Ma la verità è che qui non si tratta di un banale intoppo diplomatico, bensì dell’ennesima dimostrazione di come la politica internazionale venga gestita con miopia e sudditanza.
Il "grosso ostacolo" di cui parlano, il mancato rilascio degli ostaggi, non è un dettaglio negoziale, è la sostanza stessa del conflitto. Israele ha chiarito da mesi che senza quel gesto non ci sarà tregua, non ci sarà pace, eppure c’è ancora chi si ostina a credere che basti un vertice, una stretta di mano, una promessa vuota per cambiare le carte in tavola.
I funzionari anonimi intervistati dicono che i negoziati continueranno, come se la perseveranza bastasse a colmare l’abisso tra le parti. Hamas "spera di raggiungere un accordo", dicono. Ma quale accordo può mai esserci con chi ha pianificato il massacro del 7 ottobre, con chi ha trasformato il sangue di 1200 innocenti in una moneta di scambio?
È grottesco persino doverlo ripetere, eppure sembra che in troppi abbiano già rimosso l’orrore di quel giorno, come se fosse un incidente di percorso e non la scintilla che ha ridisegnato i contorni di questo conflitto.
E mentre Hamas ammette di aver perso l’80% del controllo su Gaza, ecco spuntare la solita retorica della "pressione negoziale", come se Israele dovesse fermarsi proprio ora, proprio quando la vittoria militare è a portata di mano.
Qualcuno sussurra che Tel Aviv potrebbe estendere le operazioni alla Cisgiordania, ed è allora che scatta il panico diplomatico, l’urgenza artificiale di trovare una soluzione. Ma Israele nega, smentisce, ribadisce che i colloqui proseguono. E intanto, sul campo, nulla cambia: gli aiuti umanitari continuano a essere bloccati, la popolazione di Gaza soffoca, e la guerra non accenna a placarsi.
Trump annuncia ottimisticamente che ci sono "buone possibilità" per un accordo, come se la questione fosse una trattativa immobiliare da chiudere con una stretta di mano. "Abbiamo già liberato molti ostaggi", dice, come se fosse merito suo, come se il resto fosse solo una formalità.
Ma la realtà è che finché un solo ostaggio rimarrà nelle mani di Hamas, Israele non si fermerà. E chi crede il contrario, chi sogna una soluzione diplomatica senza aver capito la posta in gioco, sta solo illudendo se stesso e gli altri.
E allora, mentre i nostri governanti si affannano a ripetere i copioni scritti da altri, mentre i media ci raccontano una pace che non esiste, la verità è semplice e spietata: questa guerra finirà solo quando Israele deciderà che è finita. E quando quel giorno arriverà, Gaza non sarà più la stessa.
Forse non ci sarà più. E a quel punto, tutti quei discorsi sui negoziati, sui cessate il fuoco, sulle soluzioni condivise, suoneranno come quello che sono sempre stati: parole vuote in un mondo che non ha più tempo per le illusioni.
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