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venerdì 12 settembre 2025

Giornalisti d’assalto: una razza in via d’estinzione.

C’era un tempo in cui la notizia non era un prodotto confezionato, ma una preda da cacciare. Un tempo in cui l’inchiesta era un’arte fatta di coraggio e intuizione, alimentata da un’ostinazione incrollabile che non ammetteva limiti né compromessi.

Quei giornalisti d’assalto, con le maniche rimboccate e le macchine da scrivere come uniche compagne, sembrano oggi figure di un romanzo d’altri tempi, sostituiti da un silenzio assordante che profuma di compromesso...

Sì... un cambiamento che non è avvenuto per caso, ma per una precisa e triste volontà, un lento e inesorabile abbandono del dovere più sacro: raccontare la verità!

Ora quel testimone è stato raccolto da voci coraggiose e libere, da "blogger" e "freelance" che, privi di qualsiasi catena, si tuffano dove molti hanno paura persino di bagnarsi i piedi.

Certo, è facile additare il singolo giornalista, ma la verità è che è l’intero sistema ad essere malato, un sistema dove gli ordini calano dall’alto e il coraggio viene soffocato nella culla dai proprietari delle testate. 

La paura di problemi politici o, ancor peggio, di attirare l’attenzione della criminalità organizzata, ha trasformato molte redazioni in luoghi quieti e ossequiosi, dove l’unico assalto è quello alla credibilità del lettore. 

Hanno quindi preferito erigere muri di cautela e di omissioni piuttosto che difendere il diritto di sapere, dimenticando che il loro silenzio è complice di ogni ingiustizia.

C’è poi un’altra piaga, forse la più umiliante, che è quella del denaro che ha comprato le coscienze...

Quel silenzio così comodo, quella ritrosia nell’andare a fondo, è stata troppo spesso barattata con lauti finanziamenti camuffati da pubblicità, propagande elettorali o sponsorizzazioni di eventi. 

Sono i quattrini che entrano a palate nelle casse delle testate, che mantengono in vita strutture opulente e garantiscono stipendi mensili, ma che hanno il sapore amaro del ricatto e dell’ipocrisia. Già... un "patto faustiano" che ha sterilizzato l’istinto giornalistico, trasformando i cronisti in impiegati del consenso.

E così li vediamo procedere, tutti, con i piedi di piombo su un terreno che invece richiederebbe di essere calpestato con la forza delle idee. Quel passo incerto tradisce non solo una mancanza di coraggio, ma una profonda, miserabile carenza di professionalità. 

Hanno dimenticato che il vero professionista è colui che mette l’accertamento della verità prima del favore, l’inchiesta prima dell’incasso, e la propria integrità prima dell’ordine di servizio. Hanno svenduto l’onore della firma per la sicurezza dello stipendio, il sogno di cambiare il mondo con una scoop per la comoda mediocrità di un trafiletto innocuo.

Alla fine, ciò che emerge con più chiarezza non è solo la loro paura, ma il totale disprezzo per se stessi e per la missione che un tempo avevano scelto. Quel desiderio di scavare, di scoprire, di dare un nome e un volto alle ingiustizie, è stato seppellito sotto un cumulo di quieto vivere e calcoli opportunistici. 

E mentre loro arretrano, inchinandosi a poteri forti e a meschini ricatti, è nel coraggio solitario di chi blogga ogni giorno da una scrivania in casa, che rinasce la speranza di un’informazione pulita.

Perché è lì, in quelle voci scomode e libere, che risiede il vero spirito del giornalismo d’assalto, quello che loro hanno - ahimè - così tristemente dimenticato...

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