Translate

mercoledì 30 aprile 2025

Ancora mazzette. Sempre le stesse scene, sempre lo stesso copione...

Si arresta, si sequestra, si sbatte in prima pagina la notizia, e poi? 

Poi tutto riprende come prima, anzi no... peggio di prima!

Perché? Semplice... perché il malaffare non si ferma, non ha paura, non trema davanti a un paio di manette o a un titolo di giornale.

Questo diffuso "sistema criminale" sa bene che tanto, domani, sarà un altro giorno, e un altro giorno significa un'altra busta, un altro accordo, ovviamente "sottobanco", e così ecco un altro controllo evitato, un altro funzionario comprato...

Ed allora leggiamo di un imprenditore, di un dirigente pubblico, di una manciata di euro, che passano di mano in mano, in un parcheggio, in un bar, ma anche in un qualche ufficio, preferibilmente isolato....

Ed oggi pensate che sia andata diversamente? No... tutto si ripete in maniera costante, aggiungerei "mensilmente", non so dove, con chi e per cosa, ma state certi che quel passaggio di denaro avviene in maniera sistematica!

E domani??? Sicuro, la circostanza si ripeterà nuovamente, cambierà solo il luogo dell'incontro, perché la mazzetta non è un incidente di percorso, non è l’eccezione: è il motore di questo Paese!

È ciò che tiene in piedi tutto l’ingranaggio di quello schifo chiamato corruzione, affarismo, dissolutezza, clientelismo, degrado, scambio, lobbismo, già... quello che permette agli appalti di finire sempre alle stesse ditte, ai rifiuti di sparire nel nulla (e di riapparire, tossici, sotto casa tua...) e ai controlli di essere solo un teatrino!

E difatti ditemi? Cosa cambia quando ne beccano uno? Non mi riferisco a chi solitamente corrompe, ma anche a chi riceve quelle mazzette "contaminate". Nulla. Perché il problema non è il singolo, è tutto il sistema che lo alimenta! 

Quello per cui chi dovrebbe vigilare preferisce girarsi da un’altra parte, perché la verità è che anche lui ci marcia, già ci campa bene con quell'introito non dichiarato, peraltro non va dimenticato come c'è la moglie da accontentare, i figli da mantenere, le minicar da acquistare, i mutui da pagare e soprattutto le vacanze da concedersi...

Sì... sono tutti complici, tutti colpevoli, tutti con le mani sporche!

E intanto la macchina va avanti a favore soprattutto di chi paga e paga bene, perché si sa con i soldi puoi comprare tutto, in particolare i cittadini, come sempre ben disposti, proprio come un'auto, a farsi riempire il serbatoio, sì... di carburante d'illegalità!!!

martedì 29 aprile 2025

Dio, le formiche e il teatro del lutto!

Guardavo in Tv Piazza San Pietro e quella folla oceanica piegata in preghiera, quegli occhi lucidi, quelle mani strette attorno a rosari come ancore di salvezza...

Ed allora mi sono chiesto: quanto pesa davvero la morte di un uomo che ha interpretato un ruolo?

Francesco ha parlato di povertà, di accoglienza, di misericordia. Sì... vero, ma ritengo che quello fosse il suo lavoro. Il copione lo imponeva!

D'altronde ditemi, ae avesse benedetto guerre o accumulato oro invece che predicare umiltà, non l'avremmo chiamato eretico? Eppure i suoi predecessori lo fecero per secoli, senza remore. 

Crociate, roghi, conquiste – tutto in nome di Cristo!

Allora perché oggi ci commuoviamo per un uomo che ha semplicemente recitato la parte migliore del testo? Forse perché ci piace credere che la bontà sia eccezione, non obbligo. Che un papa "giusto" sia un miracolo, non un dovere. Ma è qui che la fede mostra le sue crepe: se Dio è davvero onnipotente, perché ha bisogno di intermediari? Perché un uomo in bianco dovrebbe essere più vicino al divino di un barbone che dorme in stazione?

Ah, già… il Paradiso. Quella ricompensa ipotetica che trasforma la moralità in un calcolo: "Se mi comporto bene, andrò in un posto migliore". Peccato che la storia ci mostri l’esatto contrario. I più ferventi credenti spesso sono gli stessi che insultano online, che giudicano, che odiano in nome di Dio. Guardate i social: messaggi pieni di veleno, scritti da chi magari oggi piangeva in piazza San Pietro. Dov’è quindi la coerenza? Dov’è quel regno dei cieli che dovrebbe rendere migliori?

E poi, Dio… quel giudice eterno che, stando ai devoti, tiene conto di ogni nostro respiro. Ma davvero?

Se così fosse, avrebbe già cancellato l’umanità con un colpo di spugna. Invece siamo qui, minuscoli: lo 0,01% della biomassa terrestre, meno degli insetti, un’inezia del cosmo. Forse è proprio questo il punto: Dio non ci deve nulla. Se ancora esistiamo, non è per le preghiere, ma perché le formiche – quelle sì utili – non hanno ancora deciso di ribellarsi.

Quindi, piangete pure il papa, ma smettetela di illudervi che il cielo sia un referendum sulle vostre azioni. L’unico paradiso che conta è quello che costruiamo (o distruggiamo) qui. E a giudicare dai fatti, non sembriamo molto interessati a salvarlo!

lunedì 28 aprile 2025

Un ponte di pace in un mondo diviso: l’ultimo dono di Papa Francesco?

È possibile che la pace nasca proprio nel dolore? 

Che due leader, separati da interessi opposti e da anni di tensioni, possano trovare un barlume di dialogo davanti alla bara di un uomo che ha dedicato la sua vita a costruire ponti?

Oggi, mentre il mondo piange Papa Francesco , ci troviamo di fronte a un evento che sembra uscito da un racconto simbolico, quasi troppo bello per essere vero. 

Durante i solenni funerali del Pontefice, due figure apparentemente inconciliabili – Donald Trump e Volodymyr Zelens'kyi – si sono parlati nuovamente...

Non sappiamo cosa si siano detti, ma quel successivo gesto, già... quella stretta di mano, quelle parole sussurrate in un momento di raccoglimento, hanno spezzato forse quel muro di silenzio che si era - ahimè - alzato,  durante l'ultimo incontro alla "Casa Bianca".

Quindici minuti, poche parole scambiate in un angolo discreto della Basilica, lontano dai riflettori, eppure, quel breve incontro ha acceso una flebile luce sul percorso verso la pace in Ucraina.

Un dialogo nato nel dolore, certo, ma capace di trasformarsi in un seme di riconciliazione, proprio come avrebbe voluto Francesco.

Possiamo definirlo l’ultimo miracolo del Papa?

Sappiamo quanto la scomparsa di Francesco ha lasciato un vuoto immenso, non solo nella Chiesa cattolica, ma in tutto il mondo. Era un uomo che parlava a tutti, credenti e non credenti, con una voce che superava le barriere politiche, culturali e religiose. Il suo messaggio era chiaro: il dialogo è l’unica via per risolvere i conflitti. E ora, persino nella morte, sembra aver compiuto un ultimo, silenzioso miracolo.

In quel luogo sacro, davanti alla bara del Santo Padre, due leader divisi dalla guerra – Trump, simbolo dell’America più assertiva, e Zelensky, volto della resistenza ucraina – si sono ritrovati fianco a fianco. Non erano lì per negoziare o per fare dichiarazioni pubbliche. Erano lì per onorare un uomo di pace. Ma qualcosa, in quel momento di raccoglimento, ha spinto entrambi a parlare.

Non sappiamo cosa si siano detti. Forse hanno ricordato le parole di Francesco: “La guerra è sempre una sconfitta per l’umanità.” Forse hanno riconosciuto, almeno per un istante, che la sofferenza umana va oltre le bandiere e gli interessi nazionali. O forse, semplicemente, si sono resi conto che il silenzio reciproco non fa che alimentare il fuoco del conflitto.

Quella stretta di mano, quelle parole quasi sussurrate, hanno spezzato un muro di silenzio che sembrava invalicabile. Un gesto piccolo, ma carico di significato.

Ovviamente nessuno si illuda che la guerra finirà domani. Le ostilità continueranno in quanto le posizioni restano ancora troppo lontane, e la strada verso la pace è lunga e piena di ostacoli. Ma oggi, almeno, qualcosa è cambiato...

Quando due Capi di Stato si siedono allo stesso tavolo – anche solo per onorare un uomo di pace – riconoscono una verità più grande delle loro divisioni politiche: il dialogo non è debolezza, ma coraggio.

Francesco lo sapeva bene. Lui, che aveva incontrato leader di ogni fazione, che aveva abbracciato vittime e carnefici, che aveva pregato per chi combatte e per chi subisce la guerra. Lui, che aveva definito la pace come “un lavoro artigianale”, qualcosa che si costruisce giorno per giorno, con pazienza e tenacia.

Oggi, forse, quel lavoro artigianale ha trovato una nuova voce. Una voce che potrebbe portare a un tavolo negoziale, a un cessate il fuoco, a un accordo che metta fine alle sofferenze di milioni di persone.

Ed allora come possiamo immaginare di giungere ad una pace? Immaginiamo un futuro in cui la Russia e l’Ucraina, grazie a mediazioni internazionali e al sostegno di leader come il Presidente degli Usa, riescano a trovare un terreno comune. Un futuro in cui le armi tacciono e le città distrutte vengono ricostruite. Un futuro in cui le famiglie separate dalla guerra possano riabbracciarsi, e i bambini possano crescere senza il rumore delle bombe.

Ma perché questo accada, serve un impegno collettivo. Serve che i leader mondiali smettano di vedere la guerra come uno strumento di potere e inizino a considerarla per quello che è: una tragedia umana. Serve che i cittadini di ogni Paese chiedano ai propri governi di scegliere la pace invece della violenza.

Forse, l’incontro tra Trump e Zelensky è solo un primo passo. Un passo piccolo, certo, ma significativo, un passo che può aprire la strada a nuovi colloqui, a nuove mediazioni, a nuove opportunità di dialogo.

Francesco ci ha lasciato un’eredità potente: l’arte di costruire ponti laddove sembra impossibile. 

Oggi, mentre il mondo piange il Papa, forse piange anche l’inizio di una nuova possibilità. Quella stessa possibilità che lui ha sempre cercato, fino all’ultimo respiro.

E tu, cosa ne pensi? Credi che questo incontro possa rappresentare un punto di svolta? Oppure è solo un momento passeggero, destinato a svanire nel tempo? Parliamone nei commenti. Perché la pace non è solo una questione di leader o governi. È una questione di tutti noi.

Francesco lo sapeva: il dialogo non è debolezza, ma coraggio!

domenica 27 aprile 2025

Banche "offline", panico online! E se domani toccasse a noi?

Ieri, mentre leggevo delle gravi interruzioni nei servizi bancari e digitali in Ucraina, un pensiero mi ha trafitto: e se domani toccasse a noi?

Immagina per un attimo: bancomat, app di home banking paralizzate, carte di credito ridotte a pezzi di plastica inutili. Un'interruzione tecnica? Un attacco informatico? O forse qualcosa di più profondo?

La verità è che siamo vulnerabili più di quanto osiamo ammettere. Se il sistema collassasse qui da noi - in Italia o in qualsiasi altro Paese "avanzato" - le conseguenze sarebbero devastanti. 

E no, non sto parlando di qualche ora di disagio, ma di uno shock capace di stravolgere la nostra quotidianità digitale in modo permanente.

Perché il problema non è solo tecnico, è esistenziale: in un mondo dove tutto è connesso, quando il denaro smette di scorrere, è la società stessa che va in tilt!

E quel che più mi spaventa: Siamo davvero pronti ad affrontare un'emergenza del genere o continueremo a fingere che tanto non può succedere, già... fino all'ultimo istante?

Ecco perché sono convinto che, senza interventi preventivi a tutela del sistema, il rischio sia concreto: senza piani d'emergenza solidi, quelle che oggi ci sembrano semplici interruzioni tecniche potrebbero trasformarsi domani in un vero e proprio collasso. E quando il denaro smette di circolare, nessuno - né cittadini né Stati - escono indenne dal caos.

Immaginatevi questa scena: una mattina ti svegli, prendi il caffè come sempre, apri l’app della banca per controllare lo stipendio e… nulla. Non carica. "Sarà un problema di rete" pensi. Ma poi accendi la TV, e scopri che non è soltanto un tuo problema: le carte non funzionano, i POS sono morti, gli ATM hanno smesso di erogare contanti. "Interruzione tecnica," dicono. "Temporanea," assicurano. Peccato che nessuno sappia quando tornerà tutto online.

E qui parte il delirio: I supermercati smettono di accettare carte, la gente inizia a svuotare i bancomat rimasti, c’è chi prova a pagare in contanti ma, sorpresa, nessuno ha più contanti, visto che ormai viviamo in un’economia digitale. 

Ecco che i social esplodono tra complottisti (che parlano di un reset globale), imprenditori in crisi (senza bonifici non pago i dipendenti!), ed il solito investitore che giura che "Bitcoin" ci salverà. Intanto, lo Stato emette un comunicato rassicurante scritto, come soltamente avviene, in "burocratese", mentre nelle piazze qualcuno inizia a gridare di "golpe" finanziario.

E tu, nel mezzo, ti chiedi: ma davvero nessuno ha prevsito un piano alternativo? Perché se domani il sistema collassasse, non saremmo molto diversi dall’Ucraina di oggi!

La gente inizierebbe a scambiare beni come in un medioevo digitale, i negozianti tirerebbero fuori i vecchi registri a carta, e i politici litigherebbero in TV su chi è il colpevole (sarà sempre colpa dell’Europa, dei banchieri, già... dei soliti noti).

E poi arriva la domanda che brucia: ma se fosse una scelta deliberata? Un modo per "resettare" i conti, bloccare prelievi, introdurre l’euro digitale con la forza? 

La gente si dividerebbe all’istante: c’è chi impugnerebbe forconi ("metaforici", siamo pur sempre italiani...), chi correrebbe a comprare metalli pregiati o pietre preziose, e chi, semplicemente, aspetterebbe che tutto ritorni alla normalità, perché tanto alla fine si pensa sempre che tutto si sistemi...

Ma la verità è che nessuno sa davvero come andrebbe a finire. Perché siamo abituati a dare per scontato che i servizi bancari funzionino, come l’acqua dal rubinetto. E quando scopri che tutto poggia su server vulnerabili, algoritmi e decisioni di qualche tecnocrate, beh… allora sì che capisci perché in tanti stanno accumulando contanti sotto il materasso. Giusto per precauzione...

E tu, voi, da che parte stareste? A bestemmiare contro lo Stato, a organizzare rivolte su social oppure a fare scorta di cibo e scatolame, già... forse l'unica vera valuta che sopravvivrà a tutto?

sabato 26 aprile 2025

Il funerale di Papa Francesco: l’ultimo atto di un pacificatore. Sì... un’ultima chiamata al dialogo.

Stamattina, come molti di voi, osservavo le immagini del funerale di Papa Francesco e mi sono chiesto se questa solenne celebrazione non fosse, in realtà, il suo ultimo, potente messaggio al mondo... 

Un messaggio di conciliazione, di unità, di dialogo, perché mai come oggi, in quella piazza gremita di leader mondiali, si è materializzata la contraddizione più grande del nostro tempo: siamo tutti insieme, eppure profondamente divisi.

Francesco ha speso la sua vita a tendere ponti, a cercare di sanare fratture che sembravano incolmabili, ha parlato ai potenti con la stessa umiltà con cui abbracciava gli ultimi, ha denunciato le ingiustizie senza paura, ha sfidato logiche di potere che per decenni hanno avvelenato non solo la Chiesa, ma l’intera umanità. 

E ora, nella sua morte, ha compiuto un ultimo miracolo: riunire, anche solo per poche ore, chi sulla Terra sembra non poter più trovare un linguaggio comune.

Sì... guardiamoli, quei volti. Vi sono i leader più importanti, alcuni attualmente coinvolti in scontri e guerre sanguinose, gli stssi che si accusano reciprocamente di crimini, che hanno alzato muri invece che abbatterli. 

Eppure, oggi, sono lì, seduti a pochi metri l’uno dall’altro, uniti nel silenzio. È una scena che fa riflettere: perché ci vuole la morte di un uomo di pace per fermare, anche solo per un giorno, la macchina della discordia?

Forse è proprio questo il senso più profondo del suo lascito. Francesco non ha mai creduto nell’invincibilità dell’odio. Anche quando tutto sembrava perduto, ha continuato a seminare speranza, ricordando a tutti una verità semplice eppure dimenticata: il dialogo è sempre possibile. Sempre!

Ma c’è una domanda che brucia: quanto durerà questa tregua? Quanto resterà di questo momento, una volta che le telecamere si spegneranno e i potenti torneranno ai loro palazzi? 

Perché se c’è una lezione che Francesco ci ha insegnato, è che la pace non è un evento, ma un cammino. E sta a noi, ora, decidere se vogliamo percorrerlo o restare inchiodati alle nostre divisioni.

Quindi, sarebbe bello pensare che questo funerale non sia la fine, ma un nuovo inizio. Che quelle strette di mano, quei cenni di rispetto, quelle lacrime sincere possano trasformarsi in qualcosa di più. Che i leader presenti oggi a Roma capiscano, finalmente, che la vera forza non sta nei missili o nelle sanzioni, ma nella capacità di ascoltare, di mediare, di costruire.

Francesco ci ha mostrato che un altro mondo è possibile. Ora tocca a loro renderlo reale. 

Per cui, non servono miracoli: serve coraggio, il suo, per esempio...

venerdì 25 aprile 2025

Nel nostro Paese sono tutti bravissimi a giocare: sì... a "Scaricabarile"!

No, non mi sto riferendo a quel gioco infantile a coppie, consistente nel sollevarsi a vicenda sul dorso, volgendosi le spalle e intrecciando reciprocamente le braccia. 

Oggi voglio riprendere quella "parola" perché rappresenta una consuetudine molto in voga tra i miei connazionali: la tendenza – o dovrei dire la prassi – di chi scarica su altri, incombenze, responsabilità e, soprattutto, problemi.

Ed ecco quindi sfilare tutta una teoria di soggetti che, pur di non accollarsi alcun peso, non fanno nulla. Niente di niente. Anzi, no: per essere precisi, fanno appena il necessario per assicurarsi che qualcun altro si ritrovi il cerino acceso in mano.

Si muovono solo per raccogliere firme, timbri, documenti siglati, preferibilmente in triplice copia, trasmessi a mezzo PEC, ratificati da un collega, controfirmati dal dirigente. Perché? L’importante non è risolvere, ma dimostrare di aver fatto la propria parte.

E allora via con le richieste: "Mi serve una mail di conferma, altrimenti non posso procedere"; "Senza il modulo compilato in ogni sua parte, non c’è nulla che posso fare"; "Ah, ma lei non ha detto che era urgente!" (traduzione: "Io ho fatto il mio, ora affoga pure tu.").

E così, tra un "non è di mia competenza" e un "ma chi me lo fa fare?", beh... il gioco è perfetto. Perché il vero obiettivo non è arrivare a una soluzione, ma costruire un alibi a prova di bomba. Se qualcosa va storto, la colpa sarà sempre di qualcun altro: di chi non ha compilato il campo 12/B, di chi ha inviato il fax con tre minuti di ritardo, di chi non ha previsto l’imprevisto...

E intanto, in questo paese di virtuosi dello "scaricabarile", i problemi restano lì, immobili, come pacchi postali abbandonati in un magazzino. Perché tanto, alla fine, pagherà Pantalone!

E allora, in attesa di ricevere da voi alcuni esempi, il sottoscritto ne ha già pronti parecchi altri e chissà se, in queste analisi, non vi ci ritroviate anche voi…

Non voglio entrare stasera nel merito di casi specifici, in particolare in quelli in cui sono specializzato perché hanno a che fare con i miei incarichi, situazione che mi riprometto comunque di fare a breve, in questo post viceversa, elencherò tutta una serie di situazioni nelle quali ci si accontenta di ricevere una carta o quantomeno di un documento firmato, nel quale si prende per buono tutto ciò che vi è elencato, senza però fare le opportune verifiche, d'altronde, è proprio il nostro Stato che vuole ciò: sì... carte, dove si evincono perfettamente i nomi posti in quella "piramide" delle responsabilità, poi, quanto queste siano veritiere, beh... quello è un altro discorso, di cui a nessuno frega niente!

Ed allora, per il momento accontentatevi di questi esempi.

Innanzitutto l'eterno “Passa-parola”: No, guardi, qui non spetta a me. Si rivolga al collega dell'uffico accanto, oppure, ah... mi dispiace, oggi non c’è, forse lo troverà domani; poi c'è la frase più cordiale, quella da utilizzarsi per tutte le occasioni: No, no, non posso aiutarla, mi dispiace ma non è il mio reparto...

E così, tra un rimpallo e l’altro, il problema invece di essere risolto, rimbalza, già...  come una pallina da ping-pong, finché il malcapitato di turno non si arrende o non trova qualche "amico di un altro amico" che si offre (non certo gratuitamente...) per risolvere il problema; ma va detto, c'è anche chi, forse troppo stanco per mandarlo via che si prende cura di quella situazione.

Poi vi sono i perfezionisti, quelli che non fanno nulla se non seguono il corretto procedimento: Sì, certo, possiamo risolvere, ma prima dobbiamo seguire l’iter; come ben sa, l’iter prevede almeno tre autorizzazioni, un’assemblea e anche un timbro in più; mi dispiace vorrei aiutarla, ma no, non possiamo saltare i passaggi previsti dalla normativa vigente: Sì... perché agire con logica quando ci si può nascondere dietro un "regolamento"!

Ed ancora, cosa dire di quelli abituati al "silenzio-assenso": Le ho mandato una mail per conferma, l'ha ricevuta? Mi serve una risposta ufficiale, altrimenti non posso andare avanti; posso quindi considerare il suo silenzio come un sì?; no, assolutamente no! Lei non mi ha dato il tempo di poterle rispondere; e quando tutto sembra perfetto ecco mettersi in pratica una strategia perfetta per far scadere i termini per poter dire: Eh, ma ormai è troppo tardi...

Ovviamente, i casi sopra menzionati rientrano tra quei cosiddetti "scaricabarile" e quindi, compiuti sempre in buona fede. Altra situazione è quando, a seguito di quei rifiuti, si cela una situazione grave e illegale, un meccanismo necessario per promuovere e incentivare una qualche forma di concussione!!!

E allora ditemi... Vi siete mai trovati davanti a un campione di "scaricabarile" e siete pronti a smascherarli?

Ma no, no, no, non sto parlando con voi: già... voi siete tra quelli che i problemi li risolvono, vero? 😉


giovedì 24 aprile 2025

Il problema: lavoro in nero e abuso dei sussidi!

Ma scusate… non erano senza lavoro ? Non ci avete sempre detto che erano in difficoltà? Che avevano bisogno del Reddito di Cittadinanza, della NASPI, della cassa integrazione, dei bonus regionali, delle moratorie sulle bollette, degli esoneri contributivi, dei sussidi per l’affitto e di tutto quel carrozzone di aiuti che – guarda caso – paghiamo noi, ogni singolo mese, con le nostre tasse?

E invece no!

Perché mentre tu, io, noi… onesti contribuenti, ci alziamo la mattina, facciamo un’ora di macchina, sgobbiamo per uno stipendio che si assottiglia tra tributi e rincari, loro hanno già trovato il modo di fregare il sistema: sì, due volte.

Prima prendono i soldi pubblici – già, i nostri soldi, il denaro di chi paga le tasse senza sgarrare – migliaia e migliaia di euro che dovrebbero servire per sopravvivere o, quantomeno, per ricevere un servizio decente. Ma nella realtà, ahimè, non è così. Loro dichiarano di cercare un lavoro, quando sanno benissimo di non cercarlo affatto. Perché lo hanno già.

Sì, perché questi individui non sono "scansafatiche", no. Preferiscono lavorare a nero. Nessun conto corrente su cui ricevere bonifici, nessun contributo da versare né per sé né per i propri “aiutanti”, nessun rispetto per chi, al contrario, si sgola per far rispettare le regole.

Attenzione, però: non mi riferisco a chi fa lavoretti extra, magari durante il weekend o nei permessi, per arrotondare onestamente. Parlo di chi, regolarmente assunto, emette una ricevuta di prestazione occasionale, come prevede la legge. No, non è a loro che mi riferisco.

Parlo di quelli che da anni vivono di sussidi e intanto creano concorrenza sleale, evasione fiscale e, soprattutto, riciclaggio di denaro (spesso di provenienza dubbia) nei confronti di chi, viceversa, cerca di essere in regola. Già, perché questi soggetti hanno ormai una lista di clienti fissi, fatturano in nero più di un dipendente (evadendo le tasse), sfruttano manodopera irregolare (pagando quei poveretti pochi euro al giorno) e mentono, approfittandosi dello Stato per 365 giorni all’anno.

Poi, quando vengono scoperti, ecco pronta la dichiarazione: "Non trovo lavoro!".

Ma basta fare un giro in città, preferibilmente in periferia, o in campagna, per vedere cantieri abusivi, appartamenti pieni di macerie provenienti da demolizioni illegali, muratori che lavorano a giornata, idraulici pagati in contanti, elettricisti senza fattura e giardinieri fantasma. E in campagna? Braccianti agricoli sfruttati e pagati una miseria.

E allora mi chiedo: se questi individui sono disoccupati, come fanno – quando chiamati dall’ufficio del lavoro – a rifiutare tre contratti di lavoro e continuare a percepire il sussidio? E come fanno, nello stesso giorno, a essere ufficialmente "senza impiego" e poi andare a posare piastrelle a casa di qualcuno, ovviamente in nero?

Il trucco è semplice: lo Stato (cioè noi) paga, il mercato nero (cioè loro) guadagna. E nel mezzo? Chi è onesto ci rimette due volte.

E dire che la soluzione c’è ed è anche semplice, ma purtroppo il sistema preferisce coprire questo malaffare e adottare questa strategica ipocrisia. Basterebbe eseguire controlli seri, non come avviene oggi: a campione. Ad esempio, se uno percepisce un sussidio, deve essere sempre e in ogni circostanza rintracciabile. E nel momento in cui non viene trovato, perde tutti i vantaggi dei sussidi. Punto!

Più difficile è aspettarsi che qualcuno denunci questi comportamenti. Nessuno si fa avanti per segnalare un eventuale lavoratore in nero, a meno che non ci sia un problema concreto di sicurezza. Nel frattempo, quel soggetto continua a godere di aiuti pubblici.

Bisogna sanzionare pesantemente questi soggetti, ma anche coloro che operano come datori di lavoro irregolari, perché il problema non sono i poveri, ma i furbi. E di furbi, purtroppo, questo nostro Paese ne è pieno.

E voi, lavoratori e imprenditori regolari, cosa ne pensate di tutto ciò? Fatemi sapere…

mercoledì 23 aprile 2025

Un Paese al bivio: le intercettazioni, la giustizia e il futuro della legalità!

Ma siamo sicuri che stringere i tempi delle intercettazioni sia davvero una scelta di civiltà giuridica? O stiamo solo aprendo un varco per rendere più difficile la lotta ai crimini complessi?”.

Oggi voglio parlarvi di un tema che ci riguarda tutti: quello delle intercettazioni . Un argomento che, in apparenza tecnico, nasconde invece una questione profondamente politica e sociale. 

La Camera ha appena approvato – in via definitiva – un provvedimento che limita a 45 giorni (prorogabili solo in casi eccezionali) la durata delle operazioni di intercettazione. 

Una decisione che, secondo alcuni, rappresenta un passo avanti verso una maggiore tutela dei diritti individuali. Per altri, invece, è un colpo mortale alla capacità di contrastare reati gravi e organizzati. Ma chi ha ragione? E soprattutto, cosa significa tutto questo per noi cittadini?

Il testo, di fatto, introduce un tetto temporale alle intercettazioni, fissandolo a 45 giorni . Questo limite può essere superato solo se ci sono “elementi specifici e concreti” che giustifichino un prolungamento, da motivare espressamente. Inoltre, la norma prevede alcune deroghe per i reati di criminalità organizzata o quelli che coinvolgono minacce telefoniche. 

Ma qui sta il nodo cruciale: è davvero credibile che 45 giorni possano bastare per smantellare reti criminali sofisticate o ricostruire trame intricate tessute nel tempo?

C’è chi la definisce: "Una norma di civiltà giuridica".

I sostenitori della riforma, sostengono che questa modifica non limiterà in alcun modo le indagini. Anzi, sarebbe un passo verso una maggiore garanzia per i cittadini, evitando abusi e intercettazioni prolungate senza un motivo valido.

Già... “una norma di civiltà giuridica”, secondo loro, garantisce spazio sufficiente per indagini preliminari efficaci", ricordando che, in determinati casi, possono essere intercettati anche soggetti non indagati, purché vi siano elementi concreti.

Insomma, per questi si tratta di un bilanciamento tra sicurezza e diritti individuali , una sorta di patto tra Stato e cittadini per garantire che le indagini non diventino uno strumento invasivo o arbitrario.

Altri viceversa la definiscono: "Un'immunità per i delinquenti"

In effetti, sono in molti a pensarla diversamente. I magistrati e l’opposizione hanno espresso forti critiche. Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri , uno dei volti più noti della lotta alla criminalità organizzata, ha parlato chiaro: “Con questa approvazione si chiude il cerchio iniziato con l’abolizione dell’abuso di ufficio. I cittadini non avranno tutela contro abusi e sopraffazioni”.

Difatti, secondo Gratteri, limitare le intercettazioni significa indebolire uno strumento fondamentale per smascherare reati che spesso richiedono mesi, se non anni, di paziente lavoro investigativo.

Anche altri deputati dell'opposizione hanno lanciato un allarme: “Ci sono tanti reati gravi che senza intercettazioni non possono essere individuati e puniti. Quarantacinque giorni sono un periodo del tutto irrilevante. Il governo Meloni sta decidendo di dare un’immunità ai delinquenti” .

E qui arriva il nodo centrale: è davvero possibile combattere la criminalità organizzata, il terrorismo, la corruzione e altre forme di criminalità complessa con un limite così stretto?

Certo, non dobbiamo mai dimenticare l'altra faccia della medaglia e cioè quando i diritti vengono calpestati!

Non possiamo d'altronde ignorare la questione. Le intercettazioni, se usate male, possono diventare uno strumento di violazione della privacy. Non è un mistero che, in passato, ci siano stati casi di abuso: conversazioni private utilizzate impropriamente, vite distrutte da fughe di notizie, indagini basate su interpretazioni distorte.

Per questo, molti ritengono che mettere dei paletti sia necessario. Ma il problema non è tanto il principio – ritengo che nessuno voglia difendere gli abusi – quanto la sua applicazione pratica. Limitare le intercettazioni a soli 45 giorni rischia di regalare un vantaggio ai criminali più astuti: quelli che sanno aspettare, quelli che sanno nascondersi nell’ombra, quelli che pianificano crimini con cura millimetrica.

Ecco che sorge spontanea una domanda: dove si trova il confine tra sicurezza e libertà? Dove sta il confine tra sicurezza e libertà ? Come possiamo garantire che le indagini siano efficaci senza trasformarci in un Paese dove ogni conversazione può essere spiata?

Forse la risposta non sta nel porre limiti temporali rigidi, ma nell’introdurre controlli più severi e trasparenti. Ad esempio, perché non affidare a un giudice indipendente il compito di valutare periodicamente la necessità di prorogare le intercettazioni? Oppure, perché non investire di più nella formazione degli investigatori e nella tecnologia per rendere le indagini più rapide ed efficienti?

Questa legge solleva più domande che risposte, perché da un lato, c’è chi la vede come un passo avanti verso una maggiore tutela dei diritti individuali, dall’altro, c’è chi la considera una resa al crimine, un regalo involontario ai delinquenti.

Io credo che, prima di tutto, dobbiamo chiederci: cosa vogliamo per il nostro Paese? Vogliamo un sistema giudiziario che protegga i diritti di tutti, oppure uno che lasci spazio ai potenti di agire indisturbati?

Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti, discutiamone insieme, perché questa non è solo una scelta politica: è una decisione che riguarda ciascuno di noi, anche se – non essendo stati finora intercettati – non ce ne rendiamo ancora pienamente conto.

martedì 22 aprile 2025

Papa Francesco è morto! Chi prenderà il suo posto?

Il Papa è morto!

In attesa quindi del conclave, vorrei realizzare una previsione su chi potrebbe ora prendere il suo post e in    questo tragico momento, il mio pensiero va (per l'ennesima volta) su un Papa "non europeo".

Eccovi allora alcune riflessioni sulla scelte che potrebbero essere prese a breve dai cardinali:

1. Un Papa asiatico

Sappiamo bene come l'Asia sia un continente in crescita per il cattolicesimo (es. Filippine, Corea del Sud, Vietnam). Un Papa asiatico potrebbe avvicinare miliardi di persone, soprattutto in un momento in cui la Chiesa cerca di dialogare con culture diverse.

Tra i candidati possibili c'è il cardinale Luis Antonio Tagle (Filippine): è molto rispettato e lavora già in Vaticano.

2. Un Papa africano?

Certo, sarebbe qualcosa d'incredibile, ma rappresenterebbe un segnale di svolta, d'altronde non bisogna dimenticare come proprio l'Africa rappresenti il continente dove il cattolicesimo sta crescendo più velocemente. Ma soprattutto, un Papa nero sarebbe un segno fortissimo, sì... contro il razzismo e per l'unità globale.

Sono due i candidati possibili: Il cardinale Peter Turkson (Ghana) o Fridolin Ambongo (Congo).

3. Un Papa latinoamericano?

Già... come terza possibilità vedo nuovamente bene un papa neolativo; peraltro dopo Francesco, un altro Papa latino potrebbe continuare a dare voce ai poveri e alle ingiustizie sociali.

Tra questi prevedo come candidati possibili: Marcelo Sánchez Sorondo (Argentina) o Omar Sarmiento (Messico).

Sì... credo che la Chiesa sia pronta. D'altronde questa - come dichiarava Francesco - deve andare avanti: deve crescere, è come un'albero, perché se anche il fusto resta sempre legato alle radici, i rami dell'albero crescono restando tra essi legati. Ecco perché se pur tradizionalmente il Papa è stato eletto nei lunghi anni europeo, con Francesco questo schema è stato rotto. 

Il problema non è solo la nazionalità, ma anche la capacità di mediare tra conservatori e progressisti nella Chiesa.

E voi chi vorreste? Se poteste scegliere quale profilo preferiresti? E' più urgente un Papa ‘pastore’ o un Papa ‘riformatore’? E quindi... un Papa più progressista (su temi come povertà, ambiente) o uno più tradizionalista? E perché?

lunedì 21 aprile 2025

Tensioni Iran-USA (Israele) e il rischio nucleare.

Cosa sta succedendo davvero in Iran? E perché il Medio Oriente sembra sempre sull’orlo di una crisi globale? 

Negli ultimi giorni la Guida Suprema iraniana Ali Khamenei ha messo l’esercito in massima allerta dopo le minacce lanciate da Trump. 

Teheran avverte che un attacco avrà conseguenze gravissime, ma allo stesso tempo apre a mediazioni come quella proposta dall’Oman per evitare lo scontro diretto.

Tuttavia le accuse reciproche tra Iran Arabia Saudita e Stati Uniti continuano ad alimentare tensioni nella regione.

Il vertice d’emergenza alla Mecca convocato da Re Salman ha visto l’Arabia Saudita accusare l’Iran di destabilizzare il Golfo dagli attacchi alle petroliere alle ingerenze nello Yemen. L’Iran ribatte che si tratta di accuse infondate, parte di una campagna orchestrata dagli Stati Uniti e da Israele per isolare Teheran.

Intanto l’ONU conferma che l’Iran rispetta i limiti nucleari imposti dall’accordo del 2015 ma le scorte di uranio crescono e il dubbio sulla bomba atomica iraniana torna a pesare sulle menti di tutti.

La Francia con Macron in prima linea prova a salvare l’accordo nucleare del 2015 e a frenare l’escalation ma Trump ha già chiarito che nessuno deve parlare per gli Stati Uniti. Parigi si ritrova in una posizione difficile alleata agli americani ma critica sulle sanzioni che colpiscono l’Iran.

L’Iran dal canto suo dichiara che non parlerà finché le sanzioni non saranno revocate. La situazione è un groviglio di interessi contrapposti dove ogni mossa sembra portare verso un punto di non ritorno.

Se l’Iran dovesse entrare in possesso di un’arma nucleare cambierebbe radicalmente gli equilibri di potere nella regione. Israele e Arabia Saudita non accetterebbero mai una simile prospettiva perché significherebbe perdere il monopolio della forza nel Golfo. 

Gli Stati Uniti con le loro basi in Qatar e le portaerei nello Stretto di Hormuz vogliono impedire a Teheran di controllare il flusso di petrolio globale mentre l’Europa teme una nuova guerra ma è divisa e impotente senza l’appoggio degli USA. In questo scenario il nucleare non è solo una questione tecnologica ma un simbolo di supremazia geopolitica.

Le politiche espansionistiche e di controllo degli Stati Uniti e di Israele hanno modellato il Medio Oriente negli ultimi decenni. Gli interessi economici legati al petrolio le alleanze strategiche e la volontà di contenere l’influenza iraniana hanno spesso portato a interventi militari o a pressioni diplomatiche. 

Ma fino a che punto queste politiche hanno contribuito alla stabilità della regione? Oppure hanno semplicemente alimentato un ciclo infinito di violenza e tensioni?

Trump gioca la carta della "massima pressione" ma l’Iran non cede... 

Riuscirà l’Europa a trovare una via d’uscita o il Golfo è destinato a esplodere trascinando il mondo in un conflitto con conseguenze imprevedibili? È davvero possibile una soluzione diplomatica o siamo condannati a un nuovo ciclo di violenza? 

Forse la risposta sta nel comprendere che la pace non può essere imposta dall’esterno ma deve nascere da un dialogo sincero tra le parti coinvolte. Tuttavia finché gli interessi nazionali continueranno a prevalere sul bene comune sarà difficile immaginare un futuro diverso per questa regione così tormentata.

domenica 20 aprile 2025

Quando la mafia siede in Consiglio comunale!

C’è una vergogna che torna ciclicamente a bussare alle porte delle istituzioni, una piaga che non smette di scavare nel tessuto del Paese... 

Ieri, ancora una volta, lo Stato ha dovuto alzare la mano e dichiarare: qui non si governa più!

Quattro realtà locali, disseminate tra Nord e Sud, sono state sciolte per infiltrazioni mafiose. Non è un fulmine a ciel sereno, ma l’epilogo annunciato di storie di connivenze, appalti pilotati, scambi oscuri tra politica e criminalità.

La domanda sorge spontanea: come si arriva a questo punto? Come fa un’intera amministrazione a diventare terreno di conquista per quelle associazioni criminali? 

Le risposte, purtroppo, sono sempre le stesse: silenzi complici, omissioni, quella sottile linea grigia in cui l’interesse pubblico si confonde con affari privati. E quando la situazione sfugge di mano, non resta che l’intervento drastico: commissariamento, diciotto mesi di gestione straordinaria, la speranza di un ripartenza pulita.

C’è chi grida allo scandalo, chi parla di decisioni politiche, chi promette ricorsi. Ma al di là delle polemiche, resta un dato innegabile: quando la criminalità organizzata mette radici nelle stanze del potere locale, è la democrazia stessa a essere ferita. 

Non si tratta solo di sostituire amministratori, ma di restituire fiducia a comunità lasciate in balia di logiche perverse.

Eppure, ogni volta che accade, c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui reagiamo. 

Perché dietro ogni scioglimento c’è una domanda che non vogliamo farci: come abbiamo fatto ad arrivare fin qui? E, soprattutto, cosa possiamo fare perché non accada di nuovo? 

Già… la colpa è anche vostra. Perché fintanto che la vostra preferenza sarà legata a un tornaconto personale – una raccomandazione, un favore, un posto di lavoro – non potete stupirvi se poi, a Palazzo, siedono gli stessi che hanno fatto dei vostri bisogni un affare.

Quindi, vi prego: non fate finta di non sapere quanto vale il vostro voto. Lo sapete bene.

E c’è chi, purtroppo, quel prezzo lo ha già pagato al posto vostro.


sabato 19 aprile 2025

La tragedia di Monte faito e la passerella del dolore...

Ieri il Tg1 raccontava ahimè di una tragedia: già... la teleferica del Faito si era spezzata, scaraventando nel vuoto delle vite innocenti; tre turisti e il macchinista sono morti, una donna è in fin di vita, mentre fortunatamente nove persone sono state tratte in salvo tra urla e ferite.

Eppure, mentre il prefetto di Napoli parlava in diretta, la mia attenzione è caduta sullo sfondo: all'incirca una dozzina di uomini in divisa – polizia, carabinieri, militari – tutti allineati come soldatini davanti alla telecamera. Immobili. Composti. Inutili...

Mi sono chiesto: cosa stavano facendo lì dinnanzi? Perchè invece non erano ad aiutare i soccorsi, a setacciare i rottami o ad assistere eventuali familiari? E ancora, non era più corretto presidiare l'area per evitare sciacalli tra quelle macerie o fare semplicemente spazio a chi stava lavorava davvero?

Ma forse mi sbaglio, a quell'ora i soccorsi erano già conclusi, nonostante il persistere di condizioni meteo proibitive – vento forte, nebbia fitta – ma allora: perché quel personale era ancora lì. Se non c’era più bisogno di assistenza, quale motivo giustificava la loro presenza?

Forse solo qualche secondo d’inquadratura, per trasformare una tragedia in un’occasione: "Visto, mamma? Sono in TV!".

E allora basta! Mi rivolgo al Presidente della Rai con un appello, da estendere a tutti i suoi giornalisti: smettetela di normalizzare questa indecenza. Intervistate le autorità senza codazzi di figuranti. Non servono servitori dello Stato come comparse di un teatrino, dove il sangue vero diventa scenografia.

Non voglio creare polemiche, ma basterà a chiunque di voi osservare quelle divise, già... così pulite, limpide, inamidate, in un contesto così tragico queste non presentavano neppure una macchia di fango: come se la tragedia fosse stato soltanto un rumore di fondo...

A chi indossa una divisa solo per farsi notare, vorrei ricordare che il vostro distintivo non è un biglietto da visita. È una promessa. E ieri qualcosa è mancato!

Credo, difatti, che – nell’osservare quell’intervista – non solo il sottoscritto, ma molti miei connazionali abbiano pensato: Quelli sullo sfondo non sono eroi. Sono soltanto ombre…

venerdì 18 aprile 2025

Prezzemolo per tutti: il pizzo è servito (con conto allo Stato).

"Ed allora, quale busta desidera, eh? La uno, la due o la treee?".

Già, come dimenticare quella celebre frase di Mike Bongiorno che per anni ha fatto sognare gli italiani davanti al televisore. 

Peccato che oggi, in un paese dove tanti faticano persino a comprarsi il pane, c'è chi invece aspetta con ansia un altro tipo di busta: quella mensile, quella illegale, quella che non viene vinta ma pretesa. 

Sì, perché quella che con ipocrisia chiamano "bustarella", non è altro che un pizzo travestito da burocrazia, una tangente che non viene pagata per paura, ma per convenienza, per affari, per quel sistema marcio che ormai si è insinuato dappertutto, dagli uffici comunali ai ministeri, dagli appalti alle concessioni, dalle licenze ai favori politici.

E mi viene in mente quel ragazzino di Catania, trent'anni fa, che davanti alle telecamere della Rai rispose senza scomporsi a un giornalista che gli chiedeva del pizzo: "Macari cu vinni puddisino pava!" – "Anche chi vende prezzemolo paga!".

Quella frase mi colpì come un pugno nello stomaco, e da allora non mi ha più abbandonato. Perché è la verità nuda e cruda: tutti pagano, chi più chi meno, chi con qualche centinaio di euro per far sbloccare una pratica, chi con migliaia per aggiudicarsi un appalto, chi con milioni per comprarsi un pezzo di Stato.

E intanto noi, quelli che le tasse le pagano davvero, quelli che si sfiniscono di lavoro per non dover niente a nessuno, riceviamo in cambio servizi che fanno pietà, una burocrazia che ti strozza, un paese che invece di camminare arranca, perché ogni passo è ostacolato da qualcuno che vuole la sua busta.

E lo Stato? Lo Stato fa finta di non vedere. I giornali, spesso finanziati da quel sistema corrotto, sorvolano. I controlli? Una presa in giro. Le denunce? Quasi nessuno ha il coraggio di farle, neanche in anonimo.

E allora tutto continua come prima, con quel meccanismo infernale di favori, raccomandazioni e clientelismo che tiene in ostaggio un intero paese.

Cambiare? Ma quando mai, dicono loro, mentre intascano allegramente la loro busta mensile. E noi? Noi restiamo qui a guardare, a pagare, a subire. 

E intanto quel ragazzino di trent'anni fa aveva ragione: anche chi vende prezzemolo paga, solo che ormai, purtroppo, non siamo più al banchetto del mercato: Già... siamo al supermarket della corruzione!!!

giovedì 17 aprile 2025

Scandalo corruzione marittima: lo Stato ancora nella rete.

L'ultimo filone d'inchiesta sulle frodi nelle pubbliche forniture ha portato al sequestro di ben 64 milioni di euro a una compagnia marittima. Mentre gli interrogatori davanti al GIP sono in corso, il pubblico ministero ha già richiesto gli arresti domiciliari per alcuni degli indagati.

E ancora una volta, come un copione ormai fin troppo familiare, tra i nomi coinvolti spuntano magistrati, forze dell'ordine e alti funzionari delle prefetture. Molti di loro, si legge negli atti, avrebbero addirittura viaggiato gratuitamente sulle tratte per la Sardegna e la Sicilia.

Per i pubblici ufficiali è scattata l’inevitabile contestazione di corruzione, anche se – almeno per ora – non sono emerse prove definitive sui favori concessi alla compagnia marittima in cambio dei "regali". 

Le accuse, comunque, sono gravi: frode, falso e corruzione. Purtroppo, grazie alla nuova legge Nordio, il giudice dovrà ascoltare gli indagati prima di emettere misure cautelari, aggiungendo un ulteriore strato di burocrazia a un sistema già farraginoso.

Come sempre, evito di citare i nomi: li trovate ovunque, in ogni articolo, in ogni telegiornale. Al sottoscritto, invece, colpiscono le loro funzioni, i ruoli che ricoprivano, o che ancora detengono. Quelli che dovrebbero essere garanti della legalità, e che invece sembrano averla svenduta per un posto in prima fila sul traghetto, per un favore, per un vantaggio meschino.

E qui, ammetto, la rabbia lascia spazio a un'amarezza ancora più profonda.

Perché ogni giorno, in questo Paese, scopriamo che nessun livello sociale è immune dalla corruzione. Nessuno. Non le toghe, non le divise, non gli scranni del potere. Anzi, più si sale, più l’ipocrisia diventa sfacciata, più il marcio si fa sistemico!

E il dramma è che non è più nemmeno una sorpresa. È la normalità. È la rassegnazione di chi, come me, legge queste notizie e sa già come finirà: con qualche arresto domiciliare, con qualche annuncio trionfale, ma senza una vera svolta. Perché il vero scandalo non è che accada, ma che continuiamo a tollerarlo.

E allora sì, viene da pensare a quei "trenta denari" che hanno venduto l’onore di un intero sistema. Per cosa? Per un viaggio gratis? Per una raccomandazione? Per un po’ di potere in più?

Che misero prezzo per svendere la dignità di un Paese intero...

mercoledì 16 aprile 2025

La "silenziosa" tempesta finanziaria: Trump, i mercati e lo spettro del 1929!

Già... ho come l’impressione che le mosse di Donald Trump - apparentemente aggressive e senza freni - nascondano in realtà una corsa contro il tempo. 

Sì... un percorso per evitare ciò che nessuno vuole annunciare: l’arrivo di una crisi economica di proporzioni storiche, forse paragonabile solo al crollo del 1929.

Questo mio semplice ragionamento nasce da un dato: in queste settimane, gli investitori stanno svendendo i titoli del Tesoro americano a un ritmo preoccupante.

Non si tratta di una semplice fluttuazione di mercato, ma di un alquanto segnale chiaro, anzi... troppo evidente!!!

Sì... da quando i "Treasury bonds" - da sempre considerati dagli investitori "porto sicuro" - hanno iniziato a perdere appeal; ciò significa che la fiducia nel sistema vacilla e se vacilla lì... dove il sistema dovrebbe essere più solido, allora il problema è più profondo di quanto vogliano farci credere!

Il motivo di questa fuga? Le politiche di Trump, certo...

I dazi imposti a raffica, le tensioni commerciali, l’incertezza che si è diffusa come un veleno nei mercati globali, ma c’è sicuramente dell’altro!

Mi riferisco al debito pubblico statunitense, quel mostro da 36 trilioni di dollari che incombe come un’ombra sull'economia americana; la mia sensazione, ma credo che sia anche quella più diffusa ora tra gli investitori, che proprio gli Stati Uniti potrebbero non essere più in grado di onorare i propri impegni nel lungo periodo.

E così, mentre le borse crollano, anziché rifugiarsi nei "Treasury", epr come d'altronde hanno sempre fatto in passato, ecco che viceversa, i grandi capitali mondiali, scappano da tutto: azioni, obbligazioni, epersino i titoli di Stato! Un movimento finanziario certamente innaturale, che rompe ogni schema finora conosciuto, ed allora mi sono chiesto: quando i mercati si comportano in modo irrazionale, non è perché forse sta succedendo qualcosa di grosso? Sì... qualcosa che i media non stanno raccontando?

Trump lo ha capito bene... ed è per questo che ha annunciato - solo dopo ore aver firmato dinnanzi ai fotografi con quel suo pennarello nero - una tregua di 90 giorni sui dazi più pesanti. Non lo ha fatto per generosità, ma per mera necessità! Perché se i rendimenti dei Treasury continuano a salire, il costo del debito diventerà insostenibile e le banche, le imprese, ed anche - ahimè - i cittadini comuni, si troveranno strozzati da tassi più alti, ed allora sì che il default non sarà più un'ipotesi remota, ma uno scenario concreto!

Ma la cosa più inquietante è secondo il sottoscritto: IL SILENZIO!

Il silenzio in Europa e ancor più... nel nostro Paese, basti osservare i media, Tg nazionali, quotidiani, social nessuno parla di questa emorragia di fiducia, sì... nessuno spiega perché gli investitori stiano abbandonando persino i beni rifugio.

Ed allora mi sono chiesto: non è che forse perché, se la gente iniziasse a capire, inizierebbe anche a muoversi. A ritirare i soldi dalle banche. A disfarsi delle obbligazioni. A cercare vie di fuga che, in un sistema finanziario già fragile, potrebbero innescare il panico.

E allora viene da chiedersi se siamo davvero sull’orlo di un nuovo 1929? La storia non si ripete mai allo stesso modo, ma spesso fa rima con se stessa. E oggi, come allora, i segnali ci sono. Sono lì, nelle curve dei rendimenti, nei bilanci delle banche, nel nervosismo dei mercati, sta quindi a noi vedere, ascoltare e capire.
Sì... prima che sia troppo tardi.

martedì 15 aprile 2025

Giustizia in vendita: dalle carte ‘gold’ alle sentenze taroccate, così crolla la credibilità della magistratura!

La magistratura italiana è ancora una volta al centro di uno scandalo che conferma l’esistenza di un sistema corrotto ben radicato, dove le toghe sporche non sono eccezioni ma parte di una rete organizzata che da anni condiziona la giustizia nel paese. 

L’ultimo caso è l’inchiesta della Procura di Genova sulla Tirrenia, con quaranta indagati tra magistrati, forze dell’ordine e funzionari pubblici accusati di aver viaggiato gratis sulle navi grazie a carte "gold" fornite dalla compagnia.

Ma questo, come ho già denunciato in passato, è solo l’ultimo episodio di una lunga serie. Non si tratta più di casi isolati, bensì di un sistema parallelo che opera nell’ombra per piegare le sentenze a favore di interessi privati e politici – un sistema che, spesso, serve proprio a coprire le malefatte di quegli stessi potenti.

Se quanto ora emerso venisse dimostrato, non si può che restare allibiti, d'altronde vorrei ricordare come già in passato era emersa un’associazione per delinquere formata da magistrati, avvocati e imprenditori, che attraverso tangenti, pressioni e persino prestazioni sessuali minorili, avevavo condizionato verdetti di cause miliardarie, soprattutto nel settore degli appalti pubblici e delle controversie amministrative. 

Ricordo come alcuni giudici avessero venduto sentenze a "pacchetti", già... come fossero offerte commerciali; altri viceversa hanno annullato elezioni, alterando il risultato democratico.

Difatti, nel 2019 scrissi un post intitolato "Quel sistema collaudato delle toghe sporche!!!", in cui descrivevo delle indagini della Procura di Roma, in cui si parlava di trasferimenti di contanti su conti esteri, d'una copia ritrovata su una sentenza della Cassazione a favore di un noto imprenditore insieme a 250 mila euro in banconote, ed ancora, di quel giudice amministrativo scoperto con sette milioni di euro frutto di tangenti, che poi collaborò rivelando i nomi di altri corrotti. Quanto sopra dimostra che il problema non è di singoli individui, ma è sistemico, diffuso in tutto il paese.

Eppure, ciò che più sconvolge è l’omertà. Sì... perchè persino chi collabora con la giustizia spesso si rifiuta di fare i nomi dei colleghi, proteggendo l’intera rete. È un circolo vizioso che alimenta l’impunità. 

Già... servirebbero interventi radicali: controlli seri sui patrimoni dei magistrati, una riforma delle nomine per evitare infiltrazioni politiche, e soprattutto trasparenza. Perché quando la giustizia si vende, è la democrazia intera a pagarne il prezzo.

Ecco perchè forse è tempo di ripensare al'intero sistema; proprio all’inizio del mese avevo scritto un post dal titolo "La giustizia perfetta senza pregiudizi o condizionamenti? Quando i robot sostituiranno i magistrati!" (lo trovi qui: https://nicola-costanzo.blogspot.com/2025/04/la-giustizia-perfetta-senza-pregiudizi.html). 

Chissà infatti se l’intelligenza artificiale potrebbe essere una soluzione: una giustizia imparziale, senza condizionamenti emotivi, pressioni politiche, correnti o interessi personali. Solo la legge, applicata in modo rigoroso e oggettivo. Forse, davvero, il futuro è questo!

lunedì 14 aprile 2025

Mr. Trump??? Scusi, ma la pace promessa in medio oriente che fine ha fatto?

Dopo tutte le promesse fatte, avremmo dovuto assistere finalmente a un cammino di pace e invece, ancora una volta, prevalgono le provocazioni e la spirale di violenza.

Infatti, proprio alcuni giorni fa, l’ex presidente USA, Donald Trump, ha commentato la situazione di Gaza con parole pesanti: "Non so perché Israele abbia dato loro quella terra. Lo hanno fatto perché gli è stata promessa la pace. È la terra più pericolosa sulla faccia della Terra".

Queste dichiarazioni, insieme al suo recente video (generato con l’intelligenza artificiale) che ritraeva Gaza trasformata in un resort di lusso, hanno suscitato reazioni forti, soprattutto in un momento già drammatico per la regione.

Già... invece di cercare soluzioni, la violenza continua. Nelle ultime ore, Israele ha bombardato Gaza City, compreso l’ospedale Al-Ahli, l’unico ancora operativo a pieno regime. Le autorità locali denunciano un attacco deliberato, mentre l’esercito israeliano sostiene di aver colpito un centro di comando di Hamas all’interno della struttura, accusando il gruppo di usare civili e ospedali come scudi.

Intanto, migliaia di persone sono costrette a fuggire dai campi profughi di Nuseirat e Khan Younis, mentre gli aiuti umanitari rimangono bloccati.

E allora mi chiedo: dove stanno tutte quelle promesse di pace?

Davanti a tanta distruzione, ciò che emerge è l’assenza di una volontà autentica di dialogo. Le parole divisive e le azioni militari non fanno altro che alimentare odio e sofferenza, mentre la comunità internazionale osserva, troppo spesso in silenzio.

Servono mediazioni urgenti, non proclami. Cessate il fuoco immediati, non nuove escalation. Protezione per i civili, ovunque essi siano, non giustificazioni per il loro sacrificio.

La pace non si costruisce con i missili, ma con il coraggio di sedersi al tavolo, riconoscendo diritti e dignità di tutti. Eppure, dal 1948 a oggi, questo coraggio è mancato. Ma non può mancare per sempre!

Perché sotto le macerie di Gaza, tra le paure di Israele, nelle stanze del potere e nelle piazze del mondo, c’è una verità che resiste: nessun conflitto si risolve con la forza, ma solo con la giustizia.

La domanda, ora, non è "chi ha ragione?", ma "quanto sangue sarà ancora versato prima di capirlo?".

domenica 13 aprile 2025

Calcio-scommesse: arbitri, calciatori e bookmaker, la squadra perfetta (dell'illegalità).

Stamattina, ascoltando l’inchiesta sul calcio scommesse, ho subito pensato: quando i milioni di euro ricevuti – per quattro calci al pallone – non bastano più!

Già, fa schifo, se ci si ferma a riflettere... 

Ogni giorno c’è chi si alza all’alba per guadagnare poche centinaia di euro al mese, ma non solo, pur di tifare la propria squadra del cuore, fa altresì sacrifici economici non indifferenti: abbonamenti, trasferte, merchandising e chi più ne ha più ne metta. 

Per cosa? Per scoprire che alcune di quelle partite sono state vendute proprio da quelli che consideravano idoli.

Pare che siano 12 i calciatori di Serie A attualmente indagati dalla Procura di Milano per scommesse su piattaforme illecite, con atti già trasmessi alla Procura Figc per valutare eventuali violazioni dell’ordinamento sportivo (anche se, va detto, dalle prime indagini "non erano emerse fattispecie di rilievo disciplinare").

E non ci sono solo giocatori. Nell’inchiesta spunta anche un arbitro, accusato di aver sfruttato le proprie conoscenze nel mondo del calcio per agganciare i calciatori e metterli in contatto con i gestori dei siti illegali.

Proprio loro, i bookmaker, si occupano di ottenere in anticipo informazioni sui possibili risultati, chiedendo quote di scommesse non ancora pubblicate. Un giro da 300mila euro in contanti, più 1,2 milioni depositati su conti correnti italiani. I militari della Polizia Giudiziaria di Milano hanno sequestrato l’intera somma – circa 1,5 milioni – ritenuta provento del reato di riciclaggio, contestato a 5 indagati tra bookmaker e soci di un’attività commerciale.

Secondo l’inchiesta, per aggirare i limiti dei siti legali, avrebbero usato la procedura "senza uno zero": puntate con importi nominalmente inferiori, ma decuplicati nella realtà.

In pratica, l’attività funzionava come una banca parallela. I calciatori versavano somme ingenti nelle tasche dei gestori delle piattaforme illegali, regolando i conti attraverso bonifici camuffati da acquisti di beni di lusso mai realmente consegnati – una scusa per movimentare il denaro.

I PM sostengono che gli organizzatori abbiano sfruttato "un contesto socio-culturale di persone suggestionabili": calciatori poco più che ventenni, con stipendi enormi e una pericolosa propensione al gioco d’azzardo.

La Gdf ha già notificato il sequestro di 1,5 milioni di euro e richiesto gli arresti domiciliari per cinque persone: due gestori di piattaforme illegali e tre amministratori di attività commerciali, che avrebbero costruito un sistema per arricchirsi alle spalle degli atleti.

Ma la colpa, secondo me, non è solo loro. Il problema è tutto quel sistema in cui girano milioni e milioni, bilanci opachi con valori gonfiati, dove il "prezzo" di un giocatore diventa una voce di bilancio fumosa. E se poi volessimo parlare di sponsor, pubblicità e merchandising… beh, forse qualche Procura dovrebbe aprire un’altra inchiesta.

Sì... forse è ora di mandare a casa buona parte di questa casta di raccomandati, soprattutto chi si è macchiato di comportamenti antisportivi. Quanto a quelli che vogliono ancora giocare? Beh, meritano stipendi meno vertiginosi – perché, diciamocelo, a guardarli in campo, molti non dovrebbero neppure calcare quel maledetto rettangolo verde!.


sabato 12 aprile 2025

Quali vantaggi avranno le mafie quando arriveranno i dazi?

Un mio lettore potrebbe chiedermi: "Scusa Nicola, ma cosa c’entrano le mafie con i dazi?".

E allora stasera voglio spiegare come le mafie trasformeranno i dazi in un’opportunità. Perché loro, a differenza degli operatori legali, già controllano pezzi chiave dell’economia, sia legale che illegale. Hanno rapporti con la politica, con le istituzioni finanziarie, e soprattutto sanno muoversi dove gli altri devono rispettare le regole.

Con l’arrivo dei dazi, l’aumento delle tasse su molti prodotti farà esplodere il contrabbando. E chi è già pronto a vendere quelle merci a prezzi più bassi, aggirando i costi aggiuntivi? Loro. Approfitteranno dell’instabilità economica per muovere ancora più soldi illeciti e infiltrarsi ancora più a fondo nei mercati legali.

Pensate al commercio all’ingrosso, ai prodotti alimentari, ma non solo. Anche le merci vendute online diventeranno terreno di conquista, perché le mafie sanno già come operare nell’ombra del web, evitando i dazi con metodi sempre più sofisticati. E mentre loro guadagneranno, gli Stati perderanno entrate, perché evasione fiscale, riciclaggio e contrabbando sono il loro pane quotidiano.

Le dogane proveranno a fermarli, ma sarà una battaglia impari. Le mafie studiano da anni come bypassare i controlli, e i dazi non faranno che rendere più redditizie le loro operazioni. Meno soldi per lo Stato, più denaro sporco reinvestito nell’economia pulita. Per loro, sarà un affare perfetto.

Possiamo fermarli del tutto? No. Ma possiamo limitarli, con controlli più serrati alle frontiere, tracciando i movimenti sospetti di denaro, e soprattutto rafforzando la cooperazione internazionale tra polizie e magistrati. Perché il vero problema è che le mafie ormai sono ovunque: corrompono colletti bianchi, imprenditori, professionisti, e persino pezzi delle istituzioni - https://nicolacostanzo.blog/2025/04/03/il-nemico-invisibile-quando-la-corruzione-resiste-piu-della-mafia

Se non ci prepariamo con leggi più severe e una lotta senza quartiere alla corruzione, rischiamo di ritrovarci con un nemico ancora più potente e invisibile. Pronto a sfruttare ogni debolezza del sistema per espandersi e dominare, sempre pronto a sfruttare la debolezza del sistema e della natura umana, per potersi espanderse e dominare!!!

venerdì 11 aprile 2025

Diteci voi, allora: quante coltellate servono per essere crudeli?

"Quelle 75 coltellate non furono crudeltà, ma inesperienza" – così ha deciso la sentenza, cancellando l’aggravante per un uomo che ha confessato l’omicidio della sua ex fidanzata, uccisa in due distinti assalti, una violenza così metodica da far rabbrividire eppure, secondo i giudici, priva di quel calcolo spietato che trasforma un omicidio in un atto di ferocia deliberata.

Ma allora cos'è la crudeltà se non questo?

Apro il vocabolario Treccani e leggo: crudeltà – spietata durezza di cuore, tormenti inflitti con raffinata malvagità, sofferenza psichica inflitta con sistematica umiliazione e ancora più giù, nelle pieghe del diritto, si parla di crudeltà mentale come motivo valido per il divorzio perché il male non è solo sangue, è anche controllo, ossessione, lenta tortura dell’anima prima che del corpo.

Eppure qui non si tratta di sottigliezze psicologiche, qui ci sono 75 ferite aperte due aggressioni separate un accanimento che non può essere liquidato come “mancanza di esperienza”, già... come se uccidere fosse un mestiere che richiede pratica e il primo tentativo va perdonato perché goffo!

La Corte ha scritto che non ci sono elementi certi per dimostrare sofferenze gratuite e aggiuntive ma allora mi chiedo: Quali elementi servono oltre al corpo straziato di una donna? Quale dubbio può esistere quando i colpi non furono uno, non furono dieci, ma settantacinque?

Non è un caso che l’indignazione sia esplosa immediatamente, persino la sorella della vittima ha denunciato l’assurdità di questa logica che trasforma un massacro in un incidente tecnico e io mi chiedo se davvero serve una ferocia belluina per riconoscere l’odio perché forse il problema è proprio qui: ancora una volta si pretende che la violenza contro le donne abbia una scenografia da film dell’orrore per essere presa sul serio altrimenti è solo inesperienza un errore di percorso un eccesso momentaneo!

E invece no... ogni coltellata è una dichiarazione ogni ferita è un messaggio e quando diventano 75 non c’è più spazio per i dubbi, non ci sono attenuanti che tengano perché la verità è semplice: se in questo paese anche un numero così mostruoso di colpi non basta a far scattare l’aggravante della crudeltà allora è vero ciò che dice la sorella della vittima allora sono solo parole al vento i discorsi sulla tutela delle donne le promesse di cambiamento le leggi scritte ma mai applicate

Forse ha ragione Tajani quando dice che questa sentenza è un precedente agghiacciante perché se 75 coltellate non sono crudeltà allora cosa resta? 

Permettetemi quindi di aggiungere una nota personale, perché il problema non è solo questa sentenza, non è solo l’assurdità di chiamare "inesperienza" 75 coltellate, non è neppure soltanto l’ennesimo femminicidio trasformato in un tecnicismo legale, il problema è che tutto questo non è un errore, non è un caso isolato, non è la svista di qualche giudice distratto...

È il sintomo di un sistema che ancora, ostinatamente, si rifiuta di riconoscere la violenza maschile per quello che è: non un raptus, non un incidente, non un eccesso passionale, ma un meccanismo di potere, un linguaggio fatto di possesso e distruzione.

Perché un sistema che continua a chiedersi "cosa l’ha provocato" invece di chiedersi "perché l’ha fatto", cerca attenuanti prima ancora di ascoltare le vittime, trasforma carnefici in uomini "travolti dalle circostanze" e le vittime "in casi da analizzare con distacco".

D'altro canto, un sistema che, persino di fronte a 75 coltellate, riesce ancora a parlare di "mancanza di esperienza" invece che di "odio", "eccesso" invece che di "premeditazione, di "dubbio" invece che di evidenza.

Finché continueremo a farlo, finché la crudeltà dovrà essere dimostrata come fosse un optional e non l’essenza stessa del femminicidio, allora nessuna legge basterà, perché le leggi possono condannare, ma solo la cultura può riconoscere...

Ed allora ditemi, cosa dovrà ancora succedere prima che si ammetta l’ovvio: che non esiste violenza contro le donne normale, che ogni femminicidio è già di per sé un atto di crudeltà e che finché continueremo a sminuirla a cercare scappatoie, a chiamarla "inesperienza" invece che "odio" nessuna donna sarà mai al sicuro, già... nessuna di loro!!! 

giovedì 10 aprile 2025

9 femminicidi in 3 mesi: lo Stato sta proteggendo gli assassini, non le donne!

Da gennaio a oggi, nove donne uccise. Già... nove!!!

E quasi sempre per mano di chi diceva di amarle: mariti, compagni, ex. - tutti uomini che non hanno accettato un rifiuto, una fine, l’idea che una donna potesse esistere al di fuori del loro controllo! 

E poi c’è lei, la ragazza della mia isola, uccisa da un'ossessione, da un amore malato che amore non era, perché l’amore non uccide, non possiede e soprattutto non tormenta...

Ma il problema non sono solo loro, già... quei brutali assassini, il problema è tutto ciò che li circonda e che, in un modo o nell’altro, permette che tutto questo accada ancora e ancora. 

Mi riferisco a quei branchi di giovani che stuprano, sicuri che tanto nessuno di loro pagherà davvero, d'altronde lo vediamo, le famiglie corrono subito ai ripari, coprono con soldi i migliori legali, già... come se una vita violata fosse un incidente di percorso, sì... da sistemare in fretta e in silenzio. 

Ma di cosa parliamo, di una giustizia che non giustizia, che lascia liberi i colpevoli e soprattutto abbandona le vittime due volte: la prima quando subiscono la violenza, la seconda quando lo Stato non le protegge!

E allora viene da guardare altrove, verso quei Paesi che noi definiamo "meno civili", ma dove, forse, la civiltà si misura in modo diverso. Lì, a uno stupro non seguono cavilli legali, avvocati d’assalto, pene scontate, lì, le conseguenze sono immediate, dolorose, e non solo per chi ha commesso il crimine, ma per tutta la sua famiglia. 

Non starò qui a descrivere i metodi, perché non è questo il punto. Il punto è che lì, in qualche modo, quel male viene estirpato alla radice. Non c’è spazio per seconde chances quando si parla di violenza. 

C’è solo la certezza che chi fa del male, lo pagherà. E pagherà caro...

Noi invece qui cosa facciamo? Discutiamo, ci indigniamo per qualche giorno, ascoltiamo in Chiesa quei banali sermoni, mandiamo palloncini al cielo, applaudiamo all'esterno (non si capisce cosa...) e poi tutto torna come prima!

I governi passano, le leggi rimangono inefficaci e ahimè, le vittime aumentano! 

E allora viene da chiedersi: se uno Stato non è in grado di proteggere le sue donne, se le sue leggi non fermano i carnefici, se la sua giustizia non fa giustizia, forse è il momento di ammettere che qualcosa, in questo sistema, non funziona. 

Forse è il momento di guardare altrove, di smetterla di crederci i più civili solo perché non usiamo i machete o i coccodrilli. Perché la civiltà dovrebbe significare sicurezza, rispetto, vita, ed invece, qui, oggi, per troppe donne, significa solo paura.

E allora cosa resta da fare? Continuare a scrivere, a urlare, a pretendere che le cose cambino???

Perché se lo Stato non agisce, saremo noi a doverlo costringere. Per quelle nove. Per tutte le altre. Per non doverci ritrovare, tra un anno, a contare ancora più morti!!!


mercoledì 9 aprile 2025

Un grido nel silenzio delle corsie!

Stasera affronto un tema che da tempo fa parte della cronaca quotidiana, ma che troppo spesso scivola via come una notizia tra tante, perdendosi nel rumore di fondo dell'indifferenza generale...

E difatti... nelle luci accecanti dei reparti, tra il ronzio dei monitor e l’odore asettico del disinfettante, si muovono ogni giorno uomini e donne che hanno scelto di farsi carico del dolore altrui, di asciugare lacrime, di lottare contro il tempo per strappare vite alla morte.

Sono loro i guardiani invisibili della nostra salute che, sempre più spesso, diventano bersagli di una rabbia cieca, incomprensibile, che esplode in minacce sussurrate con voce roca, in insulti urlati con il volto congestionato, in gesti violenti che lasciano lividi sulla pelle e segni più profondi nell’anima.

Le aggressioni arrivano senza preavviso, come temporali improvvisi in una giornata serena!

Un paziente deluso da un’attesa troppo lunga, un familiare sopraffatto dalla disperazione, qualcuno che ha perso il controllo e scarica la propria frustrazione su chi gli sta davanti, su chi indossa un camice è per questo motivo, diventa simbolo di un sistema imperfetto da colpire.

Eppure quelle mani che si alzano minacciose sono le stesse che poco prima stringevano quelle degli operatori sanitari in un muto appello di aiuto.

I danni materiali si contano in vetri infranti, attrezzature vandalizzate, porte sfondate, ma il vero costo è quello invisibile!

Già... lo sguardo sfuggente di un infermiere che ora esita prima di avvicinarsi a un letto, la voce tremula di una dottoressa che deve spiegare per l’ennesima volta che no, non può fare miracoli, il volontario che si chiede se valga ancora la pena donare il proprio tempo in un luogo dove la gratitudine sembra essersi estinta...

D'altronde, mancano leggi adeguate a proteggerli, mancano protocolli chiari, manca persino la consapevolezza che questa violenza non è un rischio del mestiere ma un’ingiustizia inaccettabile, ed ancora, serve più vigilanza nei corridoi, ma ancor più serve ascolto, maggior dialogo, più umanità.

Intanto vorrei dire che servono norme stringenti da parte della politica, affinché si riconosca la dignità di chi cura e la sacralità di qui luoghi.

Perché quando un operatore sanitario viene aggredito, non è solo la sua persona a essere ferita, già... è l’intera società a perdere un pezzo della propria civiltà; in quel preciso momento, mentre qualcuno cerca di medicare le proprie ferite nell’infermeria del personale, fuori c'è un paziente che aspetta invano quel medico, quell’infermiere, quell’angelo in camice che in quel momento non può più prendersi cura di lui.

La violenza non è la risposta! Viceversa, la risposta è ricordare che dietro ogni divisa c’è un cuore che batte, dietro ogni protocollo c’è una vita dedicata agli altri, e che nessuna sofferenza giustifica l’offesa a chi soffre con noi e per noi.

È tempo quindi di salvaguardare quella professionalità, fare in modo che i nostri giovani non abbiano timore a dirigersi verso quel mondo del lavoro, perché dietro ogni camice c’è una storia, un nobile sentimento che non può e non deve diventare bersaglio d'individui che non hanno alcun rispetto per sé, figuriamoci per la società che li ospita.

E quindi, mentre fuori, in quel corridoio troppo luminoso, un paziente aspetta invano un medico che in quel momento non può raggiungerlo – perché sta medicando le proprie ferite, quelle dell’anima più che quelle del corpo – forse dovremmo tutti iniziare a chiedersi su quanto ahimè sta quotidianamente avvenendo.

Bisogna comprendere che ogni aggressione, ogni insulto, ogni gesto violento, non è solo un atto contro una persona, ma un tradimento della nostra umanità. Già... quando colpiamo chi ci tende la mano, quando feriamo chi ci cura, rinneghiamo ciò che ci rende civili!

Non bisogna mai dimenticare che in quei luoghi c'è chi ha rinunciato a cenare con la propria famiglia per assistere la nostra, chi ha pianto in silenzio dopo aver perso un paziente, eppure, si è asciugato le lacrime per affrontare il turno successivo, chi ha scelto di stare accanto al dolore altrui, anche quando nessuno starà accanto al suo.

Ecco perché è fondamentale guardarli sempre negli occhi, riconoscerli per ciò che sono: non eroi, non santi, ma semplicemente esseri umani che hanno scelto di prenderci cura, individui che meritano certamente di essere protetti.

Sì... perché un giorno, quel paziente in attesa, potremmo essere noi, e in quel momento, spereremo che chi indossa il camice non abbia paura di avvicinarsi al nostro letto.

È tempo quindi di cambiare, già... prima che sia troppo tardi.

Note sul Blog "Liberi pensieri"

Disclaimer (uso e condizioni):

Questo blog non rappresenta una “testata giornalistica” in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità, pertanto, non può considerarsi “prodotto editoriale” (sottoposto alla disciplina di cui all'art. 1 co.3 legge n.62 del 2001).

Gli articoli sono pubblicati sotto Licenza "Blogger", dunque, è possibile riprodurli, distribuirli, rappresentarli o recitarli in pubblico ma a condizione che non venga alterato in alcun modo il loro contenuto, che venga sempre citata la fonte (ossia l'Autore), che non vi sia alcuno scopo commerciale e che ciò sia preventivamente comunicato all'indirizzo nicolacostanzo67@gmail.com

Le rare immagini utilizzate sono tratte liberamente da internet, quindi valutate di “pubblico dominio”, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog al seguente indirizzo email:nicolacostanzo67@gmail.com, che provvederà alla loro pronta rimozione.

L'autore dichiara inoltre di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.

Per qualsiasi chiarimento contattaci

Copyright © LIBERI PENSIERI di Nicola Costanzo

ADUC

ADUC
Clicca x associarti

Sostieni Addio Pizzo

WIKIMAFIA

WIKIMAFIA
Sostieni Wikimafia