Sabato 4 febbraio 2017: Ecco cosa può accadere... quando non c'è giustizia!!!
Mercoledì 31 maggio 2017: Giustizia ritardata è giustizia negata!!!
Mercoledì 5 agosto 2020: L’animo umano non appare mai così forte e nobile, come quando rinuncia alla vendetta e osa perdonare un torto!!!
Sabato 3 febbraio 2024: Ma in questo Paese, chi paga effettivamente per i reati commessi???
Sabato 27 luglio 2024: Se questo è esser genitori: già... si comprende il perché accadono ogni giorno tragedie come quelle che purtroppo andiamo vivendo!!!
Quando una madre piange un figlio ucciso per un paio di cuffie, cosa resta da dire? Le parole si spezzano, e lo Stato – quello stesso Stato che dovrebbe punire, proteggere, garantire – diventa un eco lontano, un meccanismo arrugginito che gira a vuoto.
Eppure, quante volte l’abbiamo ripetuto: "Giustizia ritardata è giustizia negata". Lo scrivevo nel 2017, e oggi, a distanza di anni, la storia si ripete con una ferocia quasi rituale. Madri che urlano in diretta tv, padri che impugnano pistole, familiari che smettono di aspettare. Perché? Perché i tribunali assolvono, le pene si riducono, i colpevoli tornano in strada prima del dolore delle vittime. E allora diventa inevitabile che qualcuno decide di chiudere i conti da solo...
Quelli sopra riportati non sono dei semplici post, sono moniti lasciati cadere nel tempo, pietre lanciate in uno stagno troppo spesso immobile. E oggi, mentre l’eco di un colpo di pistola risuona in una piazza, quelle parole tornano a bussare alla nostra coscienza con domande scomode: Avevamo previsto tutto questo? E soprattutto, potevamo evitarlo?
Perché quando la giustizia istituzionale vacilla, ciò che avanza non è il caos, ma qualcosa di più pericoloso: la rassegnazione. Quella stessa rassegnazione che trasforma un padre in giustiziere, una vittima in carnefice, un lutto in una condanna a vita senza appello. Non è un caso, non è follia. È il risultato matematico di un sistema che ha smesso di contare i fallimenti mentre illudeva di contare i giorni di pena.
Eppure, persino in questo baratro, una verità rimane: la giustizia "fai-da-te" non restituisce i figli uccisi, non risana le ferite, non costruisce società migliori. Al massimo, crea nuovi lutti e nuovi vuoti. Ma come biasimare chi, dopo anni di attesa, si è visto consegnare dalle istituzioni non una sentenza, ma un’amara beffa?
Forse il vero interrogativo non è "perché l’ha fatto?", ma "cosa abbiamo fatto noi per evitarlo?". Abbiamo ascoltato abbastanza le vittime? Abbiamo preteso che ogni condanna fosse all’altezza del dolore inflitto? O abbiamo accettato, con silenzio complice, che i tribunali diventassero fabbriche di promesse non mantenute?
Quel colpo di pistola ha ucciso due volte: un uomo, e simbolicamente, l’ultimo barlume di fiducia in uno Stato che dovrebbe proteggere ma troppo spesso delude. Ora tocca a noi scegliere: continuare a discutere di eccezioni e casi isolati, o ammettere che dietro ogni "gesto folle" si nasconde una lunga scia di giustizia mancata.
Perché come scrivevo anni fa, "l’animo umano è nobile quando perdona"... ma prima di arrivare alla nobiltà, deve attraversare il deserto della giustizia. E quando nel deserto non si trova neppure una goccia d’acqua, perfino i più forti possono impazzire.
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