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martedì 13 maggio 2025

Un gesto encomiabile quello di Berlusconi Jr.! Ma non bastano i milioni per salvare la televisione italiana...

Bellissima la decisione di Piersilvio Berlusconi: The Couple chiude senza finale, e il montepremi da un milione di euro viene devoluto all’Istituto Giannina Gaslini. 

Un gesto importante, quasi poetico, soprattutto in un panorama televisivo che raramente pensa al bene comune.

Ma c’è un altro aspetto da considerare: è anche la resa di un programma che non ha funzionato. Un esperimento mal riuscito, incapace di intrattenere o raccontare, chiuso dagli ascolti prima ancora che dal palinsesto. Per fortuna, però, quel milione diventa speranza per tanti bambini.

Mediaset fa un passo avanti, mostrando (per una volta e auspico che non sia l'ultima) un volto diverso... 

Ma la domanda sorge spontanea: quanti altri programmi trash dovrebbero seguire la stessa sorte?

E la Rai? Qui il discorso si fa più amaro. Servizio pubblico dovrebbe significare qualità, cultura, informazione. Invece, tra dibattiti inconcludenti, conduttori riciclati e intrattenimento sterile, sembra solo un carrozzone che sopravvive per inerzia. 

Servirebbero inchieste, approfondimenti, spazio per l’arte e i giovani ed invece, si preferisce inseguire l’audience con format vuoti o quantomeno inconcludenti!

Intanto, la scelta di Mediaset diventa un esempio concreto. Il milione andrà alla nuova Terapia Intensiva pediatrica del Gaslini, come confermano le parole commosse del direttore Andrea Moscatelli e del presidente Edoardo Garrone.

Una tv commerciale che dà una lezione di responsabilità sociale: possibile che sia proprio lei a farlo? E possibile che la Rai, che paghiamo noi, non riesca a fare altrettanto?

Complimenti a Mediaset, allora. Ma non basta. Servirebbe un cambiamento più profondo: meno trash, più sostanza. Meno facce note, più idee nuove. Io intanto mi aggrappo a questo piccolo segnale di umanità. E sogno una televisione dove la qualità non sia un’eccezione, ma la norma.

lunedì 12 maggio 2025

Catania, ti scrivo perché ti amo troppo per stare zitto: lettera al Sindaco tra poesia e realtà.

Stasera su "lasicilia.it" ho letto una lettera straziante, inviata da un mio concittadino al Sindaco di Catania, Enrico Trantino.

Una denuncia in versi, scritta nel siciliano più crudo, che dipinge una città allo stremo: strade invase dai rifiuti, balconi che lanciano sacchetti come fossero boomerang, e quel senso di abbandono che fa mormorare: «Quasi mi vergogno di essere catanese».

Ma io non mi arrendo a questa narrazione, perché Catania è anche altro... 

E allora stasera, rispondo con un'altra poesia intitolata "Catania mia", che non cancella i problemi, ma ricorda chi siamo davvero:

"CATANIA MIA"

Tra il mare che abbraccia e il vulcano che canta,

tu sorgi, antica e nuova, con la tua santa...

Il blu del cielo si specchia nel tuo seno,

e l’Etna veglia, maestoso e sereno.


Sei pietra lavica e sale marino,

sei sole acceso sul corso mattutino.

Barocca e fiera, tra archi e colonne,

ogni tua strada risuona di madonne.


I tuoi vicoli raccontano di storie vere,

di uomini e donne che han lasciato tracce sincere,

greci, arabi e spagnoli, tutti mischiati.

ogni epoca ti ha vestita come sogni ricamati... 


La tua cucina è un atto d’amore:

arancini, scacciate, e quel tipico sapore

che qui sa di terra e di fuoco

ma solo chi t’ha amato davvero 

lo ha invocato a gioco.


Hai il clima dolce, ma non è il solo dono:

è la gente tua, quella col sorriso buono.

Il catanese è vero... un po' spaccone,

ma se lo conosci bene, 

ti tende la mano e ti canta una canzone


Sì... parlano forte, ma pensano con il cuore,

hanno genio e ingegno nell’odore

quel caffè preso la mattina con gli amici,

e una forza che lega, sì... come graniti.


In ogni angolo senti un brusio di vita,

è il suono del mercato, la voce infinita,

dai colori, dai gesti, da quelle risate in coro,

anche lo straniero si sente catanese... dopo il lavoro. 


Oh Catania, tu sei più di una città,

sei un abbraccio aperto, una mappa di fedeltà,

sei unica al mondo, per la tua bellezza:

hai il mare da un lato e il fuoco dell’Etna dentro, 

e tu come un faro acceso,

ti sei posta lì, meravigiosamente... al centro!

Consentitemi di chiudere questo post con una riflessione.

Quanto scritto sopra non vuole essere una critica. Quel cittadino che ha scritto al Sindaco ha certamente ragione: Catania oggi soffre, e la poesia in siciliano che ha voluto allegare non è un addio, ma un grido d’amore. Perché solo chi ama profondamente questa terra ha il diritto - e forse anche il dovere - di lamentarsi. Solo chi sente nel cuore il peso della sua bellezza e delle sue ferite può provare a cambiarla.

Ricordiamoci, da buoni catanesi, chi siamo davvero: figli di una città che ha saputo resistere a terremoti, eruzioni e dominazioni. Una città che non si è mai arresa, nemmeno quando tutto sembrava perduto. Una città che, sotto la cenere dell’Etna, nasconde un’anima indomita, capace di rialzarsi ogni volta.

Catania mia” è la mia risposta: un inno per non dimenticare che siamo un popolo forte, orgoglioso e resiliente. Un popolo che sa sempre come rinascere, anche nei momenti più bui.

Perché Catania non è solo una città: è un simbolo di vita, passione e speranza. E noi, suoi figli, abbiamo il compito di custodirla e amarla, anche quando fa male...


domenica 11 maggio 2025

Se i politici fossero sostituiti dall’AI, forse avremmo già risolto 2/3 dei problemi!

Sì... stasera riflettevo su una congiuntura: 600 persone... seicento!

Un piccolo esercito di deputati e senatori che, negli ultimi decenni, hanno fatto della corruzione un mestiere, dell'assenteismo un'arte e dell'illegalità una routine... 

Se li mettessimo tutti in fila, quanti di loro reggerebbero uno sguardo senza arrossire? Quanti potrebbero giurare, senza mentire, di aver servito il Paese invece che se stessi?

E allora mi chiedo: perché non provare con l’AI?

Già... un avatar non prende tangenti, non salta le sedute per motivi strettamente personali, non ha familiari da assumere e mafiosi da dover ringraziare...

Leggerebbe le leggi prima di votarle, analizzerebbe i dati invece di sparare incncludenti "slogan" e soprattutto, non avrebbe bisogno di stipendi d’oro, vitalizi e continui benefit per (come ripetono loro...) "servire lo Stato".

Certo, già lo so... c'è chi dirà: "Ma l'AI non ha cuore, non capisce i bisogni della gente!". 

Ah si... davvero? Perché a guardare i risultati, neppure loro che stanno in quel Parlamento hanno evidenziato d'averli capiti, anzi, il più delle volte quei bisogni li hanno calpestati, venduti, sepolti sotto montagne di leggi inutili e soprattutto conflitti d’interesse!

Ecco perché l'AI, almeno, avrebbe - se applicata - enormi vantaggi!!!

Innanzitutto non ruba (e già soltanto questo sarebbe di per se un miracolo...), non ha amici da favorire (addio raccomandazioni o frasi come "lo faccio per un favore") e ancora, non si distrae, evidenziando comportamenti "stacanovisti": Immaginate un governo che lavora 24/7, senza pause caffè di tre ore...

E poi, diciamoci la verità: se il problema fosse solo la "mancanza di umanità", beh, tra un algoritmo trasparente e un lobbista che sussurra all’orecchio, preferisco mille e mille volte un "algoritmo!

Forse è ora di ammetterlo: quando l’incapacità, la malafede e l’illegalità diventano la norma, qualsiasi alternativa - anche la più radicale - merita di essere presa sul serio!

O c'è qualcuno che pensa il contrario? Ehm... chi sta parlando? Ah… no, no, scusate: voi, politici (e parenti vari), siete esclusi dal dibattito. Grazie e arrivederci!

sabato 10 maggio 2025

Sì… ma tanto non succede niente.

Quante volte l’abbiamo detto dopo ogni scandalo? 

Già... dopo ogni arresto per corruzione, traffico di potere, concussione: un funzionario con le mani nel vaso, un politico che riceve denaro al buio, un colletto bianco che stringe accordi sporchi. 

Eppure la solita "eco" torna puntale: Sì… ma tanto non succede niente...

Ma come potrebbe cambiare qualcosa in questo Paese che difende chi sbaglia? Sì... dove lo Stato scrive leggi come scudi, non come spade, un Paese che promuove norme che non spazzano via il marcio ma viceversa lo incastonano nel sistema, rendendolo intoccabile? Dove la complicità si maschera da legalità e chi dovrebbe pagare non paga mai? 

E tutto questo grazie allo Stato stesso, ai suo uomini/donne che promuovono queste riforme per pararsi il c..., una politica che non solo non agisce, ma firma, ratifica e soprattutto si piega a chi ha interesse a non cambiare mai!

Io nel mio piccolo ci ho provato. Già molti anni a portare alla luce scheletri che altri volevano sepolti, ma ogni volta ritrovo semrpe lo stesso schema: gente farabutta che fa dell'illegalità il proprio vivere, sostenitori e lecchinio che promuovo e foraggiano con le loro azioni quotidiane quel sistema illegale a cui poi si somma una giustizia lenta, inceppata, con leggi trasformate in scappatoie e così chi denuncia, quei pochi esigui individui che hanno fatto della purezza d'animo il loro vivere quotidiano, non solo devono scontrarsi con quei muri di gomma collusi, ma ahimè vengono traditi da chi viceversa avrebbe dovuto proteggerli.  

Il tradimento più grave? Non è solo la corruzione, ma la sua normalizzazione, l'averla trasformata in routine, in prassi. Perché quando diventa “normale”, diventa invincibile!

Ogni riforma che rallenta i processi, ogni norma che protegge i colpevoli, ogni legge scritta su misura per i potenti: non è una battaglia contro il crimine. È un accordo con esso!

E lo Stato? Lo Stato è certamente complice. Quelle norme approvate per finta, quelle regole scritte a favore di chi comanda, sono un colpo al cuore di chi crede ancora in uno Stato giusto ed equo.

Che schifo. Che vergogna.... dopo anni a cercare di cambiare le cose, a rompere schemi immutabili, ci si ritrova con le mani vuote, perché chi doveva riscrivere le regole, le ha ridisegnate per chi non vuole che nulla si muova...

E allora sì, forse è tempo di contare i giorni, di pensare a una vita diversa, lontano da questo Paese ingrato, dove lo Stato non protegge i cittadini, ma i potenti. Dove la corruzione non è un cancro da estirpare, ma un affare da gestire.

Ma prima di andare via - riferendomi a tutti quei soggetti ancora perbene - dovrebbero chiedersi: fino a quando permetteremo che il gioco resti sempre lo stesso?

Sì... immagino che starete pensando: "ma tanto non succede niente". Ed allora iniziate voi con i vostri gesti: rifiutatevi quando vi viene chiesto un "favore", abbandonate quelle adulazioni che sanno di "ipocrisie ricamate", non scambiate la vostra dignità per una promessa o una bustarella, sapendo a priori che accettandola, si diventa indissolubilmente compromessi, con quei soggetti corroti e con quel sistema marcio da loro rappresentato, che negli anni, avevate criticato e odiato!

E tu, da che parte stai? Quella di chi aspetta o di chi prova ( o quantomeno proverà...) a cambiare le cose?


venerdì 9 maggio 2025

L'inutilità di avere: DIO.

"Dio è necessario", dicono. "Senza di Lui, tutto crolla". 

Ma chi l’ha deciso? Chi ha stabilito che la grandezza dell’esistenza debba essere misurata con l'unità di misura del divino?

Immagina un attimo di non dover avere Dio... 

Di non doverlo usare come risposta, come conforto, come garanzia di un senso precostituito. 

Immagina di guardare il vuoto senza la paura di cadere, perché forse - sì... forse - quel vuoto non è un abisso da riempire, ma uno spazio finalmente libero.

"Ma come fai a vivere senza Dio?" mi chiedono, come se la vita fosse un’equazione che senza quel fattore smettesse di dare risultato. 

Eppure, quante cose inutili ci tengono in piedi! L’arte, la scrittura, la lettura, la poesia, e anche l’amore, già… che non serve a nulla se non a sé stesso.

Perché quindi Dio dovrebbe essere diverso? Perché dovrebbe servirci?

Forse il problema è proprio questo: averlo ridotto a uno strumento. A un meccanismo per spiegare l’inspiegabile, a un tappabuchi per i nostri problemi quotidiani, per le nostre paure!!! Un Dio-utensile, un Dio-risposta. Ma se invece fosse una domanda? O peggio: se fosse una domanda a cui non vogliamo rispondere, perché accettare l’assenza è più difficile che inventare una presenza?

E se fosse persino peggio? Se Dio esistesse, ma fosse qualcosa che non ci appartiene? Un essere distante, che non si piega ai nostri piagnistei, che non si occupa dei nostri drammi da formiche? Un Dio che non è padre, non è giudice, non è complice, ma solo un artefice silenzioso, che tiene in equilibrio universi, dalla cellula più infinitesimale alla galassia più complessa, senza dare priorità a nulla e a nessuno. Perché nulla - proprio nulla - potrebbe mai essere paragonato a Lui. Perché è unico. E solo!

Certo, ora milioni di fedeli di quelle sterili religioni mi diranno: "Senza Dio, tutto è permesso!". Ma scusate, non è forse vero il contrario? Con Dio, tutto è (ed è stato) giustificato: guerre, oppressioni, genocidi, violenze, e anche le rinunce, già… tutto è stato ricondotto a un disegno. Senza Dio, invece, ogni scelta ricadrebbe su di noi, su quella nostra natura nuda e fragile, tremendamente umana. E questo sì che fa paura.

Allora forse Dio non è inutile. Forse è solo inutile averlo, perché il divino, se esiste, dovrebbe essere oltre il bisogno, oltre la funzione. Un lusso, non una necessità. Un mistero, non un manuale.

E se smettessimo di pretenderlo? Se lo lasciassimo lì, inutile, forse ( sì... forse ) diventerebbe finalmente interessante!

giovedì 8 maggio 2025

E' il silenzio generale che permette alla criminalità organizzata di operare indisturbata!

Quante segnalazioni di usura ed estorsione vengono presentate nella nostra isola? Poche, quasi nulle. I dati parlano chiaro: le denunce calano, mentre i reati crescono in modo esponenziale.

E no, non è merito di uno Stato forte e presente, come qualcuno vorrebbe farci credere. È la paura!

Quella stessa paura che paralizza la gola quando sai che una denuncia potrebbe costarti tutto: la tua attività, la serenità dei tuoi cari, persino la vita...

Ho letto da qualche parte che un prefetto – non ricordo più di quale regione del Sud – ha ammesso numeri da brividi: meno di venti denunce per estorsione, meno di dieci per usura. Su migliaia di imprenditori. Su migliaia di famiglie. Vi rendete conto?

Eppure lo sappiamo bene: quando qualcuno trova il coraggio di parlare, spesso è già troppo tardi. È come quei pentiti di mafia che si ravvedono solo con le manette ai polsi. Troppo comodo. Il vero coraggio sarebbe denunciare prima, collaborare prima, prima che ti schiaccino. Ma come puoi farlo, quando lo Stato ti lascia solo contro un sistema che ha radici più profonde del tuo desiderio di giustizia?

Perché è questo il punto: lo Stato, in questi anni, ha dimostrato di non essere in grado di vincere questa guerra o forse, semplicemente, non ha voluto. Troppi interessi, troppe connivenze, troppe strette di mano con chi dovrebbe essere in galera. E allora l’imprenditore onesto è costretto a una scelta atroce: pagare il pizzo in silenzio o rinunciare a tutto ciò che ha costruito, pur di riprendersi la libertà.

Ma la libertà non dovrebbe essere un lusso. Non dovrebbe essere una scelta tra la rovina e l’umiliazione. Eppure, eccoci qui, nel 2025 – sì, scriviamolo nero su bianco, perché nessuno dimentichi – ancora a contare i nostri morti civili, ancora a far finta di non vedere.

Le nostre urla non vengono ascoltate. Sono come quella canzone di Alessandra Amoroso: "Perchè urlo, ma non mi senti"! E allora basta chiacchiere. Basta manifestazioni di facciata, basta promesse. Se vogliamo davvero cambiare le cose, servono fatti. Servono leggi che proteggano chi denuncia, servono politici che non si vergognino di stare dalla parte giusta.

Altrimenti, questo silenzio resterà l’unico suono che ci accompagnerà. E sarà più assordante di qualsiasi grido.

E allora basta col pronunciare parole sterili: pensate a quell’imprenditore che ieri ha chiuso l'attività, dopo trent’anni di lavoro. Guardate ora a suo figlio, sì... che sogna di andar via, perché qui non c’è alcun futuro!

La loro unica colpa? Aver creduto che la giustizia fosse più forte della paura!

mercoledì 7 maggio 2025

Si arresta, si sequestra, si sbatte in prima pagina... e poi?

Lasciami raccontarti una storia, ma non quella che leggi sui giornali, ma quella che sta sotto, già... nascosta tra le righe, invisibile ai più, quella comunque che davvero muove tutte le cose e Dio in questo... centra nulla.

Immaginatevi un parcheggio deserto, una busta che passa di mano, due persone che si sfiorano casualmente, oppure se volete sciegliete un ufficio, preferibilmente anonimo, dove la porta chiusa nasconde qualcosa di più di un semplice "colloquio", si lo scenario potete cambiarlo a vostro piacimento, ma il copione vedrete, resterà sempre lo stesso: mazzette, promesse, favori!

E poi improvvisamente giunge la notizia, esplode come i botti di Capodanno, tutti iniziano a parlarne, i titoli sui quotidiani urlano e i social s'infiammano!

I nomi degli indagati arrestati sono pubblici, manette, lo scandalo ha toccato incredibilmente soggetti al di sopra di ogni sospetto. Ed eccoli quindi i cittadini, indignati, pronti a puntare il dito e a tirare la pietra. 

Ma... aspettate un attimo, sì... soffermiamoci, facciamo un bel respiro profondo, iniziando a guardare oltre la superficie.

Sì... perché ciascuno di noi sa bene cosa accadrà dopo? Nulla. Già... assolutamente nulla e quei soggetti, restano tra noi, impuniti, anche se a volte... condannati!

Perché il sistema non trema, non si ferma, non s'indigna e soprattutto non ha minimamente paura, perché tutti coloro che vivono grazie ad esso sanno bene che questa storia è come la sceneggiatura di quel film ,"Via col vento", già..."domani sarà un altro giorno".

E difatti un altro giorno significa un'altra mazzetta, un nuovo accordo sottobanco, sì... certo, cambiano i nomi, i luoghi, i dettagli, ma il meccanismo "oleato" resta identico, quasi fosse un orologio (non uno d'imitazione come quelli che si vedono su "Tik Tok", bensì uno di lusso, sì... ricevuto in cambio delle concessioni compiute illegalmente, portato tra l'altro da questi soggetti in maniera indegna al polso; osservandoli penso: quanto vale possedere un modico orologio da 10 euro, sapendo di aver salvaguardato la propria dignità...), solo che invece di ticchettare l'ora, quello strumento fa tintinnare il ricordardo nella mente, sì... di quando ricevere nuovamente quella mazzetta.

E allora vi chiedo: pensate davvero che oggi sarà diverso da ieri? Che domani sarà diverso da oggi? No... non lo è, e non lo sarà, anche se poi, come ingenui spettatori, applaudiamo quanto compiuto dalle forze dell'ordine e dalla magistratura, convinti che qualcosa stia realmente cambiando. Ma dentro di noi, nel nostro profondo, lo sappiamo bene: è solo fumo negli occhi!

Perché il problema non è quel singolo dirigente, funzionario, imprenditore, politico, mafioso, no... il problema è il sistema che lo alimenta, che permette a chi dovrebbe controllare, vigilare, denunciare, non restare in quella stanza e far finta di non vedere "l'elefante", perché anche quando non si partecipa direttamente, quando la mazzetta (a differenza dei suoi colleghi) non viene presa, quando si riesce a fare a meno di quegli introiti non dichiarati, beh... questa decisione, vi assicuro, non è per nulla meglio di quella corruzione, perché, preferire non denunciare per paura, non fare il proprio dovere e quindi non opporsi a quel sistema corrotto, forse anche perché si temono ripercussioni personali e/o familiari, non giustifica i silenzi ...

Difatti, nell'esser ignavi, si è scelto di essere - se pur senza prendere bustarelle e quindi con le mani vuote - complici e quindi colpevoli! 

Mi chiedo ogni giorno come sia possibile ciò, ma soprattutto perché accettiamo questo? Perché i miei connazionali onesti si limitiamo a guardare, a commentare, a indignarsi per un giorno, per poi riprendere la loro vita come se nulla fosse? 

Lo so... non dico che sarebbe facile, ma almeno sarebbe onesto...

martedì 6 maggio 2025

Cosa nostra, 'ndrangheta e camorra: uno per tutti, tutti per uno!

Già... sembra che ormai, anche le organizzazioni criminali si siano date all'antica lingua latina: Unus pro omnibus, omnes pro uno: Tutti per uno, uno per tutti!

Un motto da romanzo cavalleresco, da eroi senza macchia. E invece no. Oggi è il mantra di chi eroico non ha nulla, ma di strategico ha tutto!

Perché quando cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra decidono di fare squadra, il business non è più una guerra tra clan: è un consorzio: Un sistema "lombardo", perfettamente oliato, che tra Milano e Varese riscrive le regole del potere criminale.

E così nell’aula bunker di Opera, i nomi che leggeremo non saranno solo siciliani, calabresi o campani, ma saranno ibridi. Mandamenti del Sud che vanno a braccetto con cosche del Nord, tutti imputati per lo stesso reato: associazione mafiosa come "consorzio delle tre mafie". 

Un anno fa, il Tribunale del Riesame e la Cassazione avevano condotto in carcere 41 indagati, ma la verità è che il processo più grande è già scritto: l’unione fa la forza e soprattutto il profitto.

Sì... una volta, al Nord, si ammazzavano per un porto, un appalto, una chilo di coca, oggi no! Hanno capito che il sangue costa, mentre i soldi stanno nelle mani giunte. E allora via alle "joint-venture": la droga viaggia sulle stesse rotte, il riciclaggio usa gli stessi professionisti, i territori si spartiscono come azioni di una "S.p.A.", sì... criminale!

"Unus pro omnibus", ovvero... ogni membro, ogni clan, è un tassello di un mosaico che vale più della somma delle parti. Se la ‘ndrangheta domina i rapporti con la Svizzera, i siciliani gestiscono i contatti con gli emiri, i campani il controllo delle periferie. E tutti si coprono le spalle, perché il nemico non è più l’altro clan, ma lo Stato!

E così, ironia della sorte, mentre la politica fatica a trovare alleanze, le mafie hanno fatto l’accordo di governo perfetto. 

Niente più faide, solo dividendi. E quel motto dei Tre Moschettieri? È la loro arma più moderna: fiducia. 

Perché quando un picciotto sa che può contare su un avvocato calabrese, un prestanome milanese e un corriere napoletano, il mercato è infinito.

E lo Stato viceversa cosa fa? Nulla... resta a guardare, a processare, a sperare che le condanne facciano il loro effetto, ma nel frattempo, loro, quelle mafie ora unite, hanno già cambiato gioco...

lunedì 5 maggio 2025

Gratteri ha ragione: in questo Paese la giustizia è solo per i poveri!

Ho ascoltato le parole del magistrato Nicola Gratteri, ospite ad "Accordi&Disaccordi", il talk condotto da Luca Sommi su Nove con la partecipazione di Marco Travaglio e Andrea Scanzi. Ha parlato di giustizia a due velocità: garantismo per i potenti e sanzioni durissime contro i manifestanti.

A dimostrazione che in questo Paese non si vuole cambiare!

Quante volte l’abbiamo sentito dire, sussurrato nei corridoi, urlato per strada dopo l’ennesimo arresto in flagranza? L’ennesimo funzionario colto con le mani nella cassa, l’ennesimo politico che intasca mazzette come se fossero caramelle… "Sì… ma tanto non succede niente…"

E infatti, mentre il Dott. Gratteri – come pochi altri – si consuma in trincea contro la criminalità organizzata (e non solo), il Governo risponde con leggi vergognose: norme che non servono a stroncare l’illegalità, ma a proteggere chi la pratica. Funzionari infedeli, politici corrotti, colletti sporchi di mafia: tutti più al sicuro oggi, grazie a riforme scritte col bilancino, sì... pendenete verso la dorruzione.

Pensateci: arrestano un corrotto con le banconote ancora in tasca, e poi? Il processo si trascina per anni, la prescrizione divora tutto, la carriera prosegue indisturbata. Intanto, chi denuncia rischia il linciaggio, chi indaga viene ostacolato, e lo Stato? Lo Stato abbassa la testa e firma leggi ad hoc!

So bene di cosa si tratta. Io, che ho vissuto in prima persona il contrasto al malaffare e all'illegalità, posso confermare: in tutti questi anni è sempre stato così. E così, ahimè, continua ancora oggi!

E proprio qui sta il tradimento: normalizzare la corruzione è il primo passo per renderla invincibile. Gratteri lo ripete da anni: Se togli gli strumenti alle Procure, non stai combattendo la criminalità. La stai proteggendo.

E allora? Allora serve urlare che questo non è “tolleranza zero”, ma complicità! Che ogni riforma finta, ogni legge scritta col contagocce per i potenti, è un pugno nello stomaco a chi crede ancora nello Stato. Come me.

Perché il problema, come ho scritto proprio in questi giorni, non sono solo le mazzette che passano di mano, è il sistema che le lascia circolare, e poi si gira dall’altra parte.

E io, oggi, sono qui a dirvelo con il cuore gonfio di delusione. Perché dopo anni spesi a lottare per far emergere la legalità dove non c’era, mi ritrovo a constatare che le regole del gioco sono sempre le stesse e chi dovrebbe cambiarle, invece, le sta scrivendo a misura di chi non vuole cambiare nulla.

domenica 4 maggio 2025

Gaza Cola: quando una lattina diventa un atto di resistenza!

Vorrei stamani aprire questo post con una frase, sì... quella che ogni mattina alla "fera o luni" di Catania, un venditore ambulante pronuncia spingendo quel suo carrello pieno di bibite tra la folla e lanciando ai passanti questa domanda: Hai sete...? Vuoi vivere??? 

Sì... parliamo di un punto d'incontro caratteristico che riunisce non solo per i miei concittadini, ma anche i molti turisti che ogni fine settimana giungono sull'isola, e così, tra loro, quel gioco di parole in dialetto "viviri", viene confuso con "vivere", mentre noi siciliani sappiamo che sta a significare "vuoi bere?", ma da questo equivoco si può prendere spunto e cioè che se non bevi, non puoi sopravvivere, perché senza acqua, senza quel semplice gesto, non vi è sopravvivenza. 

Ed allora, ripensando a quella domanda mi sono chiesto: ma quando apriamo una lattina, sappiamo davvero cosa stiamo sostenendo? 

Già... perchè dietro ogni sorso si nasconde un sistema e così mentre le multinazionali bevono risorse, interi popoli lottano per l’essenziale. E allora, se la sete è vita, dovremmo chiederci: la nostra scelta disseta chi ha davvero bisogno?

E se invece quel gesto potesse diventare qualcosa d'importante, ad esempio con le nostre azioni potremmo fare in modo che si creasse un ponte tra chi vive agiatamente bene e chi soffre?

Ecco "Gaza Cola", potrebbe esssere questo! Non solo una bevanda, ma bensì un atto di solidarietà concreta, un modo per trasformare ogni nostro sorso in sostegno. 

Sì... una lattina avvolta nei simboli della Palestina che racconta una storia di resistenza, quella di un popolo che non chiede elemosina, ma opportunità, rinascere grazie a un'idea semplice: bere... sì ma diversamente.

Bisogna ringraziare Osama Qashoo, il regista e attivista palestinese che ha lanciato Gaza Cola: in un mondo dove tutto è finanziamento indiretto, persino una bibita può essere un’arma di ricostruzione. Niente multinazionali, niente complicità con l’oppressione. Solo un progetto interamente palestinese, dalle materie prime al lavoro, che reinveste ogni centesimo nella comunità di Gaza.

E mentre i numeri della crisi umanitaria fanno girare la testa (ospedali distrutti, medicine inesistenti, un intero sistema sanitario al collasso), "Gaza Cola" prova a rispondere con un modello diverso: certo... piccoli passi, ma tangibili. Prima l’ospedale da campo con i paracaduti degli aiuti umanitari trasformati in tetti e poi, passo dopo passo, la ricostruzione...

Ed ora tocca a noi! Già la domanda che dobbiamo porci è: possiamo permetterci di ignorare alternative come questa? In un momento in cui le parole “boicottaggio” e “disinvestimento” risuonano sempre più forte, Gaza Cola offre una strada chiara. Non è una donazione, non è carità: è scambio. È dire: io scelgo dove va il mio denaro, e voglio che sostenga chi resiste.

Ho letto che la lattina arriverà presto anche nel nostro Paese, abbiamo quindi l’occasione di fare di più che condividere un semplice post, già possiamo acquistarla al posto di altre ben più famose, possiamo portarla nelle nostre case, ma non solo, negli ambienti di lavoro, nei bar, locali commerciali, etc... 

Mi sono chiesto: quante altre iniziative così potrebbero nascere, se solo gli dessimo maggiore spazio?

Perché alla fine, "Gaza Cola", non chiede di cambiare il mondo, chiede soltanto di ricordarci che ogni nostro gesto, persino il più banale, può avere un peso. 

E allora, la prossima volta che avremo sete, forse varrebbe la pena di pensarci due volte e scegliere "Gaza Cola"!

Hai siti, vuoi viviri?

sabato 3 maggio 2025

La legalità non può essere negoziata. Mai!

La giustizia non è solo un dovere: è una scelta. Una scelta che si rinnova ogni giorno, nel silenzio delle nostre azioni quotidiane. Eppure, quanti di noi si fermano davvero a riflettere su cosa significhi scegliere? 

Oggi vorrei riprendere la memoria di un uomo, un giudice, Rosario Livatino, che ha fatto della legalità non solo una professione ma una vera e propria missione. Una missione che gli è costata la vita.

Era il 21 settembre del 1990 quando "Cosa Nostra" decise di ucciderlo. Pensavano -o forse speravano- che con lui sarebbe morta anche la luce della giustizia. Quella stessa luce che aveva acceso insieme ad altri eroi, come Falcone e Borsellino, e che invece continua a brillare, nonostante tutto... 

Ma qui sta il punto: non basta ricordare. Non basta commemorare. Il giudice Livatino non è solo un nome inciso su una targa, né un'icona da celebrare una volta all'anno per poi tornare alla routine. È un testimone scomodo, uno specchio che ci costringe a guardarci dentro e a chiederci: io, da che parte sto?

Perché la mafia, oggi, non è più soltanto quella del passato, quella delle bombe, dei cadaveri abbandonati lungo le strade, delle intimidazioni violente. Quella mafia esiste ancora, certo, ma è diventata più subdola, più insidiosa. 

È la mafia dei compromessi, dell'omertà, delle pratiche illegali compiute quotidianamente sotto gli occhi di tutti. È la mafia che si annida negli appalti truccati, nelle raccomandazioni, nei voti scambiati per un posto di lavoro o qualche euro in più. È la mafia del silenzio, quella che ti fa abbassare lo sguardo quando sai che qualcosa non va, ma preferisci non denunciarlo. È la mafia che vive dentro di noi, ogni volta che accettiamo l'illegalità come normale, ogni volta che ci diciamo: "Tanto è così, non cambierà mai".

Il giudice Livatino ci ha insegnato che la legalità non si negozia. Non si può essere accomodanti, non si può cedere al proprio tornaconto. Essere intransigenti non è una scelta egoista: è un atto d'amore verso la comunità, verso chi viene dopo di noi, verso la nostra stessa dignità. 

Perché la giustizia non è solo un compito delle toghe, delle forze dell'ordine o delle istituzioni. La giustizia è responsabilità di tutti. Di ognuno di noi. Ecco perché mi indigna vedere quanti, dopo aver partecipato a cerimonie commosse, tornano alle loro vite come se nulla fosse. Come se ricordare bastasse.

No, non basta. Non serve a nulla piangere sui martiri della legalità se poi continuiamo a vivere immersi in quella cultura dell'illegalità che li ha uccisi. Sì... dobbiamo fare la nostra parte! 

Noi, cittadini onesti, dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere. Dobbiamo essere la voce che denuncia, il gesto che rifiuta la tangente "piccola piccola", il coraggio che dice no al pizzo. Dobbiamo essere quegli imprenditori che preferiscono fallire piuttosto che piegarsi al racket, quei giovani che studiano la Costituzione invece di imparare il linguaggio della sopraffazione. Dobbiamo essere la Sicilia libera dalla mafia, non come un sogno irraggiungibile, ma come un dovere imprescindibile.

E qui permettetemi di aggiungere una riflessione personale... 

Spesso penso che la vera rivoluzione non sia fatta di grandi gesti eroici, ma di piccole scelte quotidiane, ad esempio il commerciante che paga regolarmente le tasse, pur sapendo che molti suoi colleghi evadono, oppure, il genitore che insegna ai propri figli che il rispetto delle regole è più importante del successo facile. Già... è anche l'insegnante che spiega ai suoi studenti che la Costituzione non è un libro polveroso, ma una bussola per orientarsi nel mare della vita. Sono queste scelte, apparentemente insignificanti, che possono cambiare il mondo. 

Perché la mafia - e qui mi permetto di essere drastico - non ha paura delle commemorazioni. Ha paura delle nostre azioni. Ha paura di una società che smette di tollerare l'illegalità, che non la considera più "normale", che non la accetta come inevitabile. Ha paura di una legalità che smette di essere un discorso e diventa pratica.

Allora, te lo chiedo di nuovo: tu, da che parte stai? Accetti le logiche dell'illegalità come "normali", oppure alzi la testa, anche quando costa? Non si tratta di fare gli eroi. Si tratta di essere semplicemente noi stessi: cittadini consapevoli, persone integre, esseri umani che credono nel valore della giustizia. 

Perché la legalità, quando diventa pratica, è rivoluzione! Ed è questa rivoluzione che Rosario Livatino, da lassù, ci chiede di portare avanti, sì... ogni giorno.

venerdì 2 maggio 2025

Un grido che nessuno ha sentito in tempo: tra istinto e disperazione.

C'è un dolore che va oltre le parole: quello di una madre che, invece di accudire, distrugge!

Ma c'è un'altra ferita, più crudele, che riguarda tutti noi: quella di un sistema che registra, annota segnalazioni, archivia cartelle, e poi aspetta, sì... aspetta che accada l'irreparabile per dire "non potevamo sapere". 

Mi chiedo: quanti altri "quasi" dobbiamo ignorare prima di capire che prevenire non è un lusso, ma un dovere? Quanti pianti sommessi devono trasformarsi in tragedie perché decidiamo di agire?

Ho saputo che i passanti hanno cercato di rianimare quel corpicino esanime, che i soccorsi sono arrivati in pochi minuti, ma il tempo della cura era ormai scaduto. E così... mentre un padre si dispera, viene spontaneo chiedere: perché interveniamo sempre dopo? Perché i protocolli di emergenza non si attivano prima che un grido diventi un cadavere? Perché la salute è ancora un tema da sussurri e non da piani d'azione?

Le parole non bastano, anzi di più... non servono!

Sappiamo  bene come già domani i quotidiani cambieranno argomento, i social si riempiranno di quei "mai più", gli stessi che svaniranno in poche ore, mentre ora Catania piange una figlia mai cresciuta!

E' tempo di rompere quel ciclo di negligenze, di mancanze al proprio dovere o a quel compito assegnato, all'assolvere agli obblighi, al non limitarsi al minimo indispensabile, senza poi intervenire davvero... 

Serve ben altro che solidarietà a scaglie: servono investimenti concreti su reti di sostegno familiare, formazione per operatori sociali, accesso immediato a terapie psichiatriche gratuite. Servono sopratutto leggi che tutelino non solo il bambino, ma anche la madre che sta annegando. Perché salvare una significa salvare entrambi!

Quella bambina non è una "notizia". È uno specchio impietoso delle nostre mancanze. È il simbolo di ogni vita che poteva essere salvata con un ascolto attento, un gesto tempestivo, una telefonata a un numero verde. Chiamare non è solo un gesto di pietà: è un atto di responsabilità collettiva. Perché il male non colpisce a caso. Colpisce dove la società ha smesso di guardare.

Permettetemi quindi di condividere (in caso di aiuto o sapendo di qualcuno in difficoltà) questi numeri, perché una telefonata può fermare (prima che sia troppo tardi...) anche una caduta: 

- Telefono Azzurro - 19696

- Numero Verde - Salute Mentale - 800 833 833


giovedì 1 maggio 2025

SP102 II: dopo le mie segnalazioni, ora anche il Consigliere Strano denuncia il degrado.

Ieri, scorrendo Facebook, mi sono imbattuto in un post che riecheggiava una denuncia che conosco bene: la mia. Prima di parlare di ponti sullo stretto o di venire a chiederci il voto, qualcuno dovrebbe ascoltare le voci che si alzano dal cemento crepato della SP102 II. 

Già... come quella del Sindaco Ruggero Strano, ora anche Consigliere Provinciale, che ha appena inviato un grido d’allarme alla Città Metropolitana di Catania.

Leggere la sua nota ufficiale è come ripercorrere quella strada con le sospensioni che gemono:

"la presente per segnalare alla S.S. un tratto di strada ammalorato sito presso la SP102 Il al Km 3.0 da Sferro direzione Castel di ludica. La strada in questione versa in condizioni di grave degrado, con buche e crepe che rendono pericoloso il transito veicolare, dunque la sua condizione attuale rappresenta un rischio concreto per la sicurezza di tutti gli utenti della strada.

Pertanto, al fine di prevenire disagi e situazioni di grave pericolo per la regolare circolazione veicolare della strada SP102 II, nonché al fine di garantire l'incolumità dei cittadini che giornalmente si trovano a percorrere la sopracitata strada, con la presente, si chiede alla S.S. un intervento urgente affinché possa essere ripristinato il tratto di strada ammalorato sito presso la SP102 II eseguendo i lavori di manutenzione e riparazione necessari a garantire la sicurezza e la fluidità del traffico".

Rileggendo alcune di quelle parole - "segnaliamo un tratto ammalorato, buche, crepe, un rischio concreto per chi transita, intervento urgente per garantire sicurezza e fluidità"- non si può che avere i brividi. 

Già... parole che sembrano scolpite nel bitume consumato. Eppure, quante volte abbiamo urlato la stessa cosa? Io stesso, in questo blog, ho mappato quel degrado come un diario di bordo, a cui debbo dire sono seguiti degli interventi se pur limitati, come il ripristino di alcune buche con bitume, lavori sul viadotto, posa di guard rail e segnaletica...

Venerdì 7 giugno 2024 - Forse è tempo che quell'Assessorato delle infrastrutture e della mobilità, inizi a fare qualcosa! 

Domenica 14 luglio 2024 - SP102 II per Castel di Judica: Assessore Aricò... molto bene, abbiamo fatto 30, ora facciamo 31? 

Venerdì 30 agosto 2024 - Presidente Schifani - so bene che non siamo sotto periodo di elezioni - ma perché non prova a farsi un giro con il suo staff per le strade siciliane?

Per ultimo, il post di giovedì 6 giugno 2024, nel quale facevo all'inizio riferimento: Caro "Ministro delle Infrastrutture" (Matteo Salvini) & Co. (Meloni e Tajani): prima di parlare di ponte sullo stretto o presenziare in questi giorni per chiederci il voto, ascoltate ed osservate quanto richiesto a gran voce dal Sindaco Ruggero Strano! 

Non so quanto peso abbiano avuto le mie segnalazioni, ma qualcosa nell'anno solare si è mosso e oggi, con la nota del Consigliere Provinciale Strano, la richiesta diventa corale.
 
Perché essere cittadini attivi significa proprio questo: insistere, documentare, tenere traccia, senza aspettarsi medaglie, ma con la certezza che ogni voce aggiunta al coro scalfisce l’indifferenza.

E allora Vi chiedo: cosa possiamo fare ancora? Condividere queste richieste? Fotografare ogni buca? Scrivere ancora ai "politici e dirigenti" di turno!

Perché la verità è semplice: una strada sicura dovrebbe essere un diritto, non un miraggio! 

E mentre a Roma discutono di megaprogetti, ponti, altavelocità, porti, etc... noi continueremo a indicare il selciato che crolla sotto le nostra ruote...

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