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domenica 19 agosto 2018

Tutti sapevano... e tutti hanno taciuto!!!

Mi è giunto su whatapp un articolo interessante a firma di Rosanna Spadini...
Penso che con questo suo post, abbia voluto rappresentare i motivi che hanno condotto alla tragedia di questi giorni nella città di Genova:
La Privatizzazione delle Autostrade (governo D'Alema con al Tesoro il Ministro Draghi), è stata concepita come un enorme generatore di tangenti e mazzette, visto come i politici hanno regalato l’enorme  rendita di tipo feudale ai Sig.ri Benetton, principi di quel capitalismo finanziario, che si ciba di diritti lavorativi, giustizia sindacale, rispetto per i diritti umani, con il consenso di tutti i partiti, in particolare di quei cosiddetti "compagni" di sinistra.  
Manca "lo ius primae nonctis", ma c’è quello della pena di morte per i "prolet", che non hanno alcun potere né privilegio, se non quello di morire casualmente in un giorno d’agosto, mentre stanno andando al mare o stanno tranquillamente in casa propria...
Per anni ci siamo sentiti dire sulle tv di "B.....ni" e della Rai, che “privato” è bello mentre “pubblico” è brutto, dove lì vi sono solo fannulloni, furbetti del cartellino etc etc… 
Ed ora, grazie a quelle false politiche, ci ritroviamo le autostrade più care d’Europa, con i ponti che crollano e provocano decine di vittime!!! Inoltre, mentre in Europa non vi è alcun segreto di Stato sulle concessioni, la Francia ad esempio pubblica online i contratti... da noi tutto viene decretato!!!
Ma la tragica vicenda del ponte Morandi non è che l’ultima in serie di tempo, perché la storia del gruppo è costellata di numerosi episodi di questo tipo. Infatti Benetton Group ha sistematicamente sfruttato la vita degli esseri umani, trattandoli come sudditi o peggio ancora come schiavi...  Ad esempio, trasferendo parte dei suoi prodotti a terzisti cinesi, una nazione che sappiamo vieta ogni libertà sindacale. 
Inoltre ha sfruttato collegamenti produttivi con Argentina, India, Lituania, Turchia, Ucraina, Ungheria, paesi che ostacolano fortemente le libertà sindacali...
Ed ancora, come dimenticare quel 16 aprile 2003, quando si concluse il processo promosso da Benetton contro Riccardo Orizio, giornalista del “Corriere della Sera”, che nell’ottobre del '98 aveva pubblicato un servizio sulla presenza di lavoro minorile alla Bermuda e alla Gorkem Spor Giyim, due fabbriche turche che producevano abbigliamento a marchio Benetton. 
Di professione terziste, non lavoravano direttamente per Benetton Group, ma per il suo referente turco Bogazici Hazir Giyim.
Il servizio però era ben fornito di documentazione (nomi, cognomi e foto), quindi si meritava una querela da parte del gruppo, che doveva difendere il proprio onore di rispettabilità nella difesa dei diritti umani. 
Al tempo l’articolo di Orizio aveva imbarazzato fortemente i Benetton, anche perché aveva riportato una dichiarazione sconcertante dell’imprenditore delle Bermuda: “I rapporti tra noi e l’azienda italiana sono amichevoli e di intensa collaborazione. Loro sono i miei principali clienti”.
L’articolo affermava inoltre che i capi di vestiario prodotti alla Gorkem recavano l’etichetta “Made in Italy”. 
Per difendere la propria immagine, Benetton querelò Riccardo Orizio per diffamazione. 
In base alla documentazione presentata dal Corsera e a dichiarazioni rese dai testimoni, il Tribunale sentenziò che: “L’utilizzo, nelle aziende sub-fornitori del licenziatario turco di Benetton, di lavoratori-bambini” è “circostanza risultata sostanzialmente provata“. Tuttavia - in Italia la giustizia ha un modo ambiguo nell'emettere le sentenze - ha condannato Orizio a 800 euro di multa, perché avrebbe sbagliato nell'affermare in modo perentorio che in una di queste aziende, venissero prodotti capi con il marchio made in Italy per conto dell’azienda italiana“. 
Come si dice: "Un colpo al cerchio e uno alla botte"...
Altro tragico crollo fu quello della periferia di Dhaka, in Bangladesh, nell'aprile 2013, dove un palazzo di otto piani si sbriciolò e morirono almeno 381 operai, che lavoravano in assenza delle più elementari condizioni di sicurezza e producevano capi per conto di multinazionali, tra cui casualmente anche l’azienda di Treviso.
Dalle macerie del Rana Plaza una camicia di colore scuro, sporca di polvere, fu fotografata tra le macerie, con l’inconfondibile etichetta verde acceso: United Colors of Benetton!!!
Le fabbriche tessili che avevano sede in quel palazzo e soprattutto i dipendenti che lavoravano lì in assenza delle più elementari condizioni di sicurezza, producevano capi d'abbigliamento per conto ovviamente di quelle multinazionali occidentali...
Inoltre l’agenzia France Press aveva comunicato che aveva ricevuto dalla Federazione operai tessili del Bangladesh, documenti contenenti un ordine da circa 30mila pezzi fatto nel settembre 2012 da Benetton alla New Wave Bottoms Ltd, una delle manifatture ingoiate dal crollo. 
La dicitura “Benetton” appariva anche sul sito internet dell’azienda, all'indirizzo: "www.newwavebd.com", ma fin dalle ore successive al crollo la pagina non fu più accessibile e in rete ne rimase solo una copia cache. 
“Main buyers” (clienti principali), si legge in alto a sinistra, più in basso, sotto la dicitura “Camicie uomo-donna”, l’elenco degli acquirenti: tra questi, numero 16 della lista, figura “Benetton Asia Pacific Ltd, Honk Kong”.
In un primo momento l’azienda veneta aveva negato legami con i laboratori venuti giù nel crollo, ma poi dopo la pubblicazione delle foto, su Twitter era arrivata una prima ammissione: “Per quanto riguarda il tragico incidente a Dhaka, in Bangladesh, desideriamo confermare che nessuna delle società coinvolte è un fornitore di nessuno dei nostri marchi. Oltre a questo, un ordine di una volta è stato completato e spedito da uno dei produttori coinvolti diverse settimane prima dell’incidente. 
Da allora, questo subappaltatore è stato rimosso dalla nostra lista dei fornitori.”
E ancora, sempre nel 2013, ai media italiani sfuggì completamente la notizia delle violenze subite  in Patagonia dalla Comunità Mapuche. 
Ma il perché i media dovrebbero occuparsi dei Mapuche, una popolazione indigena che attualmente vive divisa fra Cile e Argentina, di cui non interessa una mazza a nessuno, è questione raffinata. 
Quelli non facevano male a nessuno, se ne stavano tranquilli nelle loro tane finché non arrivarono prima gli occidentali (specie spagnoli) a massacrarli, a costruire dighe, autostrade e realizzare piantagioni invasive.  
Poi nel 1991 il capitalismo arrivò sotto gli united colors della famiglia Benetton, che acquistò per 50 milioni di dollari 900.000 ettari di terre dalla compagnia Tierras De Sur Argentino, principale proprietaria della Patagonia argentina. 
Quindi acquisite le terre, la Benetton procedette allo sfollamento dei Mapuche, per allevare capi di bestiame, tra pecore e montoni, utili alla produzione della lana che serviva per la lavorazione dei maglioni.
Ma i Mapuche sono una popolazione piuttosto cocciuta, così riuscirono a ri-occupare una parte delle terre loro sottratte, finché intervenne la gendarmeria argentina, che usò metodi brutali per sedare la resistenza di quel popolo fiero. Amnesty International Argentina ed altre ong denunciarono con forza l’ennesima violazione dei diritti umani.
Oggi l’impero della famiglia possiede in Argentina 280.000 pecore, che producono 1.300.000 chili di lana all'anno. 
Lo sfruttamento delle terre della Compagnia si è aggiunto a quello minerario di giacimenti situati nella provincia di San Juan, attraverso di Min Sud (Minera Sud Argentina S.A.), che ha sede centrale in Canada.
Per molti anni i Benetton hanno portato via le risorse nazionali senza pagare tasse e senza registrare i lussuosi edifici che realizzavano sulle loro terre.
Ma i Benetton non erano quelli della United Colors, dei bimbi di ogni razza che sorridevano felici dalle vetrine del franchising, della globalizzazione multicolor del vestiario, della pubblicistica spregiudicata di Oliviero Toscani che voleva denunciare la discriminazione contro i diversi e i diseredati del mondo? 
«Il conformismo è il peggior nemico della creatività. Chiunque sia incapace di prendersi dei rischi non può essere creativo» diceva il compagno, che ultimamente ha manifestato contro il governo "fascio-razzista", indossando una maglietta rossa.
Perché allora qualcuno dovrebbe morire per colpa di questa “multinazionale della felicità” globalizzata?
Perché i Benetton, con il loro seguito di zerbinaggio politico, dovrebbero trattare gli italiani alla pari dei poveri Mapuche? 
Ma soprattutto perché nel nuovo mondo dei "prolet", la condizione degli sfruttati del terzo mondo sta diventando comune agli abitanti del primo mondo, che credevano di avere ancora qualche diritto, sociale e civile, in particolare quello di vivere serenamente la propria vita?
Ce lo chiede la globalizzazione, direbbero in particolare quelli della sedicente sinistra, quelli che difendono i Benetton e le loro privatizzazioni... Rosanna Spadini

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