Il procuratore che tiene lezioni in televisione non è solo una scelta di sensibilizzazione, è il segnale che ormai siamo arrivati a un punto in cui parlare di mafia serve più a tranquillizzare la coscienza collettiva che a contrastarla realmente.
La verità...? Il Paese ha deciso di convivere con essa, non per paura, non per rassegnazione, ma perché si è fatta strada l’idea che in fondo, in qualche modo, essa funzioni da collante sociale, un male necessario che permette a tanti di ottenere qualcosa senza troppi passaggi burocratici né troppe attese.
Mentre i notiziari raccontano di guerre lontane, di sbarchi quotidiani e di temperature sempre più estreme, la mafia continua a lavorare silenziosa, quasi invisibile, dentro quei meccanismi che tengono insieme un sistema fragile e precario.
Non è più quella che ti minaccia alla porta di casa, è piuttosto quella che ti fa avere il posto fisso al mercato comunale, che ti assicura un posto in ospedale fuori lista d’attesa, che ti fa assumere tuo cugino anche se non ha esperienza.
Ecco, questa è la mafia di oggi, non solo criminalità organizzata ma rete informale di scambi, favori, promesse mantenute, dove il confine tra legale e illegale si fa sempre più sottile fino a sparire del tutto.
E allora, mentre si discute di etica pubblica e di legalità, ci si dimentica che molte persone vivono grazie a quelle pratiche che ufficialmente condanniamo. Non parliamo più di complicità esplicite, di omertà urlata nei vicoli dei paesi, ma di una sorta di adattamento quotidiano, una specie di contratto sociale non scritto in base al quale accetti di chiudere un occhio purché ti sia garantita una vita meno complicata.
Difatti... la mafia non viene più combattuta perché in fondo sono in molti a beneficiarne, direttamente o indirettamente, e nessuno vuole rinunciare al proprio tornaconto pur di mantenere un minimo di equilibrio esistenziale. Un vero schifo, viene il vomito solo a pensarci. Tutti coloro che prendono dalla mafia sono spesso ancor più schifosi degli stessi mafiosi. Siano essi politici, uomini delle istituzioni, magistrati, forze dell’ordine, dirigenti o funzionari pubblici, direttori dei lavori, responsabili della sicurezza, personale della pubblica amministrazione, addetti ai controlli e via dicendo. Un calderone pieno zeppo, sì... anche di quei comuni delinquenti le cui foto vediamo ogni giorno pubblicate sul web, persone che sopravvivono grazie alla mafia e che ne sono, molto spesso, diretti affiliati.
Già... il problema non è più soltanto il silenzio delle istituzioni, ma quel torpore diffuso, quella rassegnata indifferenza che ha preso il posto dell’indignazione. La gente comune ha smesso di ribellarsi davvero, ha imparato a convivere con il marcio, come se fosse una pioggia fastidiosa ma inevitabile. E allora arriva il procuratore Nicola Gratteri, che con le sue parole in tv cerca di scuotere le coscienze, soprattutto quelle dei giovani, sperando in un risveglio collettivo.
Ma quanti, dopo averlo ascoltato, si sentono improvvisamente in pace con sé stessi, come se quella mezz’ora di retorica antimafia bastasse a lavare la loro coscienza? Quanti escono dalla catarsi emotiva del discorso per poi tornare, il giorno dopo, a intascare la bustarella, a cercare la raccomandazione, a voltarsi dall’altra parte? È un gioco pericoloso: credere che ascoltare sia già agire, che indignarsi a parole equivalga a cambiare le cose. Intanto, la mafia ringrazia. Perché sa che finché ci accontenteremo di sentirci puliti solo per aver prestato orecchio, lei continuerà a vincere.
Ma come ripeto ormai da anni, nulla più mi sorprende e soprattutto di una cosa mi sono convinto: il vero dramma non è la mafia, ma la consapevolezza che ormai essa non fa più notizia, non scandalizza più, non mobilita più. È diventata parte del paesaggio, una presenza costante e scontata come la pioggia a novembre o il caldo afoso d’agosto.
E quando persino i mezzi d'opera nei cantieri o quelli agricoli in agricoltura provocano più morti di quelli compiuti dalla criminalità organizzata, mi chiedo se la battaglia antimafia abbia ancora senso oppure se non sia il caso di ammettere - una volta e per tutte - che siamo noi, già... ciascuno di noi ( o quantomeno consentitemi di fare una precisazione: tutti coloro che partecipano costantemente a quel malaffare...), con le nostre piccole complicità quotidiane, a mantenerla viva e vegeta!
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