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mercoledì 16 luglio 2025

Quando i segreti in questo nostro Paese fanno storia!!!

Trentatré anni dopo, il silenzio che avvolgeva una pagina oscura sembra incrinarsi sotto il peso di un documento ritrovato, come se il tempo avesse deciso di consegnarci ciò che qualcuno aveva sperato di tenere nascosto per sempre. 

Un foglio dimenticato, un verbale che racconta di incontri, di voci, di dettagli mai approfonditi, prova che sin dall’inizio c’erano elementi in grado di cambiare la direzione delle indagini. Ma non fu così. 

Già... chi poteva agire non lo fece e chi doveva ascoltare preferì ignorare... 

E mentre si costruiva una verità ufficiale, comoda e rassicurante, altre tracce venivano cancellate, archiviate, occultate con cura.

Un magistrato, poco prima della sua fine violenta, aveva cercato di ottenere una delega per interrogare un pentito. Non era una richiesta qualsiasi. Quell’uomo parlava di collegamenti tra organizzazioni estremiste e ambienti mafiosi, di accordi stretti al riparo da occhi indiscreti. Voleva portare quelle informazioni ai colleghi che indagavano su una strage che ancora oggi fa dibattere. 

Ma sappiamo bene come finii... non ebbe il tempo di completare il suo lavoro. Il verbale rimase lì, abbandonato tra carte che nessuno volle leggere fino in fondo. Perché? Chi decise che quelle rivelazioni non meritavano attenzione?

Eppure, negli anni, si è sempre faticato a far emergere certe connessioni. Si parlò di “pista nera”, ma fu liquidata come una teoria inconsistente, quasi una fantasia. Altri, invece, ci credettero. Lo stesso pentito insistette più volte, insieme alla sua compagna, anch’essa messa in discussione, sospettata non per le prove prodotte ma per chi le pronunciava. Fu accusato di mentire, lei di suggestionarlo. E quelli che avrebbero dovuto ascoltarlo, che forse ne conoscevano i segreti, fecero orecchie da mercante. Oggi però quel verbale è tornato alla luce grazie all’ostinazione di un avvocato che non ha accettato il silenzio come risposta. 

E allora ci si chiede: perché quelle parole furono ignorate? Perché chi le raccolse finì sotto processo, mentre chi le avrebbe potute usare per scavare più a fondo non fu mai davvero chiamato a rispondere?

C’è un filo che lega tutto, invisibile ma resistente, che collega depistaggi, omissioni, incontri notturni e luoghi sospetti. Il pentito raccontò di un boss che controllava un territorio preciso, di persone che frequentavano ambienti diversi ma con interessi convergenti, di sopralluoghi mai registrati, di movimenti anomali mai indagati. Parlò anche di un politico, non tanto per nome quanto per rapporto personale con uno dei protagonisti di questa storia. Di un uomo che, a scuola, aveva condiviso banchi e ideali con il magistrato. Che strano destino, no? Vedere intrecciarsi vite così distanti in superficie ma collegate da fili che affondano nel profondo. E proprio in quei giorni, il magistrato confessò a qualcuno di sentirsi tradito da un amico. Un’amarezza improvvisa, una frase buttata lì, come un barlume di consapevolezza. Ma nessuno gli chiese mai chi fosse quel traditore. Nessuno volle sapere.

Forse perché certe domande, una volta poste, non lasciano spazio alle bugie. Forse perché scoprire troppo avrebbe significato smontare equilibri precari, mettere in discussione ruoli e fedeltà. E allora si preferì tacere. Si preferì processare chi parlava, piuttosto che chi sapeva. Si preferì archiviare, piuttosto che indagare. Ma i documenti, quando sono veri, non muoiono mai. Aspettano solo il momento giusto per riemergere. E oggi, quel verbale parla chiaro. 

Per cui... non possiamo fingere di non aver capito. Possiamo solo chiederci cosa altro è stato nascosto, quanti altri nodi non sono stati sciolti, quante verità hanno pagato il prezzo dell’omertà. In questo paese, purtroppo, i segreti sono sempre stati più numerosi delle verità. E forse, per qualcuno, continueranno a esserlo.

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