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Confermate le indiscrezioni sul ''batterio extraterrestre'': la NASA conferma il ritrovamento di un batterio in grado di sopravvivere in condizioni estreme, grazie alla capacità di sostituire il fosforo con l'arsenico, la variante tossica, nei componenti cellulari.
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Un pallone aerostatico per ricerca dell'ISRO, l'Indian Space Research Organisation, lanciato per ricerche avrebbe trovato questi batteri, che fanno dire agli scienziati indiani che potrebbe esserci vita aliena nello spazio.
Secondo i ricercatori, una delle tesi probabili è che si tratti di batteri mutati da precedenti, lanciati nello spazio da vulcani in eruzione e che si sono evoluti per sopravvivere in ambiente ostile, lì dove, a causa dei raggi ultravioletti, la maggior parte dei batteri muore.
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Questi infatti sono stati clonati e si riproducono numerosi nelle provette dei laboratori dell’Università Federico II.
L’eccezionale risultato ottenuto da Bruno D’Argenio e Giuseppe Geraci dell’ateneo campano, rispettivamente docenti di geologia e biologia molecolare, è stato presentato nella sede dell’Agenzia spaziale italiana.
«I batteri dopo essere stati riprodotti - spiega l’astrofisico Giovanni B. Bignami, direttore scientifico dell’Asi - sono stati analizzati nel loro Dna ed è emerso un genere nuovo che non ha uguali con i 18 mila tipi di codice genetico finora conosciuti».
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«Essa si sarebbe a questo punto formata, almeno come seme iniziale, nella nebulosa protoplanetaria dalla quale sono nati poi tutti i pianeti - precisa il professor Giovanni F. Bignami - e quindi questi organismi rinvenuti nelle meteoriti analizzate a Napoli possono essere trovati indifferentemente sia sui corpi planetari sia sulle meteoriti che piovono sulla Terra».
Infatti gli stessi tipi di batteri battezzati «cristallomicrobi» o «Cryms» sono stati localizzati da D’Argenio e Geraci anche in cinquanta campioni di rocce terrestri, alcune vecchie di 3,8 miliardi di anni e prelevate in diversi continenti.
E sempre sono tornati a rivivere».
Nelle meteoriti vecchie 4,5 miliardi di anni, infatti, rimangono in una condizione di «animazione sospesa», dormiente, come l’anno chiamata i ricercatori.
Gli archeobatteri sono stati quindi «resuscitati».
«L’Asi, intanto, sosterrà la continuazione delle ricerche - precisa il direttore scientifico dell’Agenzia - perché la caccia all'origine della vita è una delle più grandi sfide della scienza contemporanea».
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