Le dichiarazioni ufficiali parlano di “monitoraggio” e “preparazione a diversi scenari”, ma intanto i raid non si fermano, e il bilancio delle vittime cresce senza sosta.
E così, mentre dodici paesi annunciano un embargo sulle armi, segnando una svolta nella pressione internazionale, l’esercito siriano inizia a ritirarsi da Suweida.
Ma è una tregua fragile, interrotta dal boato degli attacchi israeliani a Damasco, che come abbiamo visto ieri, hanno colpito persino il palazzo presidenziale.
Sono oltre duecentocinquanta i morti in pochi giorni, e il confine tra Israele e Siria è diventato un caos di profughi e miliziani, con drusi che attraversano in entrambe le direzioni, disperati.
Le condanne si moltiplicano, dall’Iran all’Unione Europea, mentre gli Stati Uniti cercano di mediare una de-escalation che sembra essere sempre più lontana.
A Sweida, i leader drusi negano qualsiasi accordo con il governo, e la violenza continua a mietere vittime. Si parla di oltre trecento morti, in una spirale di odio settario che nessun cessate il fuoco riesce a fermare.
Ed allora Israele ha iniziato a spostare una parte delle sue truppe dislocate su Gaza verso il confine siriano, rafforzando così la propria presenza militare mentre i missili continuano a colpire obiettivi strategici.
“Non attraversate il confine”, avvertono le autorità israeliane ai drusi, ma come potete immaginare, la disperazione è più forte degli ordini. Intanto, l’Ue chiede il rispetto della sovranità siriana, ma le parole sembrano vuote, già… gettate al vento, mentre le immagini di distruzione che arrivano da Sweida e Damasco sono concrete.
Niente si placa e ancor meno si ferma.
Il conflitto che il Presidente Trump aveva annunciato come agli sgoccioli, si sta viceversa ( per come avevo anticipato) sempre di più estendendo, coinvolgendo nuovi territori, nuove comunità e ahimè nuove vittime.
E così mentre tutti i leader parlano di “pace”, di “transizione”, di “soluzioni”, il Medio Oriente brucia, ancora una volta, senza vederne più la fine…