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giovedì 27 gennaio 2011

Giornata della memoria...


Come ogni anno si discute e si dibatte sui crimini del genocidio, sulle cause che lo hanno determinato, sui loro artefici e su coloro che lo hanno permesso ed aggiungo ha tutti coloro che in nome e per nome di una giustizia l'hanno combattuto...
Di parole se ne sono dette tante e tante ancora se ne dovranno dire...
Non basterà l'eternità per poter cancellare dalle menti, quanto la natura umana, ha saputo sviluppare per voler reprimere un suo pari... Desideravo quindi non aggiungere altro, ma soltanto riproporvi questa bellissima poesia...


Son morto ch'ero bambino


son morto con altri cento

passato per un camino

e ora sono nel vento

Ad Auschwitz c'era la neve

il fumo saliva lento

nei campi tante persone

che ora sono nel vento

Nei campi tante persone

ma un solo grande silenzio

che strano, non ho imparato

a sorridere qui nel vento.

Io chiedo come puo` un uomo

uccidere un suo fratello

eppure siamo a milioni

in polvere qui nel vento.

Ancora tuona il cannone

ancora non e` contenta

di sangue la bestia umana

e ancora ci porta il vento.

Io chiedo quando sara`

che un uomo potra` imparare

a vivere senza ammazzare

e il vento si posera`.

Francesco Guccini

giovedì 20 gennaio 2011

Lo stupro è meno grave se la ragazza non è vergine...

Se il caso della sentenza di Cassazione sullo stupro della minorenne, ritenuto meno grave perché la vittima non era più vergine, vi ha colpito, vi invito a leggere questo articolo di "Altalex", che approfondisce la questione da un punto di vista giuridico.

La vicenda, al centro della cronaca giudiziaria, riguarda la presunta minore gravità della violenza sessuale ai danni di una minorenne non più vergine. Questo caso merita chiarezza, soprattutto alla luce delle norme che regolano i reati contro la libertà personale. In particolare, l’art. 609-quater, comma 3, del codice penale prevede una attenuante speciale per i casi di minore gravità del fatto, applicabile anche al reato di atti sessuali con minorenne.

Il delitto di cui all’art. 609-quater c.p. stabilisce che: “Soggiace alla pena prevista dall’articolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con una persona che, al momento del fatto, non ha compiuto i 14 anni, o i 16 anni se il colpevole è un ascendente, genitore, tutore o persona a cui il minore è affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia. Nei casi di minore gravità, la pena è diminuita fino a due terzi.”

Nel caso in questione, il reato ascritto è quello di cui all’art. 609-quater, caratterizzato dall’assenza di coercizione. La Cassazione, nella sentenza 29662/2004, ha evidenziato che il rapporto era stato pienamente acconsentito dalla vittima, che ne aveva scelto le modalità. Tuttavia, il collegio di merito aveva negato la diminuente della minore gravità, ritenendo che le "modalità innaturali del rapporto" ne aumentassero la gravità. La Corte di Cassazione ha rilevato una contraddizione logica: lo stesso fatto (le modalità del rapporto) era stato utilizzato sia per negare la diminuente, sia per giustificare la condotta della vittima.

La Suprema Corte ha sottolineato che, sebbene la condotta dell’imputato rimanga riprovevole, non si può escludere la diminuente della minore gravità basandosi su un aspetto scelto dalla vittima stessa. Inoltre, la Corte ha valutato l’incidenza della condotta sul bene giuridico tutelato, ovvero il corretto sviluppo della personalità sessuale del minore. In questo caso, la vittima aveva già avuto numerosi rapporti sessuali a partire dai 13 anni, il che portava a ritenere che la sua maturità sessuale fosse superiore alla media per la sua età.

La sentenza non ha mai affermato che “lo stupro è meno grave se la vittima non è più vergine”, come erroneamente riportato da alcuni media. Al contrario, ha semplicemente considerato che una minorenne con una storia sessuale pregressa avesse una maggiore maturità sessuale. La Corte ha ribadito che il fatto rimane riprovevole, ma ha riconosciuto che il rapporto era stato consumato con il consenso della minorenne, che aveva scelto le modalità.

Quando i giudici sbagliano, è giusto criticarli, ma è altrettanto importante correggere le distorsioni dei media. La sentenza Cass. pen. 6329/06 non merita di essere “dimenticata con ignominia”: è opinabile, ma non ha detto ciò che è stato riportato.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 25 novembre 2003, la Corte d’Appello di Cagliari ha confermato la condanna a T.M. per violenza sessuale, riducendo la pena per altri reati minori. L’imputato aveva negato il rapporto di convivenza con la vittima, S.V., ma la Corte ha ritenuto credibili le testimonianze a suo sfavore. La vittima, nonostante alcune inesattezze nel racconto, aveva descritto chiaramente i rapporti con l’imputato, che aveva scelto modalità sessuali alternative per evitare rischi alla sua salute, data la sua pregressa tossicodipendenza.

La Corte di merito aveva negato la diminuente della minore gravità, ritenendo il fatto particolarmente grave. Tuttavia, la Cassazione ha rilevato che la vittima, già sessualmente attiva dai 13 anni, aveva una maturità superiore alla media per la sua età, il che rendeva il fatto di minore gravità. La sentenza ha quindi riconosciuto la diminuente, pur mantenendo la condanna per il reato.

martedì 18 gennaio 2011

I nostri soldi...


C'è un meccanismo che mi ha molto colpito e vorrei condividerlo con voi...

Si definisce Signoraggio il profitto che nasce dalla differenza tra il valore nominale della moneta (cioè il valore numerico scritto sopra) e i costi sostenuti per produrla.
I profitti del signoraggio, o rendita monetaria, li prende chi emette moneta. Se pensi che questi proventi siano ridistribuiti alla collettività come sarebbe giusto ... ti sbagli di grosso!
Storicamente, la parola “signoraggio” trae origine dal ricavo, goduto dal “signore del feudo”, proveniente dall'emissione di moneta avente valore nominale superiore al valore intrinseco. 
Il “signore” otteneva un guadagno dalla sovranità sulla moneta.
Oggi il “signore del feudo” non c'è più... ma il signoraggio continua ad essere riscosso dalle Banche Centrali, per realizzare e prolungare una frode colossale nata e cresciuta a causa di ignoranza, censura, disinformazione, connivenza, collusione e corruzione. 
Una truffa che provoca direttamente il più grande trasferimento esistente al mondo di ricchezza pubblica (e quindi di potere) in mani private.
Proprio come nel medioevo, ancora oggi la ricchezza resa dal signoraggio, viene ottenuta sottraendo a tutti gli onesti cittadini i frutti del proprio lavoro.
Tutti i proventi del signoraggio vanno purtroppo nelle tasche di una ristretta cerchia di privati. 
Ma la potente combriccola ha pure, nel frattempo, escogitato un'altra truffa ancora peggiore per tenerci tutti soggiogati.
Il MONOPOLIO dell'emissione della cartamoneta Euro (€) appartiene alla Banca Centrale Europea, la quale, a differenza di quanto comunemente si crede, è di fatto una Società per Azioni con scopo di lucro che, dietro il pretesto istituzionale di "preservare il potere d’acquisto dell'euro" (cosa sulla quale ogni cittadino europeo avrebbe da ridire), cerca di trarre dall'emissione di carta-moneta il MASSIMO PROFITTO POSSIBILE per i suoi azionisti (cosa che, come vedremo tra poco, fa fin troppo bene).
E chi sono gli azionisti della BCE?
Gli azionisti sono le singole Banche Centrali Nazionali che si dividono i profitti secondo le percentuali che detengono. In mezzo ci sono pure la Banca d'Inghilterra, di Svezia e di Danimarca, che, senza nemmeno essere entrate nella moneta unica, percepiscono il signoraggio, pagato dagli inconsapevoli cittadini delle nazioni che adottano l'euro.
Quasi tutte le Banche Centrali Nazionali sono a loro volta, più o meno segretamente, possedute da altre banche e società private. Lo stesso accade per Banca d'Italia.
Ma da dove arrivano i profitti degli azionisti della BCE?
PROPRIO DAL SIGNORAGGIO!! Ecco cosa succede: la banca centrale privata stampa la carta-moneta e LA PRESTA per l'importo pari al VALORE NOMINALE CHE C'È SCRITTO SOPRA agli Stati nazionali in cambio di titoli di debito pubblico gravati di interesse annuo deciso dalla stessa in modo arbitrario. 
In questo modo la restituzione di una banconota da 100 Euro costata alla BCE 0,03 Euro viene a costare allo Stato 100 Euro, con un profitto per gli azionisti della BCE di 100 - 0,03 = €99,97 ...e se è pagato dopo un anno il costo per la comunità nazionale arriva a 102,5 Euro con un tasso di interesse del 2.5%. Con questo tasso, che sembrerebbe irrisorio, il debito costituito da tutte le banconote emesse in uno Stato (ovvero tutte le banconote da 5, 10, 20, 50, 100, 200 e 500 euro) raddoppia ogni 29 anni!!
Gli Stati membri dell’Unione Europea, per conto dei banchieri, fanno pagare ai propri cittadini questo debito fittizio tassandoli sempre più per pagare il cosiddetto “debito pubblico” che potrà solo aumentare e MAI estinguersi, essendo pari al valore nominale di TUTTA LA CARTA-MONETA emessa + interessi pregressi e, come se non bastasse, gravato da un interesse a scelta della BCE!
Il "debito pubblico", per pagare il quale il nostro patrimonio e il nostro reddito, faticosamente guadagnato, viene tassato con IVA, IRPEF, ILOR, ICI, accise, una tantum, etc.. e per il quale VIENE SVENDUTO IL NOSTRO PATRIMONIO STATALE, nasce proprio da questa pratica fraudolenta, usuraria, immorale e devastante.
Ecco che cosa guadagnano e si spartiscono gli azionisti delle Banche Centrali!!!
Ma non è tutto! La BCE (con le varie banche centrali nazionali), nello Stato Patrimoniale del suo bilancio, apposta il valore delle banconote emesse come voce PASSIVA, ossia le tratta come se fossero un debito per la banca, mentre non lo sono assolutamente. E si tratta di oltre 500 miliardi di Euro! Inoltre, nel Conto Economico, non apposta come profitto le nuove emissioni (in tutto circa 40 miliardi di Euro l'anno).
Come se il presidente di una squadra di calcio, dopo aver ordinato ad una tipografia la stampa dei biglietti per l’ingresso allo stadio, nel momento della consegna e del pagamento, invece dei pochi centesimi per biglietto, si senta avanzare dal tipografo due sconcertanti richieste: di corrispondere come pagamento il valore nominale da lui stampigliato sui biglietti d’ingresso ed inoltre di ricevere un interesse (scelto arbitrariamente e senza appello) sul valore nominale di ogni biglietto consegnato!
In più a fine anno il tipografo, per non pagare tasse e rivalersi sul suo cliente, iscriverebbe a bilancio la stampa effettuata come perdita di un costo pari al valore nominale dei biglietti stampati e venduti!!
È un sistema incostituzionale che viene gestito dalle maggiori banche centrali private del mondo e, per quel che ci riguarda, dalla Banca Centrale Europea, la quale delega per l'Italia il suo azionista locale, Bankitalia SpA.
La BCE e le altre banche centrali nazionali stampano banconote non coperte da oro né danno diritto, al loro portatore, di convertirle in oro o in altri beni. 
Per questo le banconote non costituiscono affatto un debito per la banca che le ha emesse. Sono pura e semplice carta stampata e numerata!
Del valore di questa carta, la BCE si attribuisce in modo unilaterale la proprietà e la fornisce alle sue condizioni, ignorando che chi dà valore a della carta in quanto mezzo di scambio è la comunità che la riconosce e l'accetta, motivo per cui la proprietà della moneta spetta alla comunità e non a banchieri e banche private a scopo di lucro.
I PROVENTI DEL SIGNORAGGIO SONO SOTTRATTI ALLE COMUNITÀ NAZIONALI E VENGONO DIVISI TRA BANCHE PRIVATE CHE ACCRESCONO LA LORO RICCHEZZA IMPOVERENDO GLI ONESTI CITTADINI.
Ma ciò che è ancor più sconvolgente è che, per di più:
LE BANCHE CENTRALI, ISCRIVENDO AL PASSIVO DELLO STATO PATRIMONIALE IL TOTALE DELLA MONETA EMESSA E NON ISCRIVENDO NEL CONTO DI GESTIONE IL PROFITTO DI EMISSIONE (OVVERO IL SIGNORAGGIO), OCCULTANO GRAN PARTE DEL LORO PATRIMONIO E DEI LORO PROFITTI, ELUDENDO COSÌ IL DOVERE DI RIMETTERLO ALLO STATO E COSTRINGENDO COSÌ LO STATO A SPREMERE DAI CITTADINI SEMPRE PIÙ TASSE!!
Praticamente i proventi del signoraggio ci vengono tolti per ben 2 VOLTE !!!
In conclusione:
LE BANCHE CENTRALI SI APPROPRIANO INGIUSTAMENTE DEL SIGNORAGGIO E, FACENDOCI PAGARE UN DEBITO INESTINGUIBILE CHE NON DOVREBBE ESISTERE, C’ESPROPRIANO SEGRETAMENTE DEI FRUTTI DEL NOSTRO LAVORO RENDENDOCI SCHIAVI ATTRAVERSO DEBITO PUBBLICO E TASSE!!
E adesso... rispondimi! Vuoi permanere nella condizione di SCHIAVITÙ o intendi lottare per la tua dignità, riappropriandoti della Sovranità Monetaria Popolare per liberarti e liberare i tuoi simili dall'oppressore?
PENSACI! Soltanto rimpossessandosi del potere dell'emissione monetaria diretta, in nome e per conto dei cittadini, lo Stato evita di regalare i proventi del signoraggio al sistema bancario e di spremere i cittadini mediante tasse inevitabilmente crescenti. 
Lo Stato Italiano SOVRANO potrebbe così finalmente riappropriarsi della possibilità di poter svolgere un' autonoma politica economica, proprio per il fatto di poter rilanciare l'economia senza accrescere l'indebitamento pubblico.
L'indebitamento pubblico, infatti, accresce in modo proporzionale il potere dei creditori nei confronti dello Stato stesso.
La fattibilità della Sovranità Popolare della Moneta si basa su un semplice quanto solido ragionamento: se lo Stato è solvibile quando emette propri titoli del debito pubblico e le monete metalliche, lo è certamente anche quando emette la propria moneta cartacea. 
Con l'essenziale vantaggio che non si indebita e non paga interessi. In altre parole accresce il patrimonio della comunità invece di lasciare che tale patrimonio venga tacitamente sequestrato da una ristretta cerchia di banchieri.

martedì 11 gennaio 2011

Il Crocifisso deve restare nelle aule scolastiche???

Con una importante decisione, il Consiglio di Stato è intervenuto sulla questione della esposizione del crocifisso nelle aule stabilendo, una volta per tutte, che «per tutti, credenti e non credenti, essa non discrimina».
Respingendo il ricorso di una signora finlandese,che aveva chiesto la rimozione della croce dalla parete dell’aula di una scuola media frequentata dai figli, la cui esposizione avrebbe a suo dire violato i principi di laicità dello Stato e d'imparzialità dell'amministrazione, la VI Sezione , con sentenza n. 556 del 13/2/2006, ha stabilito che il crocifisso deve restare nelle aule perché esso non è solo un simbolo religioso,ma esprime tutti i valori civili di tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti e solidarietà, tutti principi che “delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato”.
La sentenza in commento ha il pregio di ricondurre,in termini strettamente giuridici, un dibattito, quello sulla libertà religiosa e sulla laicità della Repubblica italiana, troppo spesso ispirato da interpretazioni che gli stessi giudici hanno descritto come «ideologiche».
Il Crocifisso rimane, dunque, “sintesi di valori anche per i laici» e ha «funzione altamente educativa» a prescindere dal culto. Esso è un segno che non discrimina ma unisce,non offende ma educa.
Fuori dalle chiese, in un ufficio pubblico come può essere una scuola, il crocifisso resta un riferimento alla fede per i cristiani, «ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata e assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile e intuibile (al pari d'ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono e ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento della nostra civile convivenza».
Esso,dunque,esprime valori quale «tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, riguardo alla sua libertà, autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione»,valori che «hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano».
In questo senso «il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte "laico", diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni».
La ricorrente cittadina straniera nel 2002 si era rivolta al Tribunale amministrativo regionale del Veneto che, dopo aver sollevato la questione davanti alla Corte costituzionale, che l'aveva dichiarata inammissibile, aveva respinto il ricorso (vedi ordinanza 14 gennaio 2004, n. 56 del TAR Veneto e sentenza Corte Cost. 15/12/2004 n. 389).
I Giudici del massimo consesso amministrativo hanno giudicato «infondato» il ricorso in appello proposto dalla medesima ricorrente motivando la decisione proprio con il principio di laicità dello Stato.
Si legge, infatti, nella sentenza che «non si può pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come a una suppellettile, oggetto di arredo e neppure come a un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come a un simbolo idoneo a esprimere l'elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato».
Uno Stato laico, dunque, rispetta la sensibilità e la libertà religiosa di ciascuno, riaffermando al tempo stesso valori comuni a tutti i cittadini.
Anzi, si legge ancora nella sentenza, «nel contesto culturale italiano appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti più di esso (del crocifisso, ndr) a farlo; e l'appellante del resto auspica (e rivendica) una parete bianca, la sola che alla stessa appare particolarmente consona con il valore della laicità dello Stato».
La decisione delle autorità scolastiche «in esecuzione di norme regolamentari» di esporre il crocifisso - ha osservato il Consiglio di Stato - «non appare pertanto censurabile con riferimento al principio di laicità proprio dello Stato italiano».
Né vale obiettare, come è stato sostenuto nel ricorso,che quelle norme regolamentari (contenute nel regio decreto 965 del 1924) furono emanate quando la religione cattolica era «la sola religione dello Stato» perché «è altrettanto vero che tale norma non impedì minimamente al legislatore, nel corso di vari decenni, di adottare in molteplici settori della vita dello Stato una normativa contraria agli interessi della confessione cattolica» e perfino «di ascrivere la Chiesa cattolica tra le associazioni illecite».
Va ricordato come già in precedenza, il Consiglio di Stato si era pronunciato sulla questione con il parere n. 63/1988,documento efficace perché capace, nel breve volgere di poche righe, di riassumere egregiamente quanto di meno condivisibile è possibile sostenere su questo tema (vedi G. Galante, Piccole note sul Crocifisso nelle aule scolastiche, in Ass. Costituzionalisti.it, ott. 2004).
Le asserzioni in esso contenute sono tre.
a) Non sarebbe ravvisabile alcun rapporto di incompatibilità tra le norme regolamentari concernenti l'esposizione del crocefisso nelle scuole e le norme sopravvenute.
b) Il crocefisso, <>.
c) La presenza del crocefisso nelle aule non costituisce <>.
A tale orientamento fece seguito il noto,quanto controverso,provvedimento giudiziale del Tribunale aquilano, che nell'ottobre del 2003 sollevò una vivace reazione sociale ed un coinvolgimento diretto di forze politiche ed istituzioni (vedi Tribunale dell’Aquila, ordinanza 22 ottobre 2003, Giudice Montanaro).
"Nell'ambito scolastico – motivava la sentenza - la presenza del simbolo della croce induce nell'alunno a una comprensione profondamente scorretta della dimensione culturale della espressione di fede, perché manifesta l'inequivoca volontà, dello Stato, trattandosi di scuola pubblica, di porre il culto cattolico al centro dell'universo, come verità assoluta, senza il minimo rispetto per il ruolo svolto dalle altre esperienze religiose e sociali nel processo storico dello sviluppo umano, trascurando completamente le loro inevitabili relazioni e i loro reciproci condizionamenti".
La rimozione del crocifisso, concludeva il giudice, è l'unica misura possibile per inibire la lesione del diritto di libertà dei figli minori, poiché l'alternativa sarebbe non far partecipare all'attività didattica i piccoli scolari.
Anche la esposizione del Crocifisso nelle aule di giustizia è stato oggetto di critica.
Lo scorso anno, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 41571/2005, aveva stabilito che l'esposizione del crocifisso nelle aule di udienza, pur costituendo "una situazione astrattamente sussumibile nelle fattispecie processuali di cui all'art. 45 c.p.p. se si ha riguardo al suo carattere extraprocessuale" non assume rilevanza per la rimessione del giudizio e che è "indubitabile che la esposizione del crocifisso esula dalla fattispecie processuale de qua perché difetta dell’imprescindibile carattere locale".

La Suprema Corte , aveva precisato che "la esposizione del crocefisso nelle aule giudiziarie non è limitata al Tribunale di Verona, e neppure agli uffici giudiziari di quella città, ma si estende ai tutto il territorio nazionale,in conformità, del resto, al contenuto della menzionata fonte ministeriale, che indirizzava l'obbligo di esporre il crocefisso a tutti i capi degli uffici giudiziari nazionali" con la conseguenza che " non può invocarsi l'istituto della rimessione del processo per scongiurare un pericolo di parzialità del giudice o di turbamento del giudizio, quando la situazione che asseritamente genera quel pericolo ha dimensione nazionale, essendo evidente che in tal caso anche la translatio iudicii non sarebbe in grado di rimuovere o evitare quella stessa situazione che si assume pregiudizievole per la imparzialità e serenità del giudizio".

La Corte aveva così respinto l'istanza dell'imputato di fede islamica il quale contestava la presenza del crocifisso nell'aula del Tribunale poiché contraria alla laicità dello Stato italiano e costituente un'intrusione nella sfera di libertà negativa del singolo che può perciò pregiudicare la libera determinazione dei soggetti del processo (dal giudice allo stesso imputato) ovvero costituire un legittimo sospetto sulla imparzialità dello stesso Giudice.
Un articolo di Mario Pavone

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