Prendete il caso di Palermo: un ex amministratore di condominio, responsabile di oltre trenta stabili, finisce agli arresti domiciliari e il giudice per le indagini preliminari, su richiesta della Procura, dispone immediatamente il sequestro preventivo di quasi duecentomila euro, presunto profitto dei reati contestati: appropriazione indebita e autoriciclaggio.
Le indagini, coordinate dalla sezione di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza e guidate dal colonnello Antonio Campo, nascono da cinque querele presentate da altrettanti rappresentanti di condomini, insospettiti da ammanchi emersi nel passaggio tra vecchio e nuovo amministratore.
Secondo le indagini non si tratta di sviste contabili, ma di un meccanismo organizzato: rendiconti falsificati, surplus creati ad arte, somme convogliate su conti personali, poi suddivise tra carte prepagate intestate all’indagato e alla moglie, infine spese su piattaforme di gioco online - una a Malta, l’altra in Italia. L’analisi dei flussi finanziari ha ricostruito con chiarezza il percorso del denaro, come un filo che non si spezza, ma si attorciglia intorno a scelte precise, calcolate.
Eppure, proprio mentre leggevo il comunicato stampa di questa operazione - tanto esemplare quanto rara nella sua efficienza - non ho potuto fare a meno di confrontarla con quanto accade altrove: inchieste pendenti che sono durate anni, beni mai sequestrati, professionisti coinvolti in condotte amministrative e finanziarie gravissime, eppure mai sottoposti a misure analoghe, nemmeno lontanamente paragonabili.
Alcuni di quei casi hanno visto addirittura il Tribunale competente nominare un amministratore giudiziario - segno inequivocabile del livello di gravità raggiunto - eppure, al di là della forma giuridica, la sostanza si dissolve in una gestione opaca, dove le responsabilità si smorzano, le sanzioni si annacquano, e ciò che dovrebbe apparire intollerabile finisce per essere tollerato, quasi normalizzato.
Ho espresso più volte, anche in esposti ufficiali, il mio profondo disagio di fronte a certe leggerezze operative - a decisioni prese come se stessimo parlando di bollette dimenticate, non di risorse sottratte a comunità, spesso fragili, di persone che pagano regolarmente per vedersi poi private dei servizi essenziali.
Non credo più - per esperienza diretta - che si tratti soltanto di differenze procedurali o di carichi di lavoro diseguali. C’è qualcosa di più profondo: una sorta di geografia morale dei tribunali, dove la pressione politica, le infiltrazioni mafiose, e talvolta anche la presenza discreta ma capillare di logge massoniche, finiscono per piegare l’applicazione della legge verso esiti divergenti.
Lo dico senza enfasi polemica, ma con la lucidità di chi osserva da anni, da una posizione non comoda - quella di delegato in associazioni di legalità - e che ha la responsabilità, giorno dopo giorno, di tenere accesa l’attenzione su quei passaggi silenziosi in cui la giustizia, invece di essere uguale per tutti, diventa un bene distribuito a dosi diseguali.
Questo caso a Palermo, per quanto limitato nella sua dimensione, è importante non perché sia eccezionale, ma perché è coerente: dimostra che quando ci sono volontà, competenza e autonomia, si può intervenire con tempestività, tutelando i cittadini e restituendo dignità a un sistema che spesso sembra averla smarrita.
Mi auguro - lo dico sinceramente, senza alcuna ironia - che non rimanga un’iniziativa isolata, ma diventi, per ciascun Tribunale siciliano (evito di fare nomi - per il momento...), un modello replicabile, anche perché, finché resteremo in questa condizione di duplice standard, sarà difficile chiedere ai cittadini di continuare a credere, non tanto nelle leggi - sì... quelle ci sono - quanto in chi le applica.
Per cui, se leggete queste righe e vi riconoscete in una situazione simile - un rendiconto poco chiaro, spese gonfiate, un cambio di amministratore con ammanchi inspiegabili - non chiudete il post e lasciate che tutto scorra via. Fermatevi, raccogliete i documenti che avete (verbali, estratti conto, fatture, comunicazioni) e confrontatevi con altri condomini e se i dubbi diventano certezze, non abbiate paura di agire.
Basta un esposto scritto, ben argomentato, inviata alla Procura della Repubblica competente per territorio, o alla locale Sezione della Guardia di Finanza. Già... non serve essere esperti: serve essere precisi. Indicate, nomi, date, somme e discrepanze.
Ed ancora, se il vostro condominio ha beneficiato di incentivi statali - bonus facciate, sismabonus, ristrutturazioni con cessione del credito - potete anche verificare se gli interventi risultano tracciati (vedasi il portale di Openpolis che monitora i cantieri finanziati con fondi pubblici) o se le procedure di affidamento sono registrate nel sistema ANAC. Spesso, una semplice incongruenza visibile in rete - un importo dichiarato di 50.000 euro che in banca diventano 80.000 - è già un campanello d'allarme.
Io, come delegato per la legalità, e insieme a chi ogni giorno lavora per rendere trasparente ciò che qualcuno vorrebbe tenere nell’ombra, sono a disposizione per aiutarvi a formulare una segnalazione efficace. Non vi chiedo di fare da soli ciò che il sistema dovrebbe garantirvi per diritto: vi chiedo solo di non tacere. Perché ogni silenzio, anche il più breve, è un segnale di assenso.
Scrivetemi, condividete, verificate: Agite!
Insieme, possiamo trasformare l’amarezza in responsabilità, e la responsabilità in cambiamento.
Resto - come faccio da anni - in ascolto.
