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lunedì 27 ottobre 2025

Da una nota su Instagram, una riflessione personale.

Ho letto ieri sera una nota su "Instagram" che invitava a vietare l’aborto per far ripartire la natalità, definendolo un omicidio e un fardello disumano, e altresì, proponeva di bruciare in un rogo liberatorio tutto ciò che viene considerato una minaccia per i giovani, dalla pornografia all’indottrinamento gender, affermando la necessità di tornare a una “famiglia vera” e a ruoli di genere rigidamente definiti.

Ma come ripeto spesso, a volte le risposte più semplici ai problemi complessi, sono proprio quelle che più ci allontanano da una reale soluzione. 

Già... la tentazione di imporre un ordine, di stabilire regole ferree e di eliminare simbolicamente tutto ciò che non vi si conforma è comprensibile in un'epoca di grandi incertezze, ma rischia di essere una cura peggiore del male. 

Difatti, la vera sfida, forse, non sta nel tornare a un passato idealizzato o nell'ergere muri di divieti, ma nel costruire un presente capace di accogliere la complessità con pragmatismo e un rispetto infinito per le persone.

Pensiamo al tema della natalità. Il cuore urla contando ogni vita che non c'è più, e la statistica di quel gran numero d'interruzioni di gravidanza è un dato che interpella la coscienza di tutti, ma la risposta non può limitarsi a un divieto perentorio. 

Come ho scritto in questi mesi, obbligare una donna, specialmente in casi estremi come una violenza, a portare avanti una gravidanza non è un atto di amore per la vita, ma l'imposizione di un trauma profondo che ignora la sua salute psicofisica. 

Perché difendere la vita significa, prima di tutto, sostenere le vite esistenti in tutte le loro difficoltà, creando una rete sociale ed economica che renda desiderabile e sostenibile la maternità, non vissuta quindi con paura.

Allo stesso modo, il concetto di famiglia merita una discussione onesta che vada oltre gli slogan. È indubbio che la famiglia tradizionale abbia una sua forza, ma non è l'unico luogo in cui l'amore e la stabilità possano fiorire. 

Onestamente, posso nutrire personali riserve, magari legate al disagio sociale che un bambino potrebbe incontrare, ma devo anche riconoscere con altrettanta onestà come, molte coppie omosessuali, offrano un affetto più autentico e responsabile di tante famiglie eterosessuali in crisi. 

L'amore non ha un'unica forma, e la stabilità di un figlio nasce dalla qualità delle relazioni, non dall'adesione a un modello astratto.

Quando si parla di bruciare le influenze negative per i giovani, si tocca un nervo scoperto di ogni genitore. Certo, la paura è reale, ma un rogo, per quanto liberatorio possa apparire, è solo un atto distruttivo che non costruisce nulla. 

Non si combattono le dipendenze e le insidie con la censura, ma educando alla responsabilità, al senso critico, alla gestione delle emozioni. Bruciare non educa, distrugge. E' l'educazione l'unico vero antidoto all'indottrinamento, di qualsiasi segno esso sia.

Sì... alla fine, il punto fondamentale è proprio questo. C'è chi vede nel ritorno a principi chiari e netti la cura per una deriva sociale, io, al contrario, vedo in quel rigore un pericolo di soffocare la complessità delle esistenze individuali. 

Forse la verità non sta in un estremo o nell'altro. Non si tratta di scegliere tra una tazzina tradizionale e una tazza moderna, quanto di trovare un punto d'incontro. Così, una comunità sana non cerca una rigida chiusura né un'apertura senza confini, ma un equilibrio dove le regole sappiano includere e la libertà non significhi smarrimento.

Certo, parliamo di un equilibrio fragile, l'unico che rispetti insieme la dignità del vivere comune e la libertà della coscienza di ciascuno. Ma alla fine, prima di qualsiasi regola, vengono sempre le persone, con le loro storie, le loro sofferenze e soprattutto il loro diritto inalienabile di essere ascoltate.

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