Perdonate oggi l'argomento affrontato, ma questa domanda, così diretta, scuote da tempo le fondamenta a cui sin da bambino ero stato erroneamente plagiato, in quanto - se pur parliamo di un testo che nei millenni è stato considerato sacro - esso in se non rappresenta altro che una successione di eventi più o meno fantasiosi, certamente anche storici, ed è forse proprio per quest'ultimo punto che merita da parte del sottoscritto una pensiero sincero.
Tuttavia, sappiamo bene come la Bibbia, di fatto, sia un libro scritto da uomini, e come nei secoli sia stato modificato, alterato, a seconda delle circostanze storiche, dei poteri dominanti, delle interpretazioni umane, eppure, anche ammettendo questo, rimane nella buona o cattiva sorte, un testo che ha plasmato civiltà, ispirato arte, guidato filosofie, e continua a farlo ancora oggi.
Certo, nessuno toglie che essa offra spunti di riflessione e significato, che le storie raccontate, le parabole, se pur frutto di fantasia o di una rielaborazione culturale, rappresentino insegnamenti morali e riflessioni sull'esistenza umana che possono arricchire la vita di chi la legge, indipendentemente dalle proprie convinzioni religiose.
Forse quindi il valore non sta nell’origine divina del testo, ma nella sua capacità di parlare all’uomo, di interrogarlo, di metterlo di fronte a domande scomode e universali: cos’è il bene? Cos’è il male? Come dovremmo vivere?
Già... in questo forse la Bibbia può trovare un senso, non tanto per diventare specchio di Dio, ma bensì per noi stessi, per superare le nostre paure, le avversità della vita, dare un senso alle nostre speranze, e forse chissà, anche ai nostri errori.
E allora, forse, leggerla - per molti - può avere un senso, proprio perché conserva in se quel sentimento umano, sì... aggiungerei troppo umano...
Già... ricorda ai suoi lettori che la ricerca di significato, di giustizia, di redenzione, non è un'esclusiva della fede, ma un’esigenza profonda dell’animo umano.
Ecco quindi che alla fine poco importa se essa rappresenti storia, mito, o simbolo: già... ciò che conta è ciò che lascia ai suoi lettori, le domande che pone e soprattutto le risposte che costringe a cercare.
Il sottoscritto resta in fondo legato ai suoi concetti e cioè che - pur avendola letto tutte quelle pagine sia da fanciullo e da adulto - alla fine, ho raggiunto quella necessaria convinzione di non aver alcun bisogno della Bibbia e ancor meso di quei suoi precetti o insegnamenti, che d'altronde già di mio, metto ogni giorno in evidenza, sì... attraverso le mie azioni quotidiane.
Ecco... forse, il vero miracolo che manca (a quella parte di umanità che crede in quel libro in quanto fedele...) alla Bibbia, non è tanto quello di parlare con Dio, ma di riuscire a trasmettere in concreto qualcosa di positivo a quegli uomini o a quelle donne, che - per come vedo - continuano ahimè a comportarsi come sempre e cioè in maniera ignobile!
Ma, a ben pensarci, la Bibbia cos’altro fa se non parlare di noi, già... come al solito.
Perfetta metafora dell’arroganza umana: persino Dio, nella nostra fantasia, non può fare a meno di raccontare le nostre meschine storie, i nostri drammi da quattro soldi, le nostre ipocrisie placcate d’oro.
E noi, invece di vergognarci, ci specchiamo in quelle pagine come se fossero un’assoluzione divina. Comodo, no? La santità in copertina e il marcio nel cuore. Amen.
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