condotte che emergono quando fenomeni politici si intrecciano con soggettività mafiose, mi soffermo sugli effetti e sulle gravi conseguenze che tali dinamiche producono non solo nel territorio amministrato, ma anche nella società civile.

Non bisogna mai confondere la posizione di coloro che ricoprono incarichi istituzionali e, al tempo stesso, giustificano il proprio operato infedele attribuendolo a fattori esterni, come le organizzazioni mafiose. Questo atteggiamento permette a tali organizzazioni di stabilire e consolidare un rapporto capace di estendere i propri tentacoli verso la sfera politica e le istituzioni pubbliche.

In questo modo, l’associazione mafiosa acquisisce un carattere di autonomia e sovranità, elevandosi a una posizione di parità rispetto allo Stato. Ciò le consente di imporre le proprie regole, escludendo quelle statuali, e di affermare una logica di dominio che si concretizza nell’accumulazione di ricchezza. Tale ricchezza, a sua volta, le permette di agire come un soggetto sovrano, capace di legare a sé (alcuni) uomini politici o persino intere organizzazioni di potere, come i partiti.

Nel corso degli anni, l’associazione mafiosa ha strutturato un sistema a doppio binario che opera su due fronti paralleli. Da un lato, vi è la manovalanza, impegnata nei traffici illeciti; dall’altro, vi sono i cosiddetti “colletti bianchi”, che si occupano di politica, preferenze elettorali, appalti, raccomandazioni e gestione della manodopera. Si tratta di una struttura dotata di regole, procedure e sanzioni proprie, un vero e proprio ordinamento giuridico parallelo.

Affrontare un problema di tale portata si rivela estremamente complesso... 

Non mancano esempi di illustri studiosi, uomini politici e magistrati che, nonostante anni di impegno e tentativi, non sono riusciti a scardinare questa rete pervasiva. Le continue inchieste giudiziarie sui rapporti tra mafia e politica, regolarmente depositate dai sostituti Procuratori nazionali, rappresentano un drammatico promemoria della profondità e della resilienza di questo sistema. Tuttavia, tali inchieste sono anche un segno che la lotta non è ferma, e che la consapevolezza è il primo passo per costruire un futuro in cui legalità e giustizia possano prevalere.


venerdì 17 gennaio 2025

Come la reclusione può scardinare il sistema del silenzio.

La detenzione, soprattutto se improvvisa, rappresenta uno spartiacque nella vita di chi, abituato al comfort del proprio status, si ritrova catapultato in una realtà completamente estranea. 

Pentirsi, raccontare ciò che è accaduto nel corso della propria carriera, elencare i nomi e le dinamiche di un sistema che ha permesso l’ascesa e garantito privilegi: tutto questo diventa un’opzione concreta. Un’opzione dettata non solo dal desiderio di alleggerire la propria posizione giudiziaria, ma anche dalla necessità di ritrovare una libertà che ora appare lontana, irraggiungibile.

La privazione della libertà personale colpisce tutti, ma in maniera più acuta chi non ha mai vissuto a contatto con il crimine o con contesti degradati. 

E quindi, per chi è abituato a una vita fatta di certezze e privilegi, il carcere è un mondo alieno, fatto di spazi limitati, rigide regole e costante esposizione a uno stress emotivo senza precedenti.

Ditfatti, è proprio in questo ambiente, dove la fragilità umana viene messa a nudo, che nasce un bisogno primordiale: uscire!!!

E spesso, il prezzo di questa libertà è la collaborazione. Collaborare significa trasformare il peso della reclusione in una spinta a raccontare, a svelare i retroscena di un sistema che, fino a poco prima, veniva vissuto come normale.

Però... a differenza del delinquente abituale, che vede il carcere quasi come una tappa ciclica della propria esistenza, il "colletto bianco" si sente ingiustamente perseguitato, negando inizialmente ogni responsabilità. Ma con il passare dei giorni, tra il peso delle accuse, la solitudine e il pensiero costante rivolto ai propri cari, si fa strada una nuova consapevolezza. La paura interiore cresce, insieme alla pressione esterna.

Ogni ora trascorsa in prigione diventa un momento di riflessione forzata: le cause che hanno condotto a quella situazione, le dinamiche professionali, i compromessi morali accettati per ottenere vantaggi. Tutto riaffiora con prepotenza, mettendo a nudo non solo le azioni passate, ma anche le fragilità emotive e relazionali di chi si trova a confrontarsi con un ambiente spietato.

E così, da quel conflitto interiore nasce una decisione: collaborare. Non per eroismo o redenzione, ma per necessità. Perché solo attraverso la verità, o una sua versione negoziabile, si può sperare di barattare la reclusione con una via d’uscita. Ed è in quel momento che il sistema trova la sua leva più potente.

E se fosse proprio in quel baratto che si cela l’inizio della fine per i grandi meccanismi di malaffare? Quando un singolo pezzo decide di parlare, il castello, per quanto imponente, può iniziare a vacillare. Ma c’è un’altra faccia della medaglia.

Non tutti, infatti, scelgono di collaborare. Per alcuni, la paura di perdere la posizione privilegiata raggiunta è troppo forte, ma ancor più lo è il terrore di trovarsi invischiati in dinamiche ben più grandi di loro. Collaborare significherebbe esporsi non solo a ripercussioni personali, ma anche a rischi per i propri familiari. Quella scelta, apparentemente salvifica, potrebbe trasformarsi in un pericolo imminente, un passo verso una spirale di minacce e pressioni che mettono a repentaglio tutto ciò che hanno di più caro.

Ed è qui che il silenzio diventa la loro unica arma di difesa. Un silenzio che, spesso, non è una decisione autonoma, ma il frutto di un sistema che, dall’esterno, fa di tutto per proteggerli. Non tanto per l’interesse verso la loro persona, quanto per salvaguardare il proprio equilibrio, garantendo che nessun dettaglio trapeli, che nessuna parola sveli le crepe di un’organizzazione costruita su connivenze e segreti.

La realtà del “non detto” si intreccia così con quella del carcere: un luogo dove il prezzo della verità e quello del silenzio convivono, separati solo dal coraggio o dalla paura di chi si trova a decidere. Alla fine, la vera domanda rimane: quanto siamo disposti a tollerare un sistema che si alimenta del silenzio, e quanto, invece, siamo pronti a lottare per rompere il muro che lo protegge?

giovedì 16 gennaio 2025

La mafia Imprenditoriale: Radici profonde, rami ovunque...

È evidente a tutti noi siciliani che gli insediamenti imprenditorial-mafiosi siano decisamente più radicati nella nostra regione rispetto al Nord Italia, non a caso, in Sicilia si contano circa 240 cosche con oltre 7.000 affiliati!!!

Per comprendere meglio l'impatto di questa presenza, basta confrontare questi numeri con quelli della 'ndrangheta calabrese, oggi considerata la mafia più pericolosa: quest'ultima conta "solo" 160 cosche e circa 5.500 affiliati. 

È chiaro, dunque, quanto Cosa Nostra incida negativamente sul nostro territorio!!!

Va detto, però, che queste associazioni non si limitano a operare nei loro territori d'origine, al contrario, estendono le proprie attività criminali al Centro e al Nord Italia, stabilendo veri e propri "uffici di rappresentanza". 

Queste, pur mascherati da realtà imprenditoriali legali sotto il profilo giuridico e amministrativo, spesso si trasformano in filiali operative, funzionali a riciclare il denaro proveniente dalla casa madre. In tal modo, riescono a far prosperare il loro business, incrementando a dismisura i profitti.

Non c’è settore dell’economia o della vita civile che sia immune da questa aggressività criminale, inoltre, la prassi consolidata delle imprese a partecipazione mafiosa ha portato molti imprenditori, un tempo onesti, ad adattarsi a queste dinamiche.

Pensare, però, che queste nuove formazioni mafiose siano semplicemente soggetti imprenditoriali è fuorviante. 

Un simile approccio rischia di ridurre la mafia a un insieme di comportamenti isolati, quando in realtà essa opera come una struttura ben definita e radicata, con modalità specifiche e una strategia chiara.

La responsabilità di questa situazione, così come del debole contrasto a essa, risiede principalmente nella mancata comprensione della fenomenologia mafiosa nella sua complessità. 

La politica, spesso, preferisce soprassedere per meri interessi personali, perpetuando un sistema basato sul "do ut des" e questo atteggiamento fa sì che molti scelgano di chiudere un occhio, partecipando indirettamente al sistema, piuttosto che impegnarsi nel contrasto alla mafia.

mercoledì 15 gennaio 2025

AMMINISTRATORE GIUDIZIARIO ARRESTATO

Il tema degli amministratori giudiziari è stato affrontato più volte su questo blog (e non solo), con particolare attenzione alle modalità attraverso cui alcune imprese sottoposte a sequestro o confisca sono state, di fatto, gestite senza soluzione di continuità dalle stesse organizzazioni cui erano state sottratte.

E infatti, il nuovo procuratore capo di Messina, Antonio D’Amato, si è distinto, a differenza di altri colleghi che negli anni sembravano aver “dormito” o addirittura “celato” esposti ufficialmente protocollati. 

Ricordo a chi di dovere che tali esposti dovrebbero ancora trovarsi negli archivi del Tribunale e quindi nella disponibilità dei sostituti procuratori che potrebbero ora, finalmente, riprenderli in mano...

Per cui, grazie alle investigazioni condotte attraverso intercettazioni, monitoraggi e, pare, con il contributo di un collaboratore di giustizia, si è scoperto che questa situazione era resa possibile, secondo l’accusa, dalla complicità di un amministratore giudiziario.

Come spesso ripeto, l’antimafia, in questi lunghi anni, è servita a molti, specialmente a coloro incaricati di gestire beni e imprese confiscate. 

Ricordo che parliamo di un patrimonio immenso, spesso a scapito delle imprese stesse e dei loro titolari, sottoposti a provvedimenti interdittivi.

Basti pensare al caso di un magistrato, allora presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, finito sotto processo insieme ad altri imputati. Secondo l’accusa, quel magistrato avrebbe gestito i beni confiscati alla mafia in modo clientelare, creando un vero e proprio "sistema". Al suo fianco agivano fedelissimi, tra cui commercialisti, professori universitari, amministratori giudiziari, uomini in divisa e persino familiari. Secondo i PM nisseni, questo gruppo rappresentava il "cerchio magico" del presidente.

Ma d'altronde è sufficiente recarsi in alcuni uffici per notare come tra i collaboratori vi siano professionisti, dipendenti e altre figure legate, in qualità di familiari, parenti o amici, a referenti istituzionali. Ed è per questi motivi infatti che questi ultimi, abitualmente, affidano loro quegli incarichi di gestione e amministrazione.

Nel caso specifico, l’impresa in questione era già stata destinataria di diversi provvedimenti giudiziari di sequestro e confisca, divenuti definitivi dopo procedimenti penali e misure di prevenzione. Tuttavia, nonostante l’amministrazione giudiziaria, secondo l’inchiesta in corso, l’impresa continuava a essere gestita dagli stessi soggetti interdetti. Questo sarebbe stato reso possibile grazie alla complicità dell’amministratore giudiziario, completamente asservito.

L’attività investigativa ha permesso di ricostruire il modus operandi degli indagati, finalizzato alla creazione di illeciti guadagni grazie alla complicità dell’amministratore giudiziario. Per tali motivi, il Giudice per le Indagini Preliminari, su richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina – Direzione Distrettuale Antimafia, ha applicato una misura restrittiva nei confronti dell’indagato.

Mi chiedevo - discutendo con un amico - come questa vicenda mettesse ora in evidenza un ulteriore paradosso: lo Stato, a seguito dell’arresto dell’amministratore giudiziario, si ritrova ora nella necessità di nominare un nuovo referente per la gestione dei beni sequestrati. Una situazione che non solo rappresenta un evidente fallimento del sistema, ma che getta un’ombra pesante sulle istituzioni, dimostrando come i loro stessi rappresentanti possano risultare altrettanto corrotti. La fiducia dei cittadini ne risulta gravemente compromessa, poiché ciò che dovrebbe essere garanzia di legalità si trasforma spesso in ulteriore occasione di abusi e malaffare!!!

martedì 14 gennaio 2025

La criminalità organizzata: una piaga che distrugge il territorio e tradisce i suoi concittadini!

La criminalità organizzata è una piaga che impoverisce tutti, in quanto non porta alcun beneficio nemmeno al proprio territorio d'origine e ancor meno ai propri conterranei!!!

Ed allora viene spontaneo porsi una domanda: che fine fanno i patrimoni illeciti provenienti dalle attività criminali e perché tutto quel denaro accumulato non produce benessere e occupazione nelle proprie regioni?

La risposta è desolante e soprattutto chiara!!! 

I proventi delle attività criminose, spesso frutto di traffici illeciti e racket, vengono di norma trasferiti verso Paesi e mercati offshore, al riparo da controlli e vincoli normativi. Si pensi, ad esempio, alle Antille olandesi, o alle grandi operazioni di riciclaggio che coinvolgono le piazze finanziarie internazionali. Non è un caso che Caracas, un tempo dominio di potenti boss siciliani, sia stata recentemente teatro di un’inchiesta che ha portato alla luce un cartello di cosche calabresi impegnate nel traffico di stupefacenti verso l’Europa. 

Questo spostamento dei capitali determina un impoverimento strutturale delle regioni d’origine, come Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, aggravando una già critica condizione economica e sociale.

Il meccanismo è doppiamente distruttivo. Da un lato, le risorse accumulate illegalmente non vengono reinvestite nel territorio, ma esportate verso mercati più sicuri, innescando un ciclo di depauperamento economico, dall'altro, l’azione delle mafie sul territorio – attraverso il pizzo e altre forme di estorsione – soffoca l’imprenditoria locale, alimentando evasione fiscale e scoraggiando nuovi investimenti. 

Questo doppio colpo porta a una progressiva desertificazione economica, con alti tassi di disoccupazione e una stagnazione dei redditi.

Da quanto sopra si comprende come la criminalità non apporta nulla al territorio e ai suoi conterranei; al contrario, lascia dietro di sé una condizione infetta e corrotta, certamente peggiore di quanto non fosse prima. 

L’illusione che l’accumulo di grandi ricchezze da parte delle organizzazioni mafiose possa generare un ritorno positivo è smentita dai fatti: la loro attività distrugge la fiducia, soffoca il potenziale produttivo e annienta le prospettive di crescita.

A tutto ciò si aggiunge un elemento globale: la libertà dei movimenti di capitali, uno dei dogmi della globalizzazione liberale, facilita il riciclaggio del denaro sporco. 

I paradisi fiscali, veri e propri architravi di un sistema finanziario senza leggi, offrono rifugio a immense ricchezze illegali. 

Ecco perché la lotta contro questi meccanismi è oggi più che mai una priorità, come dimostrano le azioni promosse da organizzazioni come ATTAC (Associazione per la Tassazione delle Transazioni Finanziarie per l’Aiuto ai Cittadini), impegnate a contrastare la dittatura di un mercato globale che favorisce diseguaglianze e ingiustizie.

Per combattere efficacemente questo fenomeno è necessario un approccio integrato che includa il rafforzamento delle leggi contro il riciclaggio, un controllo più stringente sui flussi di capitali e, soprattutto, un’azione culturale che punti a scardinare il consenso sociale di cui spesso le mafie godono nei territori in cui operano. 

Solo così sarà possibile invertire la rotta e restituire speranza e dignità alle comunità colpite dalla criminalità organizzata. Il resto sono soltanto chiacchiere che non faranno certamente cambiare questo stato di cose!

lunedì 13 gennaio 2025

Manipolazioni, dialogo e speranze di pace: riflessioni sulle parole di Papa Francesco.

Riprendo il post di ieri - http://nicola-costanzo.blogspot.com/2025/01/riflessioni-e-perplessita-sulle-parole.html - per evidenziare come talvolta, certe parole, in questo caso quelle di Papa Francesco, possano essere manipolate dalla comunicazione internazionale per scopi propri. 

Un esempio emblematico è stata la diffusione di una notizia in Iran che il Vaticano non aveva né ufficializzato, né smentito.

Hanno infatti sfruttato l'incontro avvenuto tra il Papa e un rappresentante del mondo accademico islamico per costruire l’idea di una presunta convergenza di vedute tra il Pontefice e la Repubblica Islamica, sì... sull'eccidio dei civili palestinesi a Gaza!!!

La notizia, diffusa il giorno successivo, riportava che all’incontro avesse partecipato anche l’ambasciatore iraniano presso la Santa Sede, il quale avrebbe consegnato al Papa una targa con alcune riflessioni della Guida Suprema Ali Khamenei, intitolate "Se Gesù Cristo fosse tra noi".

Secondo l’iscrizione, ripresa dal sito ufficiale di Khamenei, si ricordava come Gesù fosse considerato un profeta anche dai musulmani e si sottolineava il suo impegno contro l’ingiustizia, la prepotenza e la corruzione di chi, attraverso soldi e potere, aveva oppresso i popoli. La targa aggiungeva che “se Gesù Cristo fosse tra noi oggi, non esiterebbe a combattere i leader mondiali dell’ingiustizia e della prepotenza”.

È evidente come Teheran abbia cercato di strumentalizzare l’incontro per dipingerlo come un’adesione implicita del Papa alla propria visione politica e ideologica, inclusa la giustificazione delle azioni militari dell’Iran nel Medio Oriente.

Questo fragile tentativo ha generato diverse reazioni, soprattutto tra coloro che ritengono che un atteggiamento apparentemente accondiscendente della Santa Sede possa amplificare sentimenti antisemiti e ciò rischia di alimentare non solo tensioni nel mondo cristiano, ma anche ostilità da parte di altre religioni verso l’intero popolo ebraico.

Proprio per questo, sarebbe stato preferibile che Papa Francesco evitasse di esprimere dubbi o perplessità su teorie di genocidio, evitando al contempo dichiarazioni come quella secondo cui “Israele non rispetta i diritti umani” durante l'incontro con le autorità iraniane.

È paradossale che il Papa parli di diritti umani con chi, sin dal 1979, li calpesta sistematicamente, tuttavia, va riconosciuto un gesto positivo: la celere liberazione della giornalista Cecilia Sala da parte dell’Iran.

Mi piace pensare che la preghiera in arabo che avevo dedicato per la sua liberazione - http://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/12/blog-post.html - abbia avuto un ruolo in questo esito.

Non credo, e nessuno dovrebbe crederlo, che Papa Francesco sia permeato da “giudeofobia”, tuttavia, è tempo di lasciarsi alle spalle le vecchie strumentalizzazioni ideologiche della storia, come il concetto di deicidio, l’accusa agli ebrei di aver crocifisso Cristo, che è stato per secoli il principale motore dell’antisemitismo cristiano.

Comprendo altresì i motivi che abbiano spinto la Santa Sede ha mantenere rapporti diplomatici con gli ambienti teologici iraniani, sicuramente per tutelare la comunità cattolica locale, composta da circa 170.000 cristiani, prevalentemente armeni e assiri. Difatti a quest'ultimi è garantita la libertà di culto ed anche una rappresentanza parlamentare sancita dalla Costituzione iraniana.

Vorrei quindi invitare Papa Francesco a compiere un ulteriore sforzo: riunire i leader israeliani e palestinesi presso la Santa Sede, con mediatore l'Iran, per cercare di raggiungere una tregua definitiva.

Questo sarebbe un gesto concreto, capace di incarnare il vero messaggio d’amore cristiano, seguendo l’esempio di Giovanni Paolo II, che a Gerusalemme pregò per la pace davanti al Muro del Pianto, simbolo universale di riconciliazione e speranza.

domenica 12 gennaio 2025

Riflessioni e perplessità sulle parole di Papa Francesco.

Forse è tempo che il Papa consideri il ritiro, come già fatto dal suo predecessore Ratzinger, anche se per ragioni diverse, probabilmente legate a circostanze poco chiare accadute durante il suo pontificato.

Già... ho l'impressione che ogni volta che Papa Francesco venga intervistato senza l'ausilio di note preparate, tenda a lasciarsi andare a dichiarazioni che sorprendono o lasciano interdetti molti di noi.

Credo che queste sue affermazioni siano influenzate da una condizione psico-fisica in declino, comune a molti della sua età, che lo porta ad esprimere il proprio pensiero in modo eccessivamente aperto. Questo si manifesta particolarmente in commenti fortemente critici e talvolta troppo schierati.

Un aspetto cruciale è che le sue parole non rappresentano il pensiero di un comune cittadino, bensì quello della massima autorità religiosa cristiana, con una responsabilità verso oltre 2,3 miliardi di fedeli. Ogni dichiarazione dovrebbe essere ponderata con estrema attenzione, per evitare interpretazioni gravi e conseguenze irreversibili.

Un esempio significativo è rappresentato dalle sue recenti dichiarazioni durante un incontro con un accademico iraniano. Sebbene siano state in seguito chiarite come riferite alle politiche del premier israeliano Netanyahu e non agli ebrei o allo Stato di Israele in generale, le sue parole hanno suscitato ampie critiche. Questo ha portato a contestazioni per il modo in cui ha affrontato il tema del massacro a Gaza.

Se è vero che il Papa ha diritto di esprimere il suo pensiero, non può farlo in modo da coinvolgere l’intera comunità cristiana. Criticare apertamente il mondo ebraico, Israele o il premier Netanyahu per presunti comportamenti criminali legati all’alto numero di vittime civili a Gaza è una scelta inopportuna. Non è compito del Papa assumere il ruolo di giudice del Tribunale del diritto internazionale.

Non è la prima volta che Francesco prende posizione sulla guerra tra Israele e Hamas, iniziata dopo il terribile attentato terroristico del 7 ottobre 2023. Le sue dichiarazioni, come l’invito a valutare se quanto accade nella Striscia possa essere definito “genocidio”, hanno scatenato reazioni dure, tra cui quelle dell’ambasciata israeliana presso la Santa Sede. La posizione ufficiale del Vaticano, ribadita dal segretario di Stato cardinale Pietro Parolin, è stata di condanna dell'antisemitismo, ma il dibattito resta acceso.

Poco prima di Natale, il Papa ha sottolineato la crudeltà dei bombardamenti che colpiscono anche i bambini, definendo tali azioni non guerra ma barbarie. Tuttavia, il suo incontro con l’accademico iraniano Abolhassan Navab, presidente dell’Università delle religioni, ha fornito ulteriori spunti polemici. Navab ha elogiato Francesco per il suo coraggio nel difendere il popolo palestinese e il Papa avrebbe risposto ribadendo l’assenza di problemi con il popolo ebraico, ma criticando duramente Netanyahu per il mancato rispetto delle leggi internazionali e soprattutto dei diritti umani.

Queste parole, per quanto possano riflettere un'opinione personale, sono problematiche nel contesto del ruolo che il Papa riveste e il loro peso è amplificato dalla posizione che occupa e dalle implicazioni che ogni sua dichiarazione può avere sulla scena internazionale.

Il post continua...

sabato 11 gennaio 2025

Il triangolo oscuro: intrecci tra criminalità, politica e istituzioni

La situazione attuale, analizzata attraverso il prisma delle relazioni tra criminalità organizzata, politica e istituzioni, presenta due scenari distinti ma profondamente intrecciati.

Il primo scenario mette in evidenza una frattura interna alla criminalità organizzata stessa. 

Già... da un lato, vi sono i capi detenuti, figure storiche che dal carcere cercano di mantenere la loro influenza attraverso strategie orientate a ottenere benefici legali, come sconti di pena e allentamenti delle rigide misure detentive. Il loro obiettivo non è soltanto personale: garantire il controllo delle proprie cosche e preservare il potere anche dall'interno del carcere rappresenta una forma di continuità del dominio. 

Dall'altro lato, vi è una nuova generazione, attiva sul territorio, che considera i detenuti come un ostacolo al consolidamento degli affari, specie in seguito ai danni reputazionali e operativi causati da azioni eclatanti del passato. Questa nuova leadership sembra preferire un approccio più silenzioso e meno esposto, concentrato sulla gestione economica e sulle alleanze strategiche. Non è escluso che questa frattura sia stata acuita da calcoli interni che hanno portato a tradimenti mirati per eliminare le figure ritenute scomode.

Il secondo scenario riguarda il rapporto tra la criminalità organizzata e alcuni settori delle istituzioni. 

Qui emergono tensioni legate a promesse politiche non mantenute, che avrebbero alimentato malumori tra i boss incarcerati. Tra queste promesse figurano questioni come l'abolizione di regimi detentivi particolarmente duri, la revisione di processi penali e modifiche legislative favorevoli. Le dichiarazioni di alcuni esponenti del crimine organizzato sembrano denunciare apertamente la percezione di essere stati strumentalizzati da settori della politica, utilizzati come merce di scambio durante momenti di campagna elettorale e poi abbandonati.

Tali dinamiche come ben sappiamo non sono nuove... 

Già in passato si è rilevato come la criminalità organizzata puntasse a instaurare nuovi equilibri politici ed economici, cercando interlocutori istituzionali che potessero garantire il ripristino di vecchie complicità o la creazione di nuovi legami strategici. La capacità di sfruttare trattative sotterranee con lo Stato, o almeno con alcune sue componenti, emerge come un tratto ricorrente nelle strategie di lungo periodo del crimine organizzato.

Un elemento significativo di questa complessa rete di relazioni è rappresentato dalle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, il cui contenuto, spesso custodito con estrema segretezza, ha rivelato dettagli inquietanti sulle modalità di interazione tra politica, istituzioni e criminalità. Le implicazioni di tali rivelazioni sono di tale gravità che hanno richiesto, in alcuni casi, interventi ai massimi livelli istituzionali per discuterne la portata e le conseguenze.

Questa complessa trama di rapporti, fatta di alleanze temporanee, tradimenti e calcoli strategici, evidenzia quanto sia profonda e ramificata l'interconnessione tra politica, istituzioni e criminalità organizzata. 

Questa realtà, in cui alcuni esponenti politici e istituzionali scelgono di piegarsi ai voleri della criminalità organizzata per interessi personali, non può che suscitare in me una profonda amarezza. 

Sì... è desolante constatare come chi dovrebbe incarnare l'etica e il senso di giustizia si trasformi in complice di un sistema corrotto, svendendo il bene comune per tornaconto individuale. 

Ogni compromesso, ogni promessa tradita e ogni silenzio complice non fa altro che rafforzare un circolo vizioso che priva la società di fiducia nelle sue istituzioni. 

Già... un completo tradimento non solo della legge ma anche del popolo che quelle istituzioni dovrebbe poter considerare un baluardo contro ogni forma di sopraffazione!!!


giovedì 9 gennaio 2025

La libertà di un Paese passa con il voto!

Purtroppo, nel nostro Paese, e in particolare nella mia regione, la Sicilia (ma potrei dire lo stesso per molte altre...), quel voto è diventato merce di scambio. Sì, principalmente per interessi personali!

Non dico che sia sbagliato esprimere una preferenza, ma quando ciò accade senza alcun senso di responsabilità o come mero atto di scambio, si finisce per tradire l'essenza stessa della democrazia. E allora, a che serve quella "X" nell'urna? A cosa porta, se non all'indifferenza generale verso i partiti, i candidati e, cosa ancora più grave, l'intero sistema Paese?

Si va avanti così, tra apatia e opportunismo, ignorando deliberatamente le conseguenze delle decisioni prese nei palazzi del potere. La politica diventa un campo sterile, dove tutto si riduce a un ciclo perverso: il cittadino baratta il proprio voto per un tornaconto personale, e in cambio alimenta un sistema corrotto che soffoca ogni possibilità di cambiamento.

Le cronache sono piene di scandali, inchieste e amministrazioni sciolte per infiltrazioni mafiose. È un copione tristemente noto: un "patto" elettorale tra candidati e criminalità organizzata, costruito sulla compravendita del consenso.

La criminalità utilizza metodi ormai collaudati: dal pagamento in contanti per ogni voto garantito, allo scambio in natura, come buoni spesa o favori lavorativi. A questo si aggiungono le pressioni esercitate da chi, con il ruolo di datore di lavoro, impone ai propri dipendenti una preferenza elettorale in cambio della promessa di sicurezza occupazionale.

È chiaro che il cosiddetto "voto di scambio" rappresenta un reato grave, codificato come scambio elettorale politico-mafioso, punito con pene dai 4 ai 10 anni di reclusione. Ma quanti candidati temono davvero questa legge? Quanti si preoccupano delle conseguenze? Pochi, pochissimi. Perché, in fondo, sanno di agire in un contesto dove la complicità e l'omertà garantiscono l'impunità.

Ed allora come possiamo invertire questa rotta?

Già... se vogliamo davvero spezzare questo circolo vizioso, servono non solo azioni concrete, ma un profondo cambio di mentalità:

Ad esempio, bisogna ripartire con l'educazione civica e la sensibilizzazione: Le scuole devono tornare a essere il luogo dove si educa al valore del voto come strumento di partecipazione e cambiamento. Solo cittadini consapevoli possono rifiutare le logiche corrotte.

Ed ancora è necessaria più trasparenza e soprattutto un corretto monitoraggio; ad esempio si possono rafforzare i controlli durante le campagne elettorali e garantire la trasparenza nei finanziamenti ai candidati e ai partiti.

Implementare eventuali sistemi di segnalazione anonima sia per chi subisce pressioni, ma anche per chi viene intimidito, affinchè quel voto risulti libero da coercizioni e grazie a questi nuovi meccanismi si riesca a proteggere gli eventuali denuncianti.

Ed ancora, pene più severe e certe, perché non basta che il reato esista soltanto nel codice penale e poi come vediamo spesso nessuno paga!!! E tempo che le pene vengano applicate con rigore, afficnhè la società civile possa esser pronta a chiedere conto ai responsabili.

Ed infine è necessario incentivare la partecipazione attiva!!! La politica non deve essere percepita come un mondo distante o corrotto, ma come uno strumento nelle mani dei cittadini. Favorire una maggiore partecipazione ai processi decisionali, attraverso piattaforme digitali o incontri pubblici, solo così si può far riscoprire il senso di appartenenza.

In definitiva, il voto non è solo un diritto: è un dovere morale verso noi stessi e le generazioni future.

Se continueremo a svenderlo al migliore offerente, tradiremo ogni speranza di riscatto per la nostra terra. Solo con un impegno collettivo e una rinascita della coscienza civile potremo davvero riconquistare quella libertà che oggi appare sempre più compromessa.

martedì 7 gennaio 2025

GIUSTIZIA ED EQUITÀ: 📢 Per favore, leggi con attenzione questo messaggio importante.

Se condividi questi valori, aiutaci a diffonderlo condividendolo con quante più persone possibile.

La nostra voce unita può fare la differenza per promuovere trasparenza, correttezza e rispetto delle regole per tutti, senza privilegi.

Chiedo a ciascuno di voi di inoltrare questo messaggio a quante più persone possibile, per organizzarci e dare una risposta collettiva al termine di questa iniziativa.

L'obiettivo è quello di: sensibilizzare il Paese e preparare il terreno per una legge di iniziativa popolare.

Ecco i punti principali della proposta:

Retribuzione trasparente e limitata nel tempo: deputati e senatori saranno pagati solo durante il loro mandato.

Pensione equa per tutti: deputati e senatori contribuiranno al sistema previdenziale generale, come tutti i cittadini. Il fondo pensionistico del Parlamento sarà trasferito alla previdenza sociale.

Stop agli aumenti autogestiti: deputati e senatori non potranno votare i propri aumenti di stipendio.

Leggi uguali per tutti: deputati e senatori saranno soggetti alle stesse leggi degli altri cittadini.

Mandati limitati: il Parlamento non sarà più una professione. I parlamentari potranno essere eletti per un massimo di 3 legislature.

Riduzione della politica inutile: tagliare del 30% il numero di politici (consiglieri comunali, provinciali, regionali, deputati e senatori) ed eliminare enti inutili o duplicati.

Meno consulenti, meno sprechi: ridurre del 50% il numero di consulenti negli uffici politici e limitare le loro retribuzioni.

Pensioni di reversibilità eque: i benefici saranno destinati solo al coniuge superstite, come previsto per tutti i cittadini.

Il momento di agire è adesso!

Correggiamo gli abusi e riportiamo l’equità nelle istituzioni.

📢 Diffondi questo messaggio!

Se ogni destinatario lo inoltra a 20 persone, in soli 3 giorni potremo raggiungere una vasta rete di cittadini.

Nota: se non condividi questo messaggio, sentiti libero di ignorarlo. Nessuno ti obbliga. Ma se sei d'accordo, fai la tua parte!

Grazie!


lunedì 6 gennaio 2025

L'assassinio di Piersanti Mattarella: Un mistero lungo 45 anni.

Sono passati ben 45 anni da quel 6 gennaio del 1980, e ancora oggi non si sa con certezza chi sia stato ad assassinare Piersanti Mattarella.

È vero, secondo le ultime indagini, ad agire furono Antonino Madonia, figlio di Francesco e membro di una delle famiglie mafiose più potenti, insieme a Giuseppe Lucchese. Tuttavia, in questi lunghi anni, entrambi, pur condannati e in carcere per decine di omicidi, non hanno mai rivelato nulla.

E allora, si ricorre nuovamente alle testimonianze di decine di pentiti. Ma quanti di loro sono realmente a conoscenza di ciò che accadde quel giorno? E soprattutto, quale movente spinse eventualmente la cupola corleonese ad assassinare il Presidente della Regione? Questo resta un mistero.

D'altronde, occorre ricordare che il giudice Falcone stava esplorando una pista diversa: quella neofascista, con Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, due esponenti dei Nar poi assolti.

Io stesso ho sempre nutrito qualche dubbio su questo assassinio. Perché colpire un uomo della Democrazia Cristiana, il cui padre era stato un importante esponente politico, tanto da essere stato cinque volte ministro tra gli anni Cinquanta e Sessanta? Perché la mafia, che in seguito è emerso essere legata a doppio filo proprio con il Partito Democristiano, avrebbe deciso di uccidere Piersanti Mattarella? Parliamo di un partito i cui uomini, come i fratelli Salvo o Vito Ciancimino — già assessore e poi sindaco di Palermo — avevano stretti rapporti con Cosa Nostra. E non dimentichiamo Giulio Andreotti, che secondo Tommaso Buscetta, il pentito le cui rivelazioni avevano mandato in carcere numerosi mafiosi, rappresentava il punto di connessione tra mafia e politica.

Ora, dopo quasi mezzo secolo, si cerca di realizzare un identikit per dare un volto a uno dei due assassini. Si parla dell’“uomo dagli occhi di ghiaccio”, riconosciuto come il sicario che sparò al Presidente Mattarella.

Non so... vedo più ombre che luci in questa vicenda. Ma in fondo, siamo in un Paese dove la verità spesso viene ostacolata. E questo accade anche perché, nel cercarla, si rischia di svelare realtà scomode. Troppe volte, invece di fare luce, si è tentato di insabbiare azioni e comportamenti ignobili compiuti da uomini dello Stato, corrotti e asserviti ai poteri della mafia e della massoneria.

Non ci resta che esprimere il nostro cordoglio e commemorare quel giorno terribile, con la speranza di non dover più vivere anni bui come quelli che hanno costretto il nostro Paese a soccombere a una schiera di delinquenti.

Questo è accaduto solo perché non si è avuto il coraggio di combattere quando si doveva!!!


domenica 5 gennaio 2025

Cosa sta accadendo in Siria e quanto sincere sono le dichiarazioni del suo leader?

Mentre gran parte del mondo sembra entusiasta per l'attuale governo siriano, io nutro forti dubbi riguardo alla sincerità delle dichiarazioni del leader Ahmad al-Shara, precedentemente noto come Abu Mohammed al-Jolani. 

Non posso fare a meno di pensare che dietro le sue belle parole si celi l'intenzione di ripristinare un modello di governo simile a quello dell'Afghanistan sotto i "Talebani".

A differenza di Papa Francesco, che si è mostrato ottimista nel recepire i segnali di apertura verso la comunità cristiana, io sono convinto che le azioni intraprese siano semplicemente una facciata per guadagnare tempo e rinforzarsi militarmente, riprendendo poi atteggiamenti che hanno già caratterizzato il passato di questo leader.

L'obiettivo non dovrebbe limitarsi a evitare conflitti militari o ideologici, ma a promuovere un concetto di democrazia più inclusivo e rispettoso... 

Certo, non possiamo aspettarci un modello ideale nell'immediato, ma almeno un sistema simile a quello della Turchia, che consenta alle donne di vivere con dignità e senza coercizioni, rappresenterebbe un progresso rispetto alla realtà attuale. 

Tuttavia, la mia sensazione è che il nuovo governo stia solo cercando di stabilire le condizioni minime per la sopravvivenza, sfruttando gli aiuti internazionali.

Difatti, questa prospettiva si riflette nelle recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri siriano, Asaad Hassan al-Shaibani; durante una visita in Qatar, ha chiesto agli Stati Uniti di revocare le sanzioni, definendole un ostacolo alla ripresa del Paese devastato dalla guerra. Secondo al-Shaibani, “le sanzioni rappresentano una barriera per il popolo siriano, impedendo lo sviluppo e la creazione di partnership con altri Paesi”. Ha ribadito che l'appello a eliminare queste misure non è più legato al regime di Bashar al-Assad, ma è ormai una necessità per la popolazione civile.

Anche il primo ministro del Qatar, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, ha riaffermato il sostegno del suo Paese all'unità, alla sovranità e all'indipendenza della Siria. Ed è in questo contesto che i ministri degli Esteri di Francia e Germania hanno incontrato al-Shara a Damasco. Tuttavia l'incontro è stato segnato da polemiche: al-Shara ha stretto la mano al ministro francese, ma ha salutato la collega tedesca, Annalena Baerbock, con un gesto del cuore, citando una rigida interpretazione delle regole del Corano.

Di una cosa sono certo: è fondamentale valutare concretamente l'evoluzione politica di questa dirigenza e verificare se alle promesse seguiranno azioni concrete. 

Se ciò non accadrà, sarà necessario pensare a soluzioni diverse. La popolazione civile, ancora presente in Siria, ha bisogno di ritrovare non solo unità d'intenti per il bene comune, ma soprattutto una serenità che manca da oltre mezzo secolo.


sabato 4 gennaio 2025

Le “spaccate” a Catania: un furto da serie TV

Questa sera vorrei approfondire un tema che sta scuotendo la nostra città: le “spaccate”!!! 

Una tecnica di furto che, per la sua complessità e precisione, ricorda alcune scene di una celebre serie TV.

L’ultimo colpo, appena compiuto, è stato pianificato nei minimi dettagli, con una scelta strategica del momento: la notte di Capodanno.

Già... mentre la città era immersa nei festeggiamenti e le forze dell’ordine erano concentrate sulla sicurezza di migliaia di turisti, attratti dall’evento in diretta su Canale 5 da Piazza Duomo, i ladri hanno colto l’occasione per agire indisturbati.

Hanno bloccato tutte le vie di accesso al centro commerciale "Centro Sicilia" utilizzando veicoli pesanti rubati: un tir, un furgoncino, un autocarro e persino un escavatore. Questi mezzi, posizionati di traverso sulle strade e successivamente incendiati, hanno reso impossibile un rapido intervento delle autorità.

Intorno alle 00:20, la banda, composta da almeno dieci elementi con il volto coperto, ha utilizzato l’escavatore per sfondare l’ingresso posteriore dell’Apple Store. In pochi minuti hanno razziato iPhone, iPad e altri dispositivi elettronici di alta gamma, caricandoli su un furgone prima di dileguarsi.

Le indagini condotte dai carabinieri del comando provinciale e dalla Sezione Investigazioni Scientifiche hanno confermato che il furto era stato organizzato con estrema cura. La scelta della notte di Capodanno non è stata casuale: il caos dei festeggiamenti, l’impiego massiccio delle forze dell’ordine in centro e il clima di distrazione generale hanno creato il contesto perfetto per agire.

Sebbene il valore della merce rubata non sia ancora ufficiale, si stima che il bottino sia di notevole entità.

Nella stessa notte, altre due spaccate hanno colpito negozi di ottica e profumeria lungo il Corso Italia. Anche in questi episodi, i malviventi hanno distrutto le vetrine, portando via merce di valore prima di sparire nel nulla.

Questi episodi evidenziano un crescente allarme sulla sicurezza a Catania. 

Come ho riportato in un precedente post: “Dopu cà a Sant'Aita a rubbaru, ci ficiru i potti di ferru”.

Non sorprende quindi che anche la direzione del "Centro Sicilia" abbia annunciato un potenziamento delle misure di sicurezza, con controlli intensificati e nuove strategie di sorveglianza.

È evidente che ci troviamo di fronte a bande altamente organizzate, capaci di pianificare e realizzare furti con modalità sempre più sofisticate. 

Come ho scritto nel titolo d’apertura, questa dinamica ricorda in modo inquietante quella della banda de "La Casa di Carta".

venerdì 3 gennaio 2025

Oltre le cazzate sul Paradiso...

Albert Einstein, quando gli veniva chiesto se credesse in Dio, rispondeva spesso con una frase tanto semplice quanto enigmatica: "Credo nel Dio di Spinoza".

Per molti, questa risposta potrebbe sembrare poco chiara o addirittura priva di significato, ma in realtà racchiude un intero universo di pensiero, una visione che trascende la religione convenzionale per abbracciare qualcosa di profondamente razionale e naturale. Per comprendere il senso di questa affermazione, dobbiamo immergerci nel pensiero di Baruch Spinoza, filosofo del XVII secolo e figura centrale del razionalismo.

Spinoza, vissuto in un periodo dominato dalla fede e dalla dogmatica religiosa, concepì Dio in un modo completamente innovativo, identificandolo con l'ordine geometrico del mondo, manifestazione suprema della perfezione della Natura. Una delle sue massime più celebri, Deus sive natura (Dio ovvero la Natura), riassume il suo pensiero: Dio non è un'entità separata e trascendente, ma è immanente, presente in ogni aspetto del mondo naturale. Egli è la legge stessa che regola l'universo, la logica che permea ogni cosa.

Immaginando il Dio di Spinoza parlare, potremmo attribuirgli queste parole:

“Smettila di pregare e di batterti sul petto. Divertiti, ama, canta e goditi tutto ciò che questo mondo ti può dare. Non voglio che tu visiti i templi freddi e bui che chiami la mia casa. La mia casa è nelle montagne, nelle foreste, nei fiumi, nei laghi e sulle spiagge. Lì è dove esprimo il mio amore. Non farti ingannare dai testi scritti che parlano di me: se vuoi trovarmi, guarda un paesaggio, senti il vento e il calore sulla tua pelle.

Non chiedermi nulla: non ho il potere di cambiare la tua vita. Tu, però, sì. Non avere paura: non giudico, non critico, non punisco. Non credere a chi mi riduce a un elenco di regole. Quelle servono solo a farti sentire inadeguato, colpevole, e a controllarti. Non pensare al mondo dopo la morte: non è lì che troverai la bellezza. Questo mondo è pieno di meraviglie, e sta a te scoprirle. Non voglio che tu creda in me per fede cieca, ma che tu mi senta sempre in te e intorno a te.

È facile intuire come il pensiero di Spinoza fosse radicale per la sua epoca, e lo rimane tutt’oggi. 

Il Dio che descrive è un Dio di libertà, estraneo alle dinamiche umane del perdono e della punizione, un Dio che non richiede sottomissione ma che invita alla celebrazione della vita. Questo spostamento di prospettiva - dalla paura del giudizio alla valorizzazione della bellezza del mondo - restituisce l’esistenza nelle mani di chi la vive.

E allora, è inevitabile chiederci: quanto delle religioni istituzionalizzate si basa su una narrazione di controllo e paura? Quante dottrine promettono un aldilà glorioso a patto che si rispettino determinate regole, spesso arbitrariamente dettate? Queste idee non sembrano servire tanto a elevare l’anima umana, quanto a vincolarla, a tenerla incatenata al timore di una punizione eterna o alla speranza di una ricompensa ultraterrena.

Ma se, come diceva Lavoisier, “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” allora non è più liberatorio pensare che siamo energia in continuo mutamento? Un’energia che non scompare con la morte, ma che si reintegra nel grande disegno dell’universo, proprio come la Natura di Spinoza.

Forse è tempo di abbandonare le cazzate di chi ci promette un paradiso celeste in cambio della nostra sottomissione. 

Forse è tempo di guardare il mondo per quello che è: un luogo straordinariamente bello, ricco di opportunità per amare, gioire e vivere. 

La vera spiritualità non risiede in dogmi e templi, ma nell’esperienza diretta della vita, nel riconoscere il divino in ogni respiro del vento e in ogni raggio di sole.


giovedì 2 gennaio 2025

Bisogna trovare urgentemente una soluzione per la popolazione di Gaza!

Sono trascorsi 450 giorni dall’inizio dell’aggressione a Gaza, e la sofferenza degli sfollati cresce drammaticamente. Pioggia e freddo estremo aggravano una situazione già insostenibile. Migliaia di persone vivono in rifugi improvvisati, incapaci di proteggersi dagli elementi, mentre il mondo sembra incapace di rispondere con l'urgenza necessaria.

In Cisgiordania, la situazione non è meno preoccupante. La Moschea di Al-Aqsa è stata oggetto di incursioni di massa da parte di centinaia di coloni, accompagnate da continui raid delle forze di occupazione in diverse aree. Questi atti non solo aumentano la tensione, ma alimentano un ciclo di violenza che sembra non avere fine.

Nel frattempo, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi (UNRWA) ha dichiarato che più di 100 tende a Khan Yunis sono state allagate dalle piogge, lasciando oltre 500 famiglie sulla costa di Gaza in condizioni disperate. L’assenza di infrastrutture adeguate e di un sostegno internazionale concreto rende ogni giorno più difficile la sopravvivenza di queste persone.

Le cifre diffuse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sono devastanti: oltre 45.000 persone sono state uccise, e tra queste, il 50% erano donne e bambini. Questo massacro è di per sè un motivo sufficiente per fermare immediatamente il conflitto. La distruzione su vasta scala della Striscia di Gaza non ha precedenti e richiede una risposta decisa da parte della comunità internazionale.

Tuttavia, la pace non può essere raggiunta unilateralmente. Anche il gruppo di Hamas deve assumersi le proprie responsabilità, liberando gli ostaggi israeliani. Solo un gesto di questo tipo potrebbe spingere l’opinione pubblica mondiale a fare pressione per una cessazione definitiva delle ostilità. Senza tale atto, il governo israeliano continuerà con il suo progetto (se pur non apertamente dichiarato) di espulsione sistematica degli arabi dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania.

È evidente come le azioni dell'esercito israeliano, tra cui la distruzione sistematica degli ospedali di Gaza, siano mirate a costringere i residenti a lasciare definitivamente la regione e trasferirsi in Egitto. Questa strategia è stata confermata dal quotidiano Haaretz, che ha riportato come la chiusura degli ospedali faccia parte di un piano per svuotare l’area settentrionale della Striscia di Gaza dai civili.

Nel frattempo, anche in Cisgiordania si verificano incursioni contro luoghi sacri, tra cui moschee, da parte di coloni protetti dalle forze di occupazione. Questi atti non fanno che aumentare il malcontento e la tensione all’interno della popolazione locale.

I colloqui di pace tra Hamas e Israele sono fermi. Le speranze di una ripresa delle negoziazioni sembrano legate all’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Tuttavia, l’incertezza rimane alta. 

Mentre i residenti nella Striscia di Gaza continuano a sperare che il 2025 porti la fine delle sofferenze e un nuovo inizio, il realismo impone un approccio più cauto. L’attuale programma del governo israeliano lascia poco spazio all’ottimismo.

Una soluzione duratura può essere raggiunta solo attraverso la creazione di uno Stato Palestinese indipendente, che garantisca diritti e sicurezza per entrambe le parti. Senza questo passo cruciale, ogni discussione sulla pace rimane solo una vuota retorica. 

L’umanità ha il dovere di agire, prima che sia troppo tardi!!!


mercoledì 1 gennaio 2025

Ben venga questo 2025: Anno nuovo, vita nuova!!!

Con il nuovo anno alle porte, accogliamo il 2025 con entusiasmo e speranza. 

Già perché quanto sta per compiersi non è solo un cambio di calendario, ma un invito a credere in un futuro migliore, a sognare un mondo più sereno e privo di conflitti.

Immaginiamo la fine delle guerre, di quelle che dividono popoli e distruggono vite. Aspiriamo quindi ad un mondo dove i giovani possano guardare al domani con fiducia, liberi dalle paure legate a repressioni, dittature o conflitti inter-religiosi. 

Già... un mondo dove non vi siano rischi di guerre civili, ma solo la promessa di pace e cooperazione.

Il 2025 deve essere anche l'anno della consapevolezza ambientale. 

È urgente che i governi di tutto il mondo agiscano in maniera celere e con decisione per contrastare i cambiamenti climatici e preservare l'equilibrio naturale. Non si tratta semplicemente di tutelare il clima, ma anche di garantire che le risorse agricole e gli allevamenti, fondamentali per la nostra sopravvivenza, non siano compromessi. 

La natura è il nostro partner più prezioso, e dobbiamo rispettarla e proteggerla!!!

È giunto il momento per tutta l'umanità di fare un passo indietro, di riconoscere che il nostro compito su questa terra non è quello di distruggere, ma di costruire e migliorare. 

La tecnologia, che tanto ha trasformato le nostre vite, deve essere messa al servizio della natura, non contro di essa.

Ecco perché il 2025 può diventare l’anno in cui scegliamo di agire con responsabilità, solidarietà e rispetto per il pianeta e per le generazioni future. 

Insieme, possiamo creare una civiltà capace di rifiorire, dove il progresso si sposa con la sostenibilità, e la speranza diventa la forza motrice di ogni nostro gesto.

Quindi... ben venga questo 2025! Che sia l’inizio di un viaggio verso un futuro luminoso e condiviso.

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