Oggi vorrei riprendere la memoria di un uomo, un giudice, Rosario Livatino, che ha fatto della legalità non solo una professione ma una vera e propria missione. Una missione che gli è costata la vita.
Era il 21 settembre del 1990 quando "Cosa Nostra" decise di ucciderlo. Pensavano -o forse speravano- che con lui sarebbe morta anche la luce della giustizia. Quella stessa luce che aveva acceso insieme ad altri eroi, come Falcone e Borsellino, e che invece continua a brillare, nonostante tutto...
Ma qui sta il punto: non basta ricordare. Non basta commemorare. Il giudice Livatino non è solo un nome inciso su una targa, né un'icona da celebrare una volta all'anno per poi tornare alla routine. È un testimone scomodo, uno specchio che ci costringe a guardarci dentro e a chiederci: io, da che parte sto?
Perché la mafia, oggi, non è più soltanto quella del passato, quella delle bombe, dei cadaveri abbandonati lungo le strade, delle intimidazioni violente. Quella mafia esiste ancora, certo, ma è diventata più subdola, più insidiosa.
È la mafia dei compromessi, dell'omertà, delle pratiche illegali compiute quotidianamente sotto gli occhi di tutti. È la mafia che si annida negli appalti truccati, nelle raccomandazioni, nei voti scambiati per un posto di lavoro o qualche euro in più. È la mafia del silenzio, quella che ti fa abbassare lo sguardo quando sai che qualcosa non va, ma preferisci non denunciarlo. È la mafia che vive dentro di noi, ogni volta che accettiamo l'illegalità come normale, ogni volta che ci diciamo: "Tanto è così, non cambierà mai".
Il giudice Livatino ci ha insegnato che la legalità non si negozia. Non si può essere accomodanti, non si può cedere al proprio tornaconto. Essere intransigenti non è una scelta egoista: è un atto d'amore verso la comunità, verso chi viene dopo di noi, verso la nostra stessa dignità.
Perché la giustizia non è solo un compito delle toghe, delle forze dell'ordine o delle istituzioni. La giustizia è responsabilità di tutti. Di ognuno di noi. Ecco perché mi indigna vedere quanti, dopo aver partecipato a cerimonie commosse, tornano alle loro vite come se nulla fosse. Come se ricordare bastasse.
No, non basta. Non serve a nulla piangere sui martiri della legalità se poi continuiamo a vivere immersi in quella cultura dell'illegalità che li ha uccisi. Sì... dobbiamo fare la nostra parte!
Noi, cittadini onesti, dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere. Dobbiamo essere la voce che denuncia, il gesto che rifiuta la tangente "piccola piccola", il coraggio che dice no al pizzo. Dobbiamo essere quegli imprenditori che preferiscono fallire piuttosto che piegarsi al racket, quei giovani che studiano la Costituzione invece di imparare il linguaggio della sopraffazione. Dobbiamo essere la Sicilia libera dalla mafia, non come un sogno irraggiungibile, ma come un dovere imprescindibile.
E qui permettetemi di aggiungere una riflessione personale...
Spesso penso che la vera rivoluzione non sia fatta di grandi gesti eroici, ma di piccole scelte quotidiane, ad esempio il commerciante che paga regolarmente le tasse, pur sapendo che molti suoi colleghi evadono, oppure, il genitore che insegna ai propri figli che il rispetto delle regole è più importante del successo facile. Già... è anche l'insegnante che spiega ai suoi studenti che la Costituzione non è un libro polveroso, ma una bussola per orientarsi nel mare della vita. Sono queste scelte, apparentemente insignificanti, che possono cambiare il mondo.
Perché la mafia - e qui mi permetto di essere drastico - non ha paura delle commemorazioni. Ha paura delle nostre azioni. Ha paura di una società che smette di tollerare l'illegalità, che non la considera più "normale", che non la accetta come inevitabile. Ha paura di una legalità che smette di essere un discorso e diventa pratica.
Allora, te lo chiedo di nuovo: tu, da che parte stai? Accetti le logiche dell'illegalità come "normali", oppure alzi la testa, anche quando costa? Non si tratta di fare gli eroi. Si tratta di essere semplicemente noi stessi: cittadini consapevoli, persone integre, esseri umani che credono nel valore della giustizia.
Perché la legalità, quando diventa pratica, è rivoluzione! Ed è questa rivoluzione che Rosario Livatino, da lassù, ci chiede di portare avanti, sì... ogni giorno.
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