Questa idea non è solo un sussurro poetico, ma un’eco profondo che risuona in una delle correnti più buie del pensiero: il nichilismo russo dell’Ottocento, che vedeva nel vuoto cosmico una chiamata all’azione distruttiva.
Oggi, guardando al mondo che ci circonda, non posso fare a meno di notare quanto quella logica si sia trasformata in realtà concreta.
La violenza non è più un’estremizzazione ideologica, ma una pratica quotidiana, giustificata da narrazioni assolute che si ergono a unica verità, mentre cancellano interi popoli sotto l’ombra di bandiere che dovrebbero proteggere, non coprire crimini.
L’impotenza dell’ONU, la normalizzazione delle stragi, la recrudescenza dei conflitti etnici e religiosi, la guerra che diventa spettacolo mediatico e tutto questo non è solo frutto di interessi geopolitici, ma anche di un vuoto esistenziale colmato con identità estreme, con la furia di chi non ha più nulla da perdere se non l’illusione di un senso.
Nietzsche, con lucidità spietata, ci aveva insegnato a distinguere due volti del nichilismo: uno passivo, che si arrende all’assurdo e annichilisce la volontà, l’altro attivo, che distrugge gli idoli non per restare nel deserto, ma per preparare il terreno a nuovi valori.
Eppure, oggi, questa distinzione si è offuscata: la distruzione non sembra più aprire spazi per qualcosa di nuovo, ma riprodurre soltanto caos su caos, come se l’umanità, incapace di sopportare il silenzio dell’universo, preferisse il rumore della guerra al terrore del vuoto.
Forse è proprio questo il cuore della crisi: la scoperta che nulla è necessario, che tutto è possibile e perciò profondamente ingiustificato.
Di fronte a un mondo senza fondamento, molti scelgono di costruire idoli fragili - la nazione, la razza, il mercato, la rivoluzione – pur di non restare soli con la domanda che brucia: “Perché?”.
Altri, invece, si ritirano in un silenzio rassegnato, convinti che ogni azione sia inutile, che ogni parola sia già stata svuotata di senso.
Ma il mio dubbio più grande rimane: siamo di fronte alla verità ultima dell’esistenza, o all’ultimo, tragico errore della nostra mente che, non trovando risposte, decide di adorare il vuoto che ha creato?
Forse la risposta non sta né nella resa né nella distruzione, ma nella capacità di abitare il dubbio senza cedere alla disperazione, di cercare nuovi valori sapendo che sono fragili, umani, imperfetti, e proprio per questo, autentici.
Sì... perché fintanto che l'uomo continuerà a porre domande - anche nel cuore del nulla - non sarà mai completamente perduto.
Nessun commento:
Posta un commento