Lo ha riportato il capo dell'ufficio politico di Hamas, Ismaïl Haniyeh, incontrando il ministro degli esteri turco Hakan Fidan.
Secondo i media del Qatar, questa è la prima volta che i vertici di Hamas parlano alla divisione tra il ramo politico e quello militare del movimento.
Il problema però da dover superare, è che nel dichiarare quanto sopra il leader di Hamas dimentica del cosiddetto "Diritto Bellico" e cioè di quelle occupazioni militari di territori stranieri. convenzionalmente ed internazionalmente chiariti dalla Convenzione de L’Aia del 1907, ove per occupazione militare si intende la presenza di forze armate straniere all’interno del territorio di uno Stato in misura preponderante rispetto a quella delle forze armate dello Stato occupato.
Ora, avendo richiesto Hamas la creazione di uno Stato di Palestina entro i confini del 1967 fa riferimento quindi ai territori prima della "guerra dei sei giorni" (uno dei tanti conflitti arabo-israeliani che vide contrapposti Israele e le nazioni confinanti di Egitto, Siria e Giordania, una guerra che come sappiamo, si tramutò in una netta vittoria israeliana nonostante la superiorità numerica dei difensori arabi), ma bisogna - prima di addentrarci nella questione - fare alcune premesse sull'allora status giuridico della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e della città di Gerusalemme est, territori che ora vengono rivendicati da Hamas e quindi dai palestinesi come parte integrante dello Stato di Palestina.
Parliamo di territori designati dopo il 1967 – secondo la comunità internazionale – come territori militarmente occupati da Israele e difatti quest'ultimo unitamente all’Egitto, mantiene sulla Striscia il blocco terrestre, aereo e marittimo, esercitando, inoltre, il controllo sul genere delle merci in entrata a Gaza, il cui volume equivale ad un quarto del flusso precedente al blocco.
Ricordò altresì come la marina israeliana detiene un blocco marittimo a tre miglia nautiche dalla costa ed anche l'Egitto -prima dei rivolgimenti democratici del febbraio-marzo 2011- stava costruendo una barriera d’acciaio sotterranea per evitare la violazione del blocco con i tunnel. quindi, a causa dell’embargo i palestinesi sono limitati nei loro movimenti via terra, aria e mare e l'impatto di dodici anni di blocco si è ulteriormente accentuato dopo quasi tre anni dalla fine dei 51 giorni di offensiva israeliana nel 2014.
Da quanto sopra si comprende quindi come l’occupazione non determini di per sé l’acquisto della sovranità da parte dell’occupante sul territorio occupato, ma origina il controllo effettivo dell’esercito invasore, il quale impone la propria autorità in maniera stabile.
Si comprende quindi come l’occupazione venga oggi concepita diversamente da quanto accadeva nei secoli scorsi e cioè come una condizione transitoria, destinata a concludersi già nel corso del conflitto, con il ritiro delle truppe occupanti e il ripristino della piena sovranità dello Stato occupato o al più tardi, al termine delle ostilità, con la definizione del destino del territorio occupato nel trattato di pace.
Ecco perchè le fonti derivanti dalle convenzioni internazionali dell'Aja del 1899 e del 1907 (le stesse che costituiscono prevalentemente il Diritto consuetudinario a cui si somma la Terza convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra) evidenzi come i prigionieri di guerra, se pur in potere del governo nemico, restano di fatto individui e devono essere trattati con umanità, le cui tutele si acquisiscono dal momento stesso in cui si cade in potere del nemico, e sino alla liberazione e al rimpatrio definitivo.
Da quanto sopra riportato si comprende come si sia creata una convergenza tra il diritto bellico e il diritto umanitario che contiene le norme comportamentali, una nuova giurisdizione che supera l'accusa secondo cui i tribunali di guerra sono stati talvolta accusati di favoritismi verso i vincitori difatti nel passato e non di rado si è patita l'applicazione di norme del paese di provenienza del fronte militare vittorioso (e/o di una coalizione di paesi vincenti), mediante un tentativo di estensione giurisdizionale giustificata da mere circostanze di fatto e non di diritto.
Ma sono questi i motivi per cui ritengo di difficile soluzione quanto ora richiesto dal leader di Hamas e cioè il ritorno ad uno stato di fatto antecedente al 1967; viceversa reputo più agevole giungere ad una nuova soluzione internazionale e cioè quella di creare un nuovo Stato di Palestina, conforme alla propria giurisprudenza nazionale e nel rispetto della Corte internazionale di giustizia, affinchè si tenga conto delle esigenze di un popolo, da troppo tempo costretto a vivere come rifugiato.
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