Tutto nasce dalla lettura di un articolo di alcuni giorni fa, in cui il Cardinale e Patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, insieme al Custode di Terra Santa, padre Francesco Ielpo, lanciano un appello accorato attraverso un video messaggio: è tempo di tornare in Terra Santa.
I due prelati invitano i pellegrini a riprendere a visitare i luoghi di Gesù, affermando con sicurezza che “il pellegrinaggio è sicuro” e che, sebbene non si possa ancora parlare di una pace vera e propria, “la guerra è finita”.
Ora, leggendo queste parole, un dubbio ha cominciato a insinuarsi nella mia mente, una profonda perplessità che non riesco a scacciare.
Mi chiedo, mio caro Patriarca Pizzaballa, se lei sia veramente sicuro di stare a Gerusalemme o se, forse, i suoi occhi vedano una realtà diversa dalla mia o, per meglio chiarire, se lei non stia guardando da tutt'altra parte, magari spinto dall'urgenza di rilanciare quel business milionario che da due anni, a causa del conflitto, è rimasto sospeso.
Eppure, sappiamo bene come Papa Francesco l'abbia voluto nominare Patriarca a tutti i costi nel 2020, ed eccola qui ora, insieme a padre Ielpo, pronunciare quella frase che suona come un invito formale: "Il pellegrinaggio è assolutamente sicuro, quindi è tempo di venire in Terra Santa per esprimere questa vicinanza con questa chiesa". Definisce quello in Terra Santa "il pellegrinaggio per eccellenza", un incontro con la storia e l'umanità di Gesù, che diventa anche incontro con una piccola comunità cristiana che ha molto sofferto.
Ed ecco quindi che anch'io mi rivolgo al Cardinale e al Patriarca: non siate increduli, ma credenti! Non fate come tutti coloro per i quali la fede deve passare obbligatoriamente attraverso un viaggio organizzato.
Sì... sono fermamente convinto che poco o nulla importi, alla maggior parte di chi opera in quel settore turistico-religioso, l'aspetto spirituale dei fedeli; ciò che interessa davvero è il flusso milionario che da quel settore si ricava, quantificabile in milioni e milioni di euro.
Un fiume di denaro che viene suddiviso tra enti, confraternite, accompagnatori spirituali, tour operator, agenzie di viaggio, guide, assicurazioni e servizi di autotrasporti, a cui si sommano i ticket d'ingresso davanti ai luoghi sacri e le lucrose compravendite di reliquie e oggetti sacri, venduti in ogni angolo di strada.
Stiamo parlando di luoghi sacri per tutti i credenti delle tre grandi religioni monoteiste, eppure il meccanismo che li governa sembra essere sempre lo stesso. Ecco, quindi, la vera ragione che, nonostante il territorio sia ancora a rischio di bombe e attentati, spinge questi togati a insistere per un ritorno alla normalità, o almeno, a una sua apparenza.
È proprio questo il punto cruciale, ciò che ahimè sta drammaticamente mancando: una fede che si fa carne nelle azioni quotidiane, non un business che si consuma in un viaggio. Quel messaggio di amore universale, che dovrebbe abbattere ogni barriera e unire gli spiriti, rischia di essere soffocato dal rumore assordante dei registratori di cassa e dalla fretta di ripristinare un giro d'affari.

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