Trovo che a volte le formulazioni imposte da certi ambiti, istituzionali o religiosi, rischino di diventare strumentali, come se esistesse un unico modello di riferimento a cui tutti devono uniformarsi.
La vera crescita personale e sociale, invece, nasce dalla possibilità di un confronto libero e rispettoso, lontano da qualsiasi forma di coercizione.
Proprio per questo motivo promuovo con interesse l’iniziativa in programma il 25 settembre al Collegio Universitario Alcantara di Catania, “Difendere la vita, difendere la famiglia”.
Conosco personalmente alcuni degli organizzatori e apprezzo la creazione di spazi di riflessione che possano arricchire il bagaglio di ognuno. Momenti come questi sono preziosi se vissuti come opportunità di dialogo, soprattutto su temi così delicati, dove non esistono risposte facili o universalmente valide.
La mia adesione a questo convegno, tuttavia, non è incondizionata e vuole essere un punto di partenza per una riflessione aperta, non un’approvazione totale di ogni tesi che potrebbe emergere. Condivido i principi generali ma mi distanzio da posizioni troppo assolute che non tengono conto della complessità delle situazioni individuali.
Prendiamo, ad esempio, la questione dell’aborto. Non posso concordare con una sua abolizione incondizionata e senza eccezioni, specialmente in casi estremi come quello di una gravidanza risultante da una violenza. Obbligare una donna a portare a termine una gravidanza nata da uno stupro, anche se poi decidesse di dare il bambino in adozione, significa imporle un trauma fisico e psicologico profondo, ignorando i rischi concreti per la sua salute e il suo benessere.
Allo stesso tempo, va rispettata con uguale dignità la scelta opposta, quella di chi, nonostante la violenza subita, decida di portare avanti la gravidanza. Anche in questo caso, però, è doveroso considerare le conseguenze a lungo termine: l’impatto sulla vita della madre, le dinamiche con eventuali futuri partner e il percorso di quel figlio che porta un’origine così dolorosa.
Allargando lo sguardo, il concetto stesso di famiglia merita una discussione onesta che vada oltre definizioni rigide. È indubbio che il modello tradizionale eterosessuale non sia l’unico a poter fornire amore e stabilità. Tuttavia, onestamente, nutro personali riserve sulla crescita di un bambino in una famiglia omosessuale, non per questioni di amore – che può essere altrettanto intenso e genuino – ma per il disagio sociale che il bambino potrebbe incontrare, sin dall’infanzia e poi nel contesto scolastico. È un dubbio che mi pongo, pur essendo il primo a riconoscere come molte coppie omosessuali siano migliori di genitori eterosessuali indegni, come purtroppo dimostrano cronache di abusi che tagliano trasversalmente ogni orientamento.
Infine, arriviamo alle frontiere più controverse, come la gravidanza surrogata. Da un lato, essa solleva profonde perplessità etiche sulla commercializzazione del corpo e sulla mercificazione della vita. Dall’altro, non si può ignorare la gioia immensa che ha regalato a tante famiglie, specialmente quando l’aiuto è venuto da un familiare, trasformando un atto di amore in un dono concreto.
Questo ci porta a riflettere sul dramma di chi, desiderando un figlio, si scontra con l’infertilità. Il percorso della procreazione medicalmente assistita è spesso un calvario medico, emotivo e finanziario. E quando fallisce, le coppie si trovano ad affrontare l’iter adottivo, un labirinto di burocrazia e normative spesso stringenti che, invece di agevolare l’amore, sembra talvolta ostacolarlo.
Sono questi, forse, i temi più urgenti: come costruire una società che sappia difendere i valori della vita e della famiglia in tutta la loro complessità, senza semplificazioni, con pragmatismo e soprattutto con un rispetto infinito per la libertà e la sofferenza delle persone reali.
Credo infatti che di fronte a temi così complessi sia necessario un approccio prudente, capace di distinguere caso per caso, ascoltando le diverse sensibilità senza cadere in polarizzazioni sterili. L’obiettivo dovrebbe essere quello di cercare, insieme, un punto di incontro che riduca i danni e rispetti la dignità delle persone coinvolte. Per questo è fondamentale saper ascoltare tutti, anche chi la pensa in modo diverso, con spirito critico ma costruttivo.
Spero quindi che questo evento, con gli interventi accademici e le testimonianze previste, possa essere un’ulteriore occasione di approfondimento autentico, sì... un confronto che non pretende di dover dare risposte definitive, ma che aiuti tutti a riflettere, con libertà e responsabilità.
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