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mercoledì 1 dicembre 2010

Vita extraterrestre...

Immaginate un batterio che, invece di morire avvelenato, trasforma il veleno in mattoncino della vita. Non è fantascienza: è quanto ha annunciato poche ore fa la NASA, scatenando un’ondata di stupore (e qualche titolo un po’ troppo ardito: “batterio alieno trovato sulla Terra!”).

Il protagonista si chiama GFAJ-1, vive nelle acque estreme del Mono Lake, in California — un lago salato, alcalino, ricco di arsenico, dove pochissimi organismi osano avventurarsi. Ma lui non solo ci sopravvive: secondo i ricercatori della NASA e del team guidato da Felisa Wolfe-Simon, incorpora l’arsenico al posto del fosforo nei suoi componenti fondamentali, compreso il DNA.

Sì, avete capito bene...

Finora, la vita sulla Terra si basava su sei elementi essenziali: carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, zolfo e fosforo. Il fosforo, in particolare, è cruciale: fa parte dell’ATP (la “batteria” cellulare), del DNA, dell’RNA, delle membrane. Ma il GFAJ-1 sembra aver trovato una scorciatoia chimica: l’arsenico, suo cugino tossico, quasi identico dal punto di vista atomico, ma letale per quasi ogni altra forma di vita.

Eppure… lui ci costruisce la vita.

La scoperta, in arrivo su Science Express, non è solo un record di resistenza estrema. È una porta aperta su mondi nuovi. Se la vita può riscrivere le proprie regole chimiche qui, sulla Terra, allora forse altrove — su Marte, su Europa, su esopianeti lontani — potrebbe essersi evoluta con “ingredienti” del tutto diversi. Forse non serve nemmeno cercare l’acqua, o il carbonio: basta cercare la capacità di adattarsi.

Ma non è l’unica notizia che fa sognare.
Già da tempo, l’Indian Space Research Organisation (ISRO) aveva raccolto campioni a 40 chilometri di quota con palloni stratosferici, trovando tre specie di batteri mai viste prima. Scienziati indiani li hanno definiti “alieni” non perché arrivino da un altro pianeta, ma perché non assomigliano a nulla di terrestre conosciuto. Una delle ipotesi? Sono stati lanciati in alto da eruzioni vulcaniche, e lì, tra radiazioni e freddo cosmico, si sono trasformati in qualcosa di nuovo.

E poi c’è una storia tutta italiana, che in pochi conoscono ma che merita attenzione.
A Napoli, i professori Bruno D’Argenio (geologo) e Giuseppe Geraci (biologo molecolare) della Federico II, insieme all’Istituto Geomare del CNR, hanno isolato microrganismi straordinari all’interno di meteoriti vecchie di 4,5 miliardi di anni — quasi coetanee del Sistema Solare. Li chiamano “cristallomicrobi” o “Cryms”, perché vivono incastonati nei cristalli delle rocce extraterrestri.

E il più incredibile?
Quando vengono messi a contatto con una semplice soluzione fisiologica, si “risvegliano”: si muovono, si riproducono, e possono essere clonati in laboratorio. Sono stati trovati anche in rocce terrestri antichissime, alcune risalenti a 3,8 miliardi di anni fa, su diversi continenti. E sopravvivono persino a sterilizzazioni a 950 gradi — un dato che, secondo i ricercatori, esclude quasi del tutto la contaminazione moderna.

Ne ha parlato con entusiasmo Giovanni Bignami, allora direttore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI):

«Il loro DNA non corrisponde a nessuno dei 18.000 ceppi finora catalogati. Se questa scoperta sarà confermata, cambierà radicalmente la nostra idea sull’origine della vita. Forse non è nata sulla Terra, ma nella nebulosa primordiale da cui si sono formati tutti i pianeti. E allora questi organismi potrebbero essere ovunque: nelle meteoriti, sui pianeti, nello spazio stesso». 

Ora, i metodi e i risultati saranno pubblicati e messi a disposizione della comunità scientifica internazionale. Le verifiche arriveranno, i dibattiti si accenderanno — è così che funziona la scienza. Ma intanto, una cosa è certa: stiamo guardando la vita con occhi nuovi.

Perché forse non è così rigida, così prevedibile, così “terrestre” come credevamo.

Forse è più libera. Più audace. E forse… più universale.

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