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venerdì 11 aprile 2025

Diteci voi, allora: quante coltellate servono per essere crudeli?

"Quelle 75 coltellate non furono crudeltà, ma inesperienza" – così ha deciso la sentenza, cancellando l’aggravante per un uomo che ha confessato l’omicidio della sua ex fidanzata, uccisa in due distinti assalti, una violenza così metodica da far rabbrividire eppure, secondo i giudici, priva di quel calcolo spietato che trasforma un omicidio in un atto di ferocia deliberata.

Ma allora cos'è la crudeltà se non questo?

Apro il vocabolario Treccani e leggo: crudeltà – spietata durezza di cuore, tormenti inflitti con raffinata malvagità, sofferenza psichica inflitta con sistematica umiliazione e ancora più giù, nelle pieghe del diritto, si parla di crudeltà mentale come motivo valido per il divorzio perché il male non è solo sangue, è anche controllo, ossessione, lenta tortura dell’anima prima che del corpo.

Eppure qui non si tratta di sottigliezze psicologiche, qui ci sono 75 ferite aperte due aggressioni separate un accanimento che non può essere liquidato come “mancanza di esperienza”, già... come se uccidere fosse un mestiere che richiede pratica e il primo tentativo va perdonato perché goffo!

La Corte ha scritto che non ci sono elementi certi per dimostrare sofferenze gratuite e aggiuntive ma allora mi chiedo: Quali elementi servono oltre al corpo straziato di una donna? Quale dubbio può esistere quando i colpi non furono uno, non furono dieci, ma settantacinque?

Non è un caso che l’indignazione sia esplosa immediatamente, persino la sorella della vittima ha denunciato l’assurdità di questa logica che trasforma un massacro in un incidente tecnico e io mi chiedo se davvero serve una ferocia belluina per riconoscere l’odio perché forse il problema è proprio qui: ancora una volta si pretende che la violenza contro le donne abbia una scenografia da film dell’orrore per essere presa sul serio altrimenti è solo inesperienza un errore di percorso un eccesso momentaneo!

E invece no... ogni coltellata è una dichiarazione ogni ferita è un messaggio e quando diventano 75 non c’è più spazio per i dubbi, non ci sono attenuanti che tengano perché la verità è semplice: se in questo paese anche un numero così mostruoso di colpi non basta a far scattare l’aggravante della crudeltà allora è vero ciò che dice la sorella della vittima allora sono solo parole al vento i discorsi sulla tutela delle donne le promesse di cambiamento le leggi scritte ma mai applicate

Forse ha ragione Tajani quando dice che questa sentenza è un precedente agghiacciante perché se 75 coltellate non sono crudeltà allora cosa resta? 

Permettetemi quindi di aggiungere una nota personale, perché il problema non è solo questa sentenza, non è solo l’assurdità di chiamare "inesperienza" 75 coltellate, non è neppure soltanto l’ennesimo femminicidio trasformato in un tecnicismo legale, il problema è che tutto questo non è un errore, non è un caso isolato, non è la svista di qualche giudice distratto...

È il sintomo di un sistema che ancora, ostinatamente, si rifiuta di riconoscere la violenza maschile per quello che è: non un raptus, non un incidente, non un eccesso passionale, ma un meccanismo di potere, un linguaggio fatto di possesso e distruzione.

Perché un sistema che continua a chiedersi "cosa l’ha provocato" invece di chiedersi "perché l’ha fatto", cerca attenuanti prima ancora di ascoltare le vittime, trasforma carnefici in uomini "travolti dalle circostanze" e le vittime "in casi da analizzare con distacco".

D'altro canto, un sistema che, persino di fronte a 75 coltellate, riesce ancora a parlare di "mancanza di esperienza" invece che di "odio", "eccesso" invece che di "premeditazione, di "dubbio" invece che di evidenza.

Finché continueremo a farlo, finché la crudeltà dovrà essere dimostrata come fosse un optional e non l’essenza stessa del femminicidio, allora nessuna legge basterà, perché le leggi possono condannare, ma solo la cultura può riconoscere...

Ed allora ditemi, cosa dovrà ancora succedere prima che si ammetta l’ovvio: che non esiste violenza contro le donne normale, che ogni femminicidio è già di per sé un atto di crudeltà e che finché continueremo a sminuirla a cercare scappatoie, a chiamarla "inesperienza" invece che "odio" nessuna donna sarà mai al sicuro, già... nessuna di loro!!! 

giovedì 10 aprile 2025

9 femminicidi in 3 mesi: lo Stato sta proteggendo gli assassini, non le donne!

Da gennaio a oggi, nove donne uccise. Già... nove!!!

E quasi sempre per mano di chi diceva di amarle: mariti, compagni, ex. - tutti uomini che non hanno accettato un rifiuto, una fine, l’idea che una donna potesse esistere al di fuori del loro controllo! 

E poi c’è lei, la ragazza della mia isola, uccisa da un'ossessione, da un amore malato che amore non era, perché l’amore non uccide, non possiede e soprattutto non tormenta...

Ma il problema non sono solo loro, già... quei brutali assassini, il problema è tutto ciò che li circonda e che, in un modo o nell’altro, permette che tutto questo accada ancora e ancora. 

Mi riferisco a quei branchi di giovani che stuprano, sicuri che tanto nessuno di loro pagherà davvero, d'altronde lo vediamo, le famiglie corrono subito ai ripari, coprono con soldi i migliori legali, già... come se una vita violata fosse un incidente di percorso, sì... da sistemare in fretta e in silenzio. 

Ma di cosa parliamo, di una giustizia che non giustizia, che lascia liberi i colpevoli e soprattutto abbandona le vittime due volte: la prima quando subiscono la violenza, la seconda quando lo Stato non le protegge!

E allora viene da guardare altrove, verso quei Paesi che noi definiamo "meno civili", ma dove, forse, la civiltà si misura in modo diverso. Lì, a uno stupro non seguono cavilli legali, avvocati d’assalto, pene scontate, lì, le conseguenze sono immediate, dolorose, e non solo per chi ha commesso il crimine, ma per tutta la sua famiglia. 

Non starò qui a descrivere i metodi, perché non è questo il punto. Il punto è che lì, in qualche modo, quel male viene estirpato alla radice. Non c’è spazio per seconde chances quando si parla di violenza. 

C’è solo la certezza che chi fa del male, lo pagherà. E pagherà caro...

Noi invece qui cosa facciamo? Discutiamo, ci indigniamo per qualche giorno, ascoltiamo in Chiesa quei banali sermoni, mandiamo palloncini al cielo, applaudiamo all'esterno (non si capisce cosa...) e poi tutto torna come prima!

I governi passano, le leggi rimangono inefficaci e ahimè, le vittime aumentano! 

E allora viene da chiedersi: se uno Stato non è in grado di proteggere le sue donne, se le sue leggi non fermano i carnefici, se la sua giustizia non fa giustizia, forse è il momento di ammettere che qualcosa, in questo sistema, non funziona. 

Forse è il momento di guardare altrove, di smetterla di crederci i più civili solo perché non usiamo i machete o i coccodrilli. Perché la civiltà dovrebbe significare sicurezza, rispetto, vita, ed invece, qui, oggi, per troppe donne, significa solo paura.

E allora cosa resta da fare? Continuare a scrivere, a urlare, a pretendere che le cose cambino???

Perché se lo Stato non agisce, saremo noi a doverlo costringere. Per quelle nove. Per tutte le altre. Per non doverci ritrovare, tra un anno, a contare ancora più morti!!!


mercoledì 9 aprile 2025

Un grido nel silenzio delle corsie!

Stasera affronto un tema che da tempo fa parte della cronaca quotidiana, ma che troppo spesso scivola via come una notizia tra tante, perdendosi nel rumore di fondo dell'indifferenza generale...

E difatti... nelle luci accecanti dei reparti, tra il ronzio dei monitor e l’odore asettico del disinfettante, si muovono ogni giorno uomini e donne che hanno scelto di farsi carico del dolore altrui, di asciugare lacrime, di lottare contro il tempo per strappare vite alla morte.

Sono loro i guardiani invisibili della nostra salute che, sempre più spesso, diventano bersagli di una rabbia cieca, incomprensibile, che esplode in minacce sussurrate con voce roca, in insulti urlati con il volto congestionato, in gesti violenti che lasciano lividi sulla pelle e segni più profondi nell’anima.

Le aggressioni arrivano senza preavviso, come temporali improvvisi in una giornata serena!

Un paziente deluso da un’attesa troppo lunga, un familiare sopraffatto dalla disperazione, qualcuno che ha perso il controllo e scarica la propria frustrazione su chi gli sta davanti, su chi indossa un camice è per questo motivo, diventa simbolo di un sistema imperfetto da colpire.

Eppure quelle mani che si alzano minacciose sono le stesse che poco prima stringevano quelle degli operatori sanitari in un muto appello di aiuto.

I danni materiali si contano in vetri infranti, attrezzature vandalizzate, porte sfondate, ma il vero costo è quello invisibile!

Già... lo sguardo sfuggente di un infermiere che ora esita prima di avvicinarsi a un letto, la voce tremula di una dottoressa che deve spiegare per l’ennesima volta che no, non può fare miracoli, il volontario che si chiede se valga ancora la pena donare il proprio tempo in un luogo dove la gratitudine sembra essersi estinta...

D'altronde, mancano leggi adeguate a proteggerli, mancano protocolli chiari, manca persino la consapevolezza che questa violenza non è un rischio del mestiere ma un’ingiustizia inaccettabile, ed ancora, serve più vigilanza nei corridoi, ma ancor più serve ascolto, maggior dialogo, più umanità.

Intanto vorrei dire che servono norme stringenti da parte della politica, affinché si riconosca la dignità di chi cura e la sacralità di qui luoghi.

Perché quando un operatore sanitario viene aggredito, non è solo la sua persona a essere ferita, già... è l’intera società a perdere un pezzo della propria civiltà; in quel preciso momento, mentre qualcuno cerca di medicare le proprie ferite nell’infermeria del personale, fuori c'è un paziente che aspetta invano quel medico, quell’infermiere, quell’angelo in camice che in quel momento non può più prendersi cura di lui.

La violenza non è la risposta! Viceversa, la risposta è ricordare che dietro ogni divisa c’è un cuore che batte, dietro ogni protocollo c’è una vita dedicata agli altri, e che nessuna sofferenza giustifica l’offesa a chi soffre con noi e per noi.

È tempo quindi di salvaguardare quella professionalità, fare in modo che i nostri giovani non abbiano timore a dirigersi verso quel mondo del lavoro, perché dietro ogni camice c’è una storia, un nobile sentimento che non può e non deve diventare bersaglio d'individui che non hanno alcun rispetto per sé, figuriamoci per la società che li ospita.

E quindi, mentre fuori, in quel corridoio troppo luminoso, un paziente aspetta invano un medico che in quel momento non può raggiungerlo – perché sta medicando le proprie ferite, quelle dell’anima più che quelle del corpo – forse dovremmo tutti iniziare a chiedersi su quanto ahimè sta quotidianamente avvenendo.

Bisogna comprendere che ogni aggressione, ogni insulto, ogni gesto violento, non è solo un atto contro una persona, ma un tradimento della nostra umanità. Già... quando colpiamo chi ci tende la mano, quando feriamo chi ci cura, rinneghiamo ciò che ci rende civili!

Non bisogna mai dimenticare che in quei luoghi c'è chi ha rinunciato a cenare con la propria famiglia per assistere la nostra, chi ha pianto in silenzio dopo aver perso un paziente, eppure, si è asciugato le lacrime per affrontare il turno successivo, chi ha scelto di stare accanto al dolore altrui, anche quando nessuno starà accanto al suo.

Ecco perché è fondamentale guardarli sempre negli occhi, riconoscerli per ciò che sono: non eroi, non santi, ma semplicemente esseri umani che hanno scelto di prenderci cura, individui che meritano certamente di essere protetti.

Sì... perché un giorno, quel paziente in attesa, potremmo essere noi, e in quel momento, spereremo che chi indossa il camice non abbia paura di avvicinarsi al nostro letto.

È tempo quindi di cambiare, già... prima che sia troppo tardi.

martedì 8 aprile 2025

Dopo l'ennesima delusione: la verità sul "Catania Calcio" che nessuno ha il coraggio di dire.

Questa sera, con il cuore gonfio di amarezza, sento il bisogno di condividere ciò che mi tormenta da tempo: il mio amore doloroso per il "Catania Calcio".

L'ennesima delusione casalinga mi ha spinto a una riflessione amara: com'è possibile che un gioco così semplice, governato da regole chiare, possa trasformarsi per noi in una tortura senza senso? La risposta, forse, sta in un ricordo che ho voluto ripercorrere cercando sul web proprio quel video che mi ha illuminato.

Vi chiedo, cari lettori, di osservare con me questa partita [link: https://www.google.com/search?q=video+partita+juniores+della+squadra+del+Barcellona&oq=video+partita+juniores+della+squadra+del+Barcellona+&gs_lcrp=EgZjaHJvbWUyBggAEEUYOdIBCDExNDFqMGo3qAIPsAIB&client=ms-android-xiaomi&sourceid=chrome-mobile&ie=UTF-8#fpstate=ive&vld=cid:886c8b14,vid:0aRVB6nnt0I,st:0]. Quello che vedrete non è un semplice filmato, ma la dimostrazione vivente di cosa significhi veramente giocare a calcio.

Il ricordo è vivido: anni fa, a Rimini, mi imbattetti in un torneo giovanile. In campo, il Rimini affrontava il Barcellona - non l'omonimo siciliano, ma quello vero, quello catalano. Bastarono pochi minuti per capire tutto. Quei ragazzi non correvano semplicemente dietro un pallone: stavano interpretando il calcio.

Era uno spettacolo ipnotico. Ogni movimento aveva uno scopo, ogni passaggio una logica. Nessun dribbling inutile, nessuna ricerca della giocata spettacolare. Solo calcio puro, essenziale. Il difensore difendeva, il centrocampista costruiva, l'attaccante finalizzava. Sembrava quasi una sinfonia, dove ogni musicista conosceva perfettamente la sua parte.

Poi guardo il nostro Catania...

Fuori casa vinciamo, sì, ma come? Chiudendoci a riccio, pregando che l'avversario sbagli, aggrappandoci a un gol fortunato per poi barricarci in difesa fino al fischio finale. In casa? Un disastro. Pareggi quando va bene, ma più spesso sconfitte che bruciano, frutto di un gioco senza anima, senza idee, senza identità.

La differenza è lampante: loro giocavano con la testa prima che con i piedi. Noi invece speriamo nel miracolo, nell'errore avversario, nel colpo di genio di qualcuno. Ma il calcio non è una lotteria. Il nostro indimenticabile Presidente Massimino lo sapeva bene: il calcio è "amalgama", è undici uomini che diventano un solo corpo.

Guardando quei giovani catalani, vedevo il calcio nella sua forma più pura. Noi invece brancoliamo nel buio, senza bussola, senza stella polare.

Per questo, mentre ripeto il mio abituale "Forza Catania", oggi sento il dovere di dire al Presidente Pelligra ciò che molti, per quieto vivere, tacciono: è ora di cambiare. Davvero!

Perché il calcio, quando è vero, è semplice. Ed è proprio questa semplicità la cosa più difficile da raggiungere.


lunedì 7 aprile 2025

Giustizia: tra speranza e realtà, siamo davvero vicini a una resa dei conti?"

Ogni giorno leggo notizie su procedimenti giudiziari che si susseguono a ritmo incalzante e spesso mi trovo a riflettere sul reale concetto di giustizia. 

D'altronde ditemi: Quante volte ci siamo chiesti se la giustizia arriverà davvero, o se è solo una promessa vuota?"

Già... quando ci si è dentro, quando ci si trova dinnanzi a casi eclatanti di ingiustizia, quando osserviamo questa diffusa corruzione o abuso di potere, viene difficile non chiedersi se questa affermazione sia ancora valida o se sia soltanto un pretesto per placare la nostra totale frustrazione.

Sì va detto... seppur ci troviamo un governo che realizza norme a scapito della giustizia e quindi invece di avere leggi che intervengano in maniera seria nei confronti di tutti quei soggetti che compiono costantemente azioni illegali e fraudolente, ecco che viceversa quest'ultimi, restano incredibilmente ancorati nelle loro poltrone, come se nulla fosse...

Tuttavia, qualcosa negli ultimi tempi, evidenzia che si stia cambiando, ma il processo è ancora lungo e quanto compiuto finora sembra una goccia, in questo mare immenso chiamato: malaffare!

Eppure in questo marasma generale, i processi grazie ad indagini approfondite delle Procure nazionali vanno avanti, poi quanto si giunga a quelle condanne esemplari è tutto che dire, ma la speranza è quella di poter credere che un giorno questo sistema, pur con i suoi limiti, possa funzionare. 

Ecco perché ritengo che non siamo ancora giunti alla parola "resa dei conti", perché si tratta di un piccolo passo avanti, in un percorso certamente lungo e imperfetto!

Ma d'altronde cosa vogliamo dalla giustizia che con il suo insieme di leggi e procedure, rappresenta in un qualche modo lo specchio della nostra società: Riflette i suoi valori, le sue priorità e, purtroppo, anche le sue contraddizioni. 

Quindi, quando assistiamo a casi di corruzione o di abuso di potere venir alla luce, è naturale chiedersi: ma quanti altri restano ancora nell'ombra? E quanto tempo ancora ci vorrà perché questi vengano a galla?

Certo, ogni volta che un indagato viene condannato o un sistema corrotto viene smantellato, dimostra che qualcosa sta funzionando, perché non è solo una questione di punire i colpevoli, ma anche di restituire fiducia ai cittadini, dimostrando che nessuno è al di sopra della legge!

Difatti, negli ultimi anni abbiamo assistito a diversi casi che hanno fatto discutere e che potrebbero essere considerati dei veri e propri punti di svolta. Processi che hanno coinvolto personaggi politici, imprenditori potenti, aziende multinazionali ed anche ahimè uomini e donne delle nostre Istituzioni, eppure con fatica, la giustizia ha dimostrato di esserci. 

Ovviamente questi casi hanno avuto non solo un impatto legale, ma hanno riacceso un dibattito pubblico su temi cruciali come trasparenza, equità e responsabilità.

Certo, quanto sopra non è sufficiente, poichè per ogni caso risolto, ce ne sono molti altri che restano irrisolti o che non ricevono la stessa attenzione. 

Ed allora sorge spontanea la domanda: La resa dei conti è un'utopia o una possibilità?

La sensazione è che quanto stiamo assistendo rappresenti soltanto una serie di episodi isolati, destinati a restare tali e che quindi la giustizia non è altro che un percorso fatto di alti e bassi, di successi e fallimenti.

E noi tutti, semplici spettatori, non possiamo fare altro che continuare a fare il nostro dovere, chiedendo trasparenza, denunciando e sostenendo chi lotta per i diritti, ma soprattutto ritengo sia importante non abbassare mai la guardia, perché la giustizia non avanza da sola, ha bisogno della nostra voce, della nostra attenzione e soprattutto del nostro impegno!

Non è più possibile essere compiacenti, omertosi o ancor peggio "perbenisti", sì come tutti quegli individui che predicano bene e razzolano male, persone brave a dettare precetti e regole, ma poi nei fatti dimostrano d'esser loro i primi a non rispettarli.

La vera resa dei conti sarà possibile solo quando la giustizia smetterà di essere un privilegio e diventerà un diritto per tutti!

Ed allora, se non fai parte di quei cosiddetti "perbenisti", puoi tranquillamente condividere il tuo pensiero. Già... credi che stiamo assistendo a un cambiamento reale, o che ci sia ancora molto da fare?

Condividi la tua opinione nei commenti o scrivimi una mail: potrebbe risultare un confronto interessante....

domenica 6 aprile 2025

Droga a quintali in Sicilia: il controllo del territorio che non c’è!

A conferma di quanto avevo riportato lo scorso anno nel post intitolato "Controllo del territorio in Sicilia??? Manca - secondo il sottoscritto - un serio coordinamento!!!" - lnk: https://nicola-costanzo.blogspot.com/2024/01/controllo-del-territorio-in-sicilia.html ecco che in questi giorni è emerso un evidente traffico di droga che dalla provincia messinese si estende in tutta l'isola.

Il provvedimento cautelare è stato emesso nell’ambito dell’indagine diretta dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina e condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Messina e della Compagnia di Taormina, che ha documentato tutta una serie di reati che vanno dall'associazione finalizzata al narcotraffico a numerosi episodi di spaccio di stupefacenti, estorsioni e rapine, tutti reati aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 del codice penale. 

Come emerso dall’indagine, gli affiliati di quella organizzazione criminale - intercettati- dichiaravano che la sostanza stupefacente, stava per giungere sull'isola “a quintali”, tanto da pernsare di rivolgersi ad altri soggetti pur di scongiurare il rischio di mancanza di continuità nell’attività di spaccio al minuto, circostanza, quest'ultima che farebbe perdere enormi profitti. 

Ed allora, visto quanto avviene in maniera continuativa, non riesco a comprendere perchè non si vogliano prendere quei semplici provvedimenti affinchè nell'isola non giunga neppure un grammo di sostanza stupefacente!

Quindi, ripendendo quanto avevo scritto (facendo scherzosamente funzioni da "docente") e ricordando come l'ingresso su ruote per i cittadini nell'isola sia legato principalmente a due porti, quello di Messina l'altro a Palermo, cui seguono quelli per le merci, su autocarri e/o conteiner in porti ben precisi, ed infine vi sono gli ingressi per le barche a diporto. 

Quindi, riepilogando, controllare le auto/furgoni/camper/etc... è abbastanza semplice: basta effettuare i controlli nei traghetti che da Villa San Giovanni giungono a Messina (stessa situazione per quanti giungono a Palermo...)! Già... basterebbe utilizzare (per Porto), all'incirca una ventina di militari con unità cinofile ed il gioco è fatto...

Passiamo ora agli altri Porti: beh.. in questi la situazione dovrebbe risultare ancor più semplice visto che esiste in quelle aree, la cosiddetta "Dogana" e quindi è già predisposta una struttura che effettua quei necessari controlli e quindi - per quanto da cittadino possa prevdere - da quei porti, non dovrebbe entrare neppure un grammo di droga!!!

Stessa circostanza dovrebbe valere per tutte le imbarcazioni da diporto che entrano nei vari porticcioli; ritengo che anche lì, vi siano ulteriori controlli mirati.

Tuttavia, comprenderete da voi come qualcosa di fatto non funziona e non chiedetemi cosa... ma certamente se nella mia isola, l'ntroito più rilevante per la criminalità organizzato è costituito dalle piazze di spaccio, qualcosa in quel controllo del territorio, dimostra che non sta funzionando!!!

Ccerto qualcuno a questa mia affermazione potrebbe rispondere: la droga giunge nell'isola attraverso i sommergibili!!! 

Sì potrebbe essere, d'altronde ora che mi ci si fa pensare, ricordo perfettamente quando da bambino mio padre mi portò al cinema (eravamo ad Addis Abeba), per vedere l’auto sommergibile di James Bond, resa famosa dal film “La spia che mi amava”.

Già... una "Lotus Esprit S1" guidata da Roger Moore (anche se, in realtà, l'attore non pilotò mai il prototipo, essendo un vero mezzo subacqueo, tanto che per le scene fu chiamato Don Griffin, un ex Navy Seal), ancora oggi una delle auto più iconiche della storia del cinema. Come dimenticare quella vettura capace di trasformarsi, in un attimo, da automobile a sottomarino?

Ora, non voglio certo insinuare che i "narcos siciliani" abbiano in dotazione una flotta di Lotus trasformabili, ma a questo punto, visto che i metodi "tradizionali" d'ingresso sembrano così ben controllati, mi chiedo: dovremmo forse assumere "Q", sì... il geniale inventore di 007, come consulente per la sicurezza portuale?

Perché se l'unica spiegazione logica per tutto questo stupefacente che circola è che arriva tramite auto anfibie o mini-sottomarini, allora forse - anziché potenziare i reparti antidroga - dovremmo rivolgerci a quelle produzioni cinematografiche, sì... per capire come fanno quegli effetti speciali, ad essere poi così realistici!

Si conclude qui il mio ruolo da sceneggiatore improvvisato. Tornando seri: un plauso alle forze dell’ordine per il lavoro svolto, ma è evidente che servono più mezzi, uomini e coordinamento per vincere questa battaglia. Altrimenti si perde tutti.

Perché a pagare il prezzo più alto, come sempre, sono i giovanissimi di questa nostra bellissima terra, lasciati in balia di un mercato che li divora. La Sicilia merita di essere protetta con azioni concrete, non solo grazie al suo mare, ma salvaguardando il futuro delle nuove generazioni.

sabato 5 aprile 2025

La "NASA" e l'enigma dei cieli: quando la scienza sfiora il mistero.

C'è qualcosa di profondamente affascinante nel modo in cui l'ignoto ci chiama a raccolta, spingendo persino le menti più razionali a confrontarsi con domande che sfidano i confini della comprensione umana. 

È in questo spazio sospeso tra scetticismo e meraviglia che la NASA ha compiuto un passo senza precedenti, annunciando la creazione di una figura dedicata esclusivamente allo studio dei fenomeni aerei non identificati - quegli eventi misteriosi che sfuggono ad ogni catalogazione convenzionale, sospesi tra tecnologia sconosciuta e fenomenologia inspiegabile.

Il rapporto che ha portato a questa decisione storica è il frutto di mesi di lavoro da parte di un gruppo selezionato di scienziati, esperti di dati e specialisti in sicurezza aerea, tutti concordi su un punto fondamentale: ciò che non si conosce merita di essere studiato, non ignorato. Le osservazioni raccolte finora, per quanto limitate nella quantità e spesso compromesse nella qualità, raccontano di oggetti che sembrano violare le leggi della fisica conosciuta, di traiettorie impossibili, di accelerazioni che lasciano gli esperti senza risposte.

E mentre l'agenzia spaziale americana insiste nel precisare che nessuna di queste anomalie dimostra un'origine extraterrestre, la comunità scientifica si divide tra chi vede in questa cautela un eccesso di prudenza e chi invece la considera l'unico approccio possibile. C'è chi ricorda casi celebri, come quell'oggetto interstellare dalle caratteristiche anomale che attraversò il nostro sistema solare lasciando dietro di sé più domande che risposte, o quei frammenti metallici dalla composizione insolita che ancora oggi rappresentano un rompicapo per i laboratori di analisi.

Dall'altra parte dell'oceano, altre agenzie spaziali hanno iniziato a dedicare risorse simili allo studio di questi fenomeni, mentre i governi nazionali, un tempo restii ad affrontare pubblicamente l'argomento, hanno cominciato a declassificare documenti e a raccogliere testimonianze dirette da piloti militari e civili. Il cambiamento di rotta è evidente: ciò che per decenni è stato relegato al dominio della fantasia e del complottismo sta trovando lentamente posto nei laboratori di ricerca e nei programmi istituzionali.

Eppure, il vero nodo da sciogliere non è tanto nella natura di questi fenomeni, quanto nel modo in cui la scienza sceglierà di affrontarli. Perché se da un lato la strumentazione moderna - satelliti ad alta risoluzione, sistemi di intelligenza artificiale per l'analisi dei dati, reti globali di sensori - offre possibilità inedite di indagine, dall'altro persiste una certa riluttanza ad approfondire ipotesi che potrebbero rivoluzionare la nostra comprensione del cosmo.

Forse, ciò che più colpisce in questa vicenda non sono gli avvistamenti in sé, ma il modo in cui stanno costringendo la comunità scientifica a ripensare i propri confini. Perché quando l'istituzione più prestigiosa dell'aeronautica mondiale ammette che esistono fenomeni a cui non sa dare risposta, sta implicitamente riconoscendo che l'universo ha ancora molto da insegnarci. E in questo spazio tra ciò che sappiamo e ciò che ignoriamo, tra dati concreti e possibilità inesplorate, si gioca una delle partite più affascinanti della scienza contemporanea.

Il pubblico osserva, diviso tra scetticismo e curiosità, mentre i ricercatori si interrogano su quale sarà il prossimo passo. 

Perché la verità, qualunque essa sia, potrebbe essere più strana di qualsiasi finzione - e forse è proprio questa consapevolezza, più di qualsiasi annuncio ufficiale, a segnare una vera rivoluzione nel nostro rapporto con l'ignoto.


venerdì 4 aprile 2025

La gestione delle carceri: un fallimento annunciato?

Le carceri italiane sono ormai il simbolo di una gestione pubblica disastrosa, caratterizzata da scelte politiche e amministrative che hanno prodotto conseguenze devastanti. 

Le circolari ministeriali e le disposizioni adottate negli ultimi anni hanno generato un effetto a catena di reati, aggressioni e rivolte, mentre il governo delle strutture detentive appare sempre più condizionato dagli interessi mafiosi.

Il danno economico derivante da questa situazione è incalcolabile: miliardi di euro dispersi tra inefficienze, costi di riparazione e spese straordinarie legate alla gestione delle emergenze. 

Eppure, nonostante la gravità del problema, le responsabilità contabili, civili e forse anche penali non sono mai state adeguatamente approfondite. 

Nel frattempo, gli agenti penitenziari, ormai stremati da un sistema che li abbandona, non hanno strumenti efficaci per impedire che le mafie controllino l'interno delle carceri.

Per spezzare questo ciclo vizioso, è necessario riscrivere le regole, costruendo un modello basato sulla civiltà e sulla speranza per i detenuti. Tuttavia, ciò non può significare concedere ulteriore spazio ai gruppi criminali più pericolosi, che oggi approfittano della debolezza delle istituzioni per rafforzare il loro controllo. 

Occorre impedire a una minoranza mafiosa di dettare legge e vietare qualsiasi forma di autogestione degli spazi condivisi, che di fatto trasforma le sezioni detentive in vere e proprie roccaforti della criminalità organizzata.

Le recenti indagini della magistratura palermitana hanno messo in luce falle gravissime nel sistema di sicurezza, con l'introduzione indiscriminata di telefoni cellulari e altri strumenti di comunicazione illeciti. 

Oggi, persino le sezioni di alta sicurezza non riescono più a garantire un controllo adeguato: i boss mafiosi possono continuare a comandare e a reclutare nuovi adepti, trasformando il carcere in un centro operativo per le loro attività criminali.

L'unico regime che ancora riesce a contrastare questo fenomeno è il 41bis, che limita drasticamente i contatti con l'esterno e impedisce il controllo mafioso sugli spazi comuni. Tuttavia, anche questa misura sembra destinata a essere smantellata nel tempo, rendendo il carcere sempre più irrilevante rispetto alle sue due funzioni principali: garantire la sicurezza dei cittadini e rieducare i condannati.

L'introduzione dei telefoni nelle carceri è un fenomeno ormai fuori controllo. 

La libera circolazione dei detenuti all'interno delle strutture rende estremamente semplice il contrabbando di dispositivi, che possono essere lanciati dall'esterno, trasportati dai droni o introdotti durante i colloqui con i familiari. 

Un cellulare in mano a un boss significa la possibilità di continuare a gestire il traffico di droga, impartire ordini ai propri affiliati e persino commissionare omicidi.

Fino a qualche anno fa, chi introduceva un telefono era sottoposto a misure disciplinari rigorose, e gli utilizzatori venivano immediatamente trasferiti. Oggi, invece, il numero di sequestri è in costante aumento, ma le sanzioni sono praticamente inesistenti. Il sistema sembra aver alzato bandiera bianca.

Quali prospettive per il futuro?

Per invertire questa deriva serve una classe dirigente preparata e determinata, capace di interrompere il binomio retorica-incompetenza che da anni grava sulle scelte politiche in materia carceraria. 

Ma prima ancora, è necessaria una presa di coscienza collettiva sugli errori commessi, sulle inefficienze del sistema e sulle conseguenze di un approccio sempre più permissivo nei confronti della criminalità organizzata.

Il carcere non deve diventare un luogo di tortura, ma nemmeno un territorio senza regole in cui la mafia continua a dettare legge. 

Ripristinare un sistema sicuro e funzionante è un dovere verso le vittime della criminalità, verso gli agenti penitenziari che ogni giorno rischiano la vita e verso tutti i cittadini che meritano uno Stato forte e credibile.


giovedì 3 aprile 2025

Il nemico invisibile: quando la corruzione resiste più della mafia!

Mentre il vento soffiava forte sulla Sicilia, le parole del procuratore Maurizio De Lucia risuonavano come un campanello d'allarme in un'aula gremita di persone.

I reati di pubblica amministrazione? "Non siamo in grado oggi di contrastarli adeguatamente"!

Con queste parle e con voce ferma, carica di preoccupazione, si è espresso il Procuratore durante un convegno e la sua, non è una semplice constatazione, ma ahimè, una vera e propria denuncia di un sistema in affanno. 

Il magistrato nella sua disanima ha altresì elencato tutta una serie di problematiche e di ostacoli attualmente presenti nel sistema giudiziario: il carico di lavoro insostenibile dei GIP, la precedenza dovuta al codice rosso, le nuove procedure che impongono interrogatori preventivi prima di applicare misure cautelari, per non parlare del limite di 45 giorni per le intercettazioni!

Un mosaico di impedimenti che rendono la lotta alla corruzione quasi impossibile e chissà, viene il sospetto che quanto compiuto con queste nuove normative, serva principalmente a promuovere l'illegalità o quantomeno a proteggerla!!!  

Non posso che sorridere pensando al contrasto che il nostro paese ha dedicato alla mafia, con strumenti sempre più sofisticati, pool di magistrati e forze dell'ordine, ma anche cittadini comuni che hanno dedicato la loro vita a quella lotta, cui si sono sommate legislazioni speciali, per poi scoprire che il vero nemico, più resiliente e adattabile, forse non è più "Cosa Nostra", bensì quel cancro silenzioso che divora le istituzioni dall'interno. 

La corruzione in Italia ha assunto ormai i contorni di una consuetudine, un malcostume che si infiltra in ogni anfratto della società, dal piccolo comune di provincia ai grandi palazzi del potere. Essa non fa rumore come le bombe mafiose, non lascia cadaveri per strada, ma lentamente erode la fiducia dei cittadini nello Stato e nelle sue istituzioni. 

D'altronde è diventata quasi una prassi accettata, un modo di fare, dove il confine tra lecito e illecito si è fatto sempre più labile. Nei corridoi degli uffici pubblici, nelle anticamere dei potenti, nei consigli di amministrazione, si è sviluppato un linguaggio fatto di cenni, di mezze parole, di silenzi eloquenti, dove ogni favore presuppone un contraccambio, dove ogni pratica ha il suo prezzo, ufficiale o nascosto che sia. 

La corruzione moderna ha saputo creare un sistema che si autoalimenta dove pubblico e privato si fondono in una danza pericolosa di interessi incrociati. Il funzionario che velocizza una pratica, il politico che orienta un appalto, l'imprenditore che offre una tangente mascherata da consulenza, il professionista che falsifica una perizia, tutti ingranaggi di una macchina ben oliata che gira indisturbata. 

Questo sistema ha di fatto creato una società parallela dove il merito viene soppiantato dalla raccomandazione, dove l'onestà diventa un ostacolo alla carriera, dove chi rispetta le regole viene visto come un ostacolo da eliminare o quantomeno da costringere al silenzio!!!

Nel frattempo la mafia mostra il suo volto feroce, la corruzione indossa abiti eleganti, frequenta salotti buoni, parla lingue straniere, usa tecnologie avanzate per nascondere i suoi traffici. E così.... mentre la mafia intimidisce e minaccia, la corruzione seduce e corrompe, offrendo vantaggi immediati in cambio di piccole o grandi deviazioni dal sentiero della legalità e il cittadino comune si trova così di fronte a un bivio: resistere in un mondo che sembra premiare chi aggira le regole o adeguarsi al malcostume imperante.

Comprenderete come le conseguenze di questa pervasiva accettazione della corruzione sono devastanti anche se meno visibili di un attentato mafioso: Servizi pubblici inefficienti, sprechi di risorse, aumento delle disuguaglianze, perdita di competitività dell'intero sistema Paese. 

La corruzione diventa così non solo un problema morale ma un vero e proprio freno allo sviluppo economico e sociale, ecco perché le parole di De Lucia ci ricordano che nonostante le leggi, nonostante i proclami, nonostante gli sforzi di magistrati e forze dell'ordine oneste, il sistema attuale non è attrezzato per combattere efficacemente questo nemico invisibile. 

Sì... servirebbero più risorse, procedure più snelle, maggiore coordinamento, ma soprattutto una rivoluzione culturale che rimetta al centro il valore dell'onestà e del bene comune. Bisognerebbe partire dalle nuove generazioni, mostrare loro che esiste un'alternativa al sistema corrotto, che si può vivere con dignità senza scendere a compromessi con la propria coscienza. 

Certo, mentre formiamo i giovani di questa nazione, il malaffare purtroppo continua a diffondersi, silenzioso e inarrestabile, negli uffici pubblici come nelle aziende private, nelle grandi città come nei piccoli paesi, alimentato dall'indifferenza di molti e dalla complicità di troppi, ed è una battaglia che rischiamo di perdere se non prendiamo coscienza che la vera mafia oggi non è più solo quella delle lupare e dei pizzini, ma quella ben più insidiosa che si annida tra le pieghe della burocrazia, nella normalizzazione dell'illegalità, nella assuefazione collettiva al malaffare. 

So bene come questa sfida sia ardua, ma non impossibile, bisogna che ciascuno faccia la propria parte, rifiutando la logica del favore, denunciando le irregolarità, pretendendo trasparenza, soltanto così potremo sentirci persone dignitose e auspicare di poter lasciare un giorno ai nostri figli un Paese migliore, libero non solo da questo cancro chiamato "mafia", ma soprattutto da quella diffusa corruzione che oggi sembra quasi inattaccabile!

mercoledì 2 aprile 2025

La giustizia perfetta senza pregiudizi o condizionamenti? Quando i robot sostituiranno i magistrati!

Ascolto le notizie riportate in Tv sulla giustizia e mi chiedevo cosa accadrebbe se applicassimo la tecnologia AI al sistema giudiziario?

Già... immaginiamo un mondo in cui i magistrati siano sostituiti da robot in grado di interpretare la legge in modo impeccabile, senza influenze esterne, condizionamenti o pregiudizi!

Già, in questo, un "magistrato robot" avrebbe capacità straordinarie e non indifferenti.

Ad esempio... una memoria infinita: potrebbe incamerare tutta la legislazione passata e vigente, accedendo a ogni norma, articolo o regolamento in pochi secondi.

Ed ancora, sarebbe in grado di realizzare un aggiornamento istantaneo: le nuove normative non richiederebbero anni di studio, ma solo pochi minuti di upgrade.

Cosa dire inoltre sulla "coerenza" assoluta; questa... grazie all’analisi in tempo reale di tutte le sentenze emesse, potrebbe adottare interpretazioni giuridiche coerenti, sì... basate su precedenti consolidati.

Ma non solo, nessuna imparzialità: sì...niente pressioni politiche, correnti, interessi personali o condizionamenti emotivi. Solo la legge, applicata in modo rigoroso e oggettivo.

Ma allora, è davvero possibile percorrere questa strada per una giustizia perfetta?

Certo, in molti ora diranno che, se da un lato l’IA (intelligenza artificiale) potrebbe eliminare gli errori umani, i ritardi burocratici e le disparità d'interpretazione, dall’altro farebbe sorgere domande importanti...

La legge è solo una questione di logica, o c’è un elemento umano – come l’equità, la comprensione del contesto sociale e la capacità di adattarsi a casi eccezionali – che un robot non potrebbe mai replicare?

Chi sarebbe responsabile in caso di errori o decisioni controverse e, soprattutto, siamo pronti a delegare decisioni che riguardano la libertà e la vita delle persone a una macchina?

Tuttavia, l’idea di un magistrato robot affascina, ma allo stesso tempo spaventa. Se da un lato rappresenta un’opportunità per rendere la giustizia più efficiente e imparziale, dall’altro ci costringerebbe a riflettere su cosa significhi davvero “giustizia” e su quanto l’elemento umano sia insostituibile.

E allora, ditemi: cosa ne pensate? Quanto siete disposti a fidarvi di un sistema giudiziario gestito dall’intelligenza artificiale?

martedì 1 aprile 2025

L'Abuso che nasce dalla fiducia: Quando la collaborazione diventa tradimento.

La prestazione d'opera - quel rapporto anche di fatto - diventa l'occasione e la ragione di quello possessorio proprio lì, in quel legame apparentemente innocuo, in quella collaborazione di fiducia nata sì... per esigenza, ma perché imposta dalla normativa vigente. Ed è qui che ahimè si annida il pericolo più subdolo: quell'incarico professionale che si trasforma in un'arma silenziosa protetta dall'ipocrisia, dall'omertà e ancor peggio...dal compromesso!

Un'opportunità perfetta, sì, per chi sa scorgere nella vicinanza la chiave dei propri fini illeciti. Così comincia il gioco: un incarico formale, un sorriso rassicurante, una stretta di mano che sigilla promesse di perfezione. 

Ma sotto questa patina di correttezza pulsa una realtà ben diversa, perché l'uomo in malafede conosce un segreto crudele: la fiducia è la serratura più facile da scassinare!

Documenti, fondi, rapporti riservati, tutto gli viene consegnato con ingenua solerzia. La prestazione d'opera si trasforma così nel pretesto perfetto, nella maschera più convincente. È l'ombrello sotto cui nascondere movimenti nell'ombra, appropriazioni indebite, distrazioni di somme, manipolazioni calcolate. Una frode che avanza al ritmo regolare di chi sa di poter essere al sicuro - perché quando sei "quello di fiducia", chi oserebbe controllarti e poi se chi controlla è anche partecipe all'inganno...

Il sistema si autoalimenta: complicità passive, silenzi interessati, occhi volutamente distratti, finché - improvviso - il crollo. Un coraggioso rompe il muro dell'omertà, porta alla luce vuoti contabili, incongruenze, scuse che ormai puzzano di menzogna. La sentenza di condanna arriva come un macigno: sì... quelle denunce secondo molti (per lo più gli stessi che si erano resi complici di quel malaffare o che auspicavano di ricevere da quel sostegno dato, chissà... qualche briciola) erano "fantasiose", ma che - dalla sentenza pronunciata - si scopre essere una verità scomoda! 

Ed ora, già... ora quegli stessi complici si scoprono "vittime", fingono stupore - "Come abbiamo fatto a non capire, a non vedere, come è stato possibile tutto ciò?" - quando invece... avevano scelto di non guardare!

La verità è cruda: ogni ignavo è complice! Ogni silenzio ha permesso all'illegalità di radicarsi. L'abusatore, certo, è stato abile: ha studiato mosse e contromosse, ha sfruttato ogni dettaglio, ha vestito il crimine con l'abito rassicurante della normalità. Ma la sua forza veniva principalmente dall'indifferenza altrui!

Ora la lezione è chiara: diffidare non basta. Occorre vigilare, controllare, ma soprattutto ricordare!

Perché ogni rapporto professionale porta in sé un paradosso: la fiducia è necessaria, ma può diventare il cavallo di Troia dell'inganno. Riconoscere i segnali  e soprattutto - gli ipocriti sostenitori del sistemi - non è cinismo: è l'unico vaccino contro danni irreparabili. 

Il prezzo della legalità? L'eterna vigilanza!

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