Debbo ammettere che, in tutti questi anni, mi sono sbagliato, già… perché mentre cercavo di analizzare quei dati e proponevo – anche in questo blog – una serie di possibili soluzioni, mi sono reso conto che la situazione reale, ahimè, è ancora più tragica e allarmante di quanto immaginassi.
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martedì 30 settembre 2025
Quanti morti servono prima che il governo impari a intervenire dove conta? Le procedure di sicurezza sono solo carta straccia.
Debbo ammettere che, in tutti questi anni, mi sono sbagliato, già… perché mentre cercavo di analizzare quei dati e proponevo – anche in questo blog – una serie di possibili soluzioni, mi sono reso conto che la situazione reale, ahimè, è ancora più tragica e allarmante di quanto immaginassi.
lunedì 29 settembre 2025
Il patto dei Leviatani...
domenica 28 settembre 2025
Quando la giustizia ha un prezzo, chi difende la verità?
Non parlo in questa sede - cosa che ho già fatto in un mio precedente post - di errori e/o di valutazioni discutibili, ma di qualcosa di molto più grave: la possibilità che decisioni fondamentali siano state comprate, che archiviazioni decisive siano scattate non per mancanza di prove, ma per denaro. E se questo fosse realmente confermato, allora non stiamo più parlando di un caso isolato, di una crepa, ma di un sistema che potrebbe avere infettato parte di quel sistema giudiziario, un cedimento strutturale profondo nel sistema che noi tutti diamo per scontato per le sue funzioni, secondo legge e imparzialità.
Immaginare quindi che un magistrato, invece di seguire il codice, segue un conto in banca, diventa difficile da credere (anche se sono certo, ciascuno di noi, l'avrà pure pensato almeno una volta nel corso della propria vita...). Immaginare quindi investigatori che, anziché di cercare la verità, nascondono gli indizi perché qualcuno ha pagato per farli tacere, già... sembra di leggere la trama di un libro scritta dall'autore John Grisham...
Ma questa volta - ahimè - potrebbe non trattarsi di fantasia, sono elementi che emergono da inchieste serie, condotte da procure che ora indagano proprio chi avrebbe dovuto vigilare. Il punto ora non è sapere chi ha fatto cosa, al sottoscritto ad esempio non interessa qui nominare persone, perché i nomi li puoi trovare ovunque, online, nei giornali, nelle carte processuali. Quello che mi tormenta è il perché.
Perché oggi si riaprono certe vicende? Perché ora saltano fuori appunti con cifre e nomi accostati a richieste di archiviazione? Chi ha deciso che era il momento di scavare? E soprattutto, chi ha permesso che tutto questo accadesse anni fa, senza che nessuno alzasse la voce?
Sembra che durante una perquisizione domiciliare è stato trovato uno scarabocchio a mano, con parole come “archivia” e una cifra che parla di denaro. Certo, potrebbe essere un promemoria, una nota spese, una coincidenza. Ma se quel foglio nasconde un patto, allora cambia tutto. Cambia il senso di ogni decisione presa, cambia il valore delle indagini, dei silenzi, delle omissioni.
Se poi ovviamente saltano fuori movimenti bancari anomali, prelievi in contanti, assegni tra familiari che non quadrano con le loro entrate, allora il mistero s'infittisce. Ma sembra inoltre che vi siano anche altre circostanze: intercettazioni mai trascritte, frasi sul pagamento di “quei signori lì”, contatti opachi tra indagati e forze dell’ordine, incontri lunghi quando invece sarebbero bastati pochi minuti. E poi, vi è un ex maresciallo che sta con l’indagato per oltre un’ora prima della notifica, un luogotenente che sembra sapere troppo, un procuratore che archivia in fretta, senza approfondire, senza chiedere verifiche bancarie su possibili pagamenti. Troppe anomalie per essere solo sfortunate coincidenze.
Tuttavia, mentre tutto questo emerge, qualcuno continua a dire che non c’è nulla di male, che si tratta di semplici spese legali, che l’appunto non prova niente. Ma se davvero non provava niente, perché perquisire case, smartphone, computer? Perché coinvolgere tante persone, tra magistrati, carabinieri, familiari? Perché indagare sui flussi di denaro se non ci fosse il sospetto concreto che qualcosa sia stato comprato? E soprattutto, perché archiviare così in fretta un’inchiesta su un possibile autore alternativo in un omicidio così controverso, senza lasciare spazio a dubbi, senza permettere contraddittorio, senza voler vedere ciò che altri volevano nascondere?
Forse la domanda più grande non è se ci sia stata corruzione, ma quanto in profondità arrivi. Perché se un procuratore può essere influenzato, chi garantisce che non succeda altrove? Se chi doveva indagare ha fatto finta di non vedere, chi ci protegge dalla manipolazione del sistema?
Perché se tutto questo è vero, allora non stiamo parlando solo di un caso giudiziario, ma di una fiducia collettiva spezzata. La gente crede nella giustizia finché pensa che sia cieca e imparziale. Quando scopre che potrebbe invece avere un prezzo, smette di credere nel processo, nelle sentenze, nelle istituzioni. E quando cade quella fiducia, il danno è irreversibile.
Mi chiedo allora cosa ci sia davvero dietro queste nuove analisi. Sono il frutto di una ricerca tenace della verità o rispondono ad altro? A pressioni mediatiche? A esigenze procedurali tardive? O forse, finalmente, qualcuno ha deciso di fare pulizia là dove nessuno osava guardare?
Non lo so. So solo che quando la corruzione mette radici nei palazzi della giustizia, non corrompe solo persone, corrompe il senso stesso del diritto. E a quel punto, non importa più chi ha ucciso o chi è innocente: importa chi ha deciso di far vincere una versione dei fatti piuttosto che un’altra. E se quella decisione è stata pagata, allora la verità non ha più voce.
sabato 27 settembre 2025
Charlie Kirk è morto perchè non aveva paura di essere odiato. Il problema è che qualcuno ha finito col prenderlo sul serio!
E poi c’erano i temi più esplosivi: l’immigrazione, che secondo lui era parte di una “Grande Sostituzione”, un piano per cancellare l’America bianca e rurale; i diritti transgender, che definiva una “delusione woke”, parlando di trans donne come uomini con “autoginefilia”, un termine pseudoscientifico respinto dalla comunità medica; il movimento Black Lives Matter, che riduceva a una narrazione basata sul privilegio bianco, mentre attribuiva i problemi della comunità nera all’assenza del padre in casa, cancellando decenni di studi sul razzismo sistemico. Ha detto, durante un dibattito, che forse era più facile per una persona nera entrare alla University of Florida che per una bianca. Frasi così non sono semplici opinioni: sono semina di divisione. Eppure, proprio per questo, funzionano. Perché creano identità attraverso il nemico: il politicamente corretto, il woke, il globalista, il burocrate. E chi grida più forte contro questi mostri, diventa un paladino.
Tutto questo mi lascia con un groviglio dentro. Da un lato, condanno con forza le sue posizioni, che considero regressivo, culturalmente arretrate, spesso crudeli. Dall’altro, non posso accettare che la violenza sia diventata l’ultima parola del dissenso. E nel mezzo, vedo un paese – e non parlo solo degli Stati Uniti – sempre più frammentato, dove la parola è stata sostituita dal grido, il ragionamento dal like, il dibattito dal tifo, e dove persino le affermazioni più incredibili vengono pronunciate con sicumera nei palazzi delle istituzioni, come se la realtà potesse piegarsi alla retorica.
L’ultima l’ho ascoltata in questi giorni nei Tg, dal Palazzo di Vetro dell’ONU, quando il Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato con orgoglio di aver concluso sette guerre durante il suo mandato. Sette guerre. Ma quale guerre? Di quali conflitti parlava? Perché non ne ho mai sentito nominare una? Non una firma su un trattato, non un annuncio internazionale, nessuna cronaca che documenti la fine di un solo conflitto armato sotto la sua guida. Eppure l’ha detto così, come se fosse un dato incontrovertibile, mentre nella sala scendeva un silenzio imbarazzato, subito coperto dagli applausi dei suoi sostenitori. Una frase vuota, forse perfino inventata, ma efficace: perché nell’era dello spettacolo, basta che suoni forte per sembrare vera.
Ho già scritto in passato che stavamo andando verso derive violente. Forse, in cuor mio, speravo di sbagliarmi. Ma ormai devo ammettere che, purtroppo, in quindici anni di post, i miei timori si sono rivelati quasi sempre fondati. E ogni volta che una mia previsione si è avverata, il prezzo è stato alto.
venerdì 26 settembre 2025
Perché ormai diserto le commemorazioni delle stragi? Ve lo dico: non sopporto più gli ipocriti sui palchi.
Da qualche tempo evito di partecipare alle commemorazioni ufficiali degli anniversari delle stragi, tutte, non solo quelle più note del ’92 e ’93, sì... e questo per due precisi motivi.
Il primo è legato a una sensazione di crescente fastidio, quasi di nausea, già... nel ritrovarmi in luoghi solenni dove si parla di memoria, di dolore, di giustizia, mentre poi dinnanzi a me, su quel palco, siedono personaggi che indossano la maschera del rispetto per le vittime, ma che poi, appena scendono dal palco, stringono mani e salutano affettuosamente proprio coloro che – in qualità di eredi di quei passati criminali, rappresentanti diretti di chi ha provocato le migliaia di morti in questo Paese – garantiscono loro affari e soprattutto voti.
Il secondo motivo è più profondo, più interiore: ho smesso di riconoscermi in quelle cerimonie perché mi sembrano sempre più vuote, ripetitive, sì... rituali sterili che servono a dare l’impressione di ricordare senza mai veramente voler capire.
Mi chiedo spesso cosa resti davvero di quegli omicidi, di quelle stragi, sì... dopo i minuti di silenzio, dopo i discorsi letti con voce tremula, dopo quelle bandiere poste a mezz’asta. Sembrano da quel palco commossi, ma ditemi: cosa è rimasto di fatto dell'operato di Falcone, di Borsellino? Io sento ancora un silenzio assordante, in particolare su chi - da quelle poltrone istituzionali - li ha traditi, su chi ne ha ostacolato il lavoro, su chi ha lasciato che venissero barbaramente uccisi insieme agli uomini e alle donne della scorta.
In questi giorni ho avuto modo di acquistare in una bancarella e letto alcuni romanzi di una saga mafiosa di Vito Bruschini: il primo capitolo di questa saga, "Romanzo mafioso. L'ascesa dei corleonesi", racconta, con un tessuto narrativo sorprendente e un’accurata aderenza alla Storia del nostro Paese, la nascita e l’espansione capillare del fenomeno mafioso in Italia e nel mondo e soprattutto coloro che - legati al mondo politico e imprenditoriale - li hanno protetti e permesso l'ascesa.
Ecco perché ho cominciato a disertare quegli eventi, non per mancanza di rispetto, ma proprio per rispetto estremo verso chi è caduto. Perché non posso stare accanto a chi oggi piange in pubblico e ieri ha stretto alleanze con chi festeggiava in privato quelle stesse bombe, che hanno poi permesso la nascita di taluni attuali partiti
Sono stanco di ascoltare retoriche sulla legalità, in particolare da chi ha protetto tutti quei colletti bianchi mai toccati dalla giustizia, da chi ha favorito i depistaggi con il silenzio o con le parole sbagliate al momento giusto.
Ma d'altronde la verità è stata soffocata, l'agenda rossa è ora nelle mani di chi ha in qualità di puparo il potere di ricattare quanti siedono su queste nuove poltrone, sì... qualcuno di quei suoi predecessori è stato incredibilmente riabilitato, qualcun altro è riuscito a passare a nuova vita senza così pagarne le conseguenze, altri ancora grazie ad accordi e ricatti hanno potuto beneficiare del dubbio, riuscendo così ad esser riabilitati, quantomeno per poter far continuare (in quel contesto di "casta") i propri familiari.
Certo, avrei voluto vedere un Paese capace di non rimandare la storia, gli eventi, la verità... ed invece tutto continua ad essere rimandato, già... per non trovar mai risposta.
Ma la circostanza peggiore è che ogni volta che si prova ad andare oltre il racconto (artefatto) ufficiale, si finisce per essere additati come complottisti, disturbatori, sì... di quella pax sociale che garantisce a molti, collusione, raccomandazione, compromesso, clientelismo e soprattutto illegalità.
Ed allora io resto ancora in attesa di conoscere le risposte: chi tra le istituzioni ha avuto interessi opposti alla verità? Chi aveva bisogno che certi magistrati sparissero? E soprattutto, perché ancora oggi, ad oltre trent’anni di distanza, nessuno vuole raggiungere l'unica verità? Ed infine, quali nomi ancora mancano all'appello e nessuno vuole portare alla luce?
Sicuramente la verità processuale non arriverà mai, non certo con l'attuale governo e chissà, forse neppure con uno formato da quella sinistra che ha di fatto permesso - rendendosi complice - le stragi che ben conosciamo.
La verità storica comunque non potrà mai essere cancellata, verrà un giorno in cui tutto esploderà, i dossier usciranno fuori e i nomi di quei complici verranno portati alla giustizia della memoria, e quel giorno saremo lì a chiedere conto a chi ha detenuto il potere, a chi ha mantenuto il silenzio, a chi ha costruito carriere sulle macerie di quegli anni!
Perché noi tutti non possiamo permettere che una società dimentichi chi ha pagato con la vita per aver creduto nello Stato, una società che perde la memoria perde anche se stessa, diventando proprio come quella che osservo in questi giorni: docile, plasmabile, pronta ad ingoiare qualsiasi narrazione gli viene indottrinata, sì... pur di non dover guardare negli occhi il suo passato sporco.
D'altronde "Un discorso che abbia persuaso una mente, induce la mente che ha persuaso a credere nei detti e a consentire nei fatti." (Gorgia da Lentini, ca. 485 a.c. - 375 a.C.)
Ed allora pur stando lontano da quei palchi, dentro di me porto ogni giorno quel loro insegnamento, e cerco di riproporlo con la formazione, col mio blog, con le denunce, perché a differenza di quanti in molti pensano, quel passato non è stato cancellato, non è stato sepolto, non è morto, anzi è più vivo che mai, già... perché fintanto che ci saranno persone perbene, questo Paese avrà la forza di rialzarsi.
mercoledì 24 settembre 2025
Un Convegno domani a Catania per riflettere su tradizione e futuro: Difendere la vita, difendere la famiglia.
Trovo che a volte le formulazioni imposte da certi ambiti, istituzionali o religiosi, rischino di diventare strumentali, come se esistesse un unico modello di riferimento a cui tutti devono uniformarsi.
La vera crescita personale e sociale, invece, nasce dalla possibilità di un confronto libero e rispettoso, lontano da qualsiasi forma di coercizione.
Proprio per questo motivo promuovo con interesse l’iniziativa in programma il 25 settembre al Collegio Universitario Alcantara di Catania, “Difendere la vita, difendere la famiglia”.
Conosco personalmente alcuni degli organizzatori e apprezzo la creazione di spazi di riflessione che possano arricchire il bagaglio di ognuno. Momenti come questi sono preziosi se vissuti come opportunità di dialogo, soprattutto su temi così delicati, dove non esistono risposte facili o universalmente valide.
La mia adesione a questo convegno, tuttavia, non è incondizionata e vuole essere un punto di partenza per una riflessione aperta, non un’approvazione totale di ogni tesi che potrebbe emergere. Condivido i principi generali ma mi distanzio da posizioni troppo assolute che non tengono conto della complessità delle situazioni individuali.
Prendiamo, ad esempio, la questione dell’aborto. Non posso concordare con una sua abolizione incondizionata e senza eccezioni, specialmente in casi estremi come quello di una gravidanza risultante da una violenza. Obbligare una donna a portare a termine una gravidanza nata da uno stupro, anche se poi decidesse di dare il bambino in adozione, significa imporle un trauma fisico e psicologico profondo, ignorando i rischi concreti per la sua salute e il suo benessere.
Allo stesso tempo, va rispettata con uguale dignità la scelta opposta, quella di chi, nonostante la violenza subita, decida di portare avanti la gravidanza. Anche in questo caso, però, è doveroso considerare le conseguenze a lungo termine: l’impatto sulla vita della madre, le dinamiche con eventuali futuri partner e il percorso di quel figlio che porta un’origine così dolorosa.
Allargando lo sguardo, il concetto stesso di famiglia merita una discussione onesta che vada oltre definizioni rigide. È indubbio che il modello tradizionale eterosessuale non sia l’unico a poter fornire amore e stabilità. Tuttavia, onestamente, nutro personali riserve sulla crescita di un bambino in una famiglia omosessuale, non per questioni di amore – che può essere altrettanto intenso e genuino – ma per il disagio sociale che il bambino potrebbe incontrare, sin dall’infanzia e poi nel contesto scolastico. È un dubbio che mi pongo, pur essendo il primo a riconoscere come molte coppie omosessuali siano migliori di genitori eterosessuali indegni, come purtroppo dimostrano cronache di abusi che tagliano trasversalmente ogni orientamento.
Infine, arriviamo alle frontiere più controverse, come la gravidanza surrogata. Da un lato, essa solleva profonde perplessità etiche sulla commercializzazione del corpo e sulla mercificazione della vita. Dall’altro, non si può ignorare la gioia immensa che ha regalato a tante famiglie, specialmente quando l’aiuto è venuto da un familiare, trasformando un atto di amore in un dono concreto.
Questo ci porta a riflettere sul dramma di chi, desiderando un figlio, si scontra con l’infertilità. Il percorso della procreazione medicalmente assistita è spesso un calvario medico, emotivo e finanziario. E quando fallisce, le coppie si trovano ad affrontare l’iter adottivo, un labirinto di burocrazia e normative spesso stringenti che, invece di agevolare l’amore, sembra talvolta ostacolarlo.
Sono questi, forse, i temi più urgenti: come costruire una società che sappia difendere i valori della vita e della famiglia in tutta la loro complessità, senza semplificazioni, con pragmatismo e soprattutto con un rispetto infinito per la libertà e la sofferenza delle persone reali.
Credo infatti che di fronte a temi così complessi sia necessario un approccio prudente, capace di distinguere caso per caso, ascoltando le diverse sensibilità senza cadere in polarizzazioni sterili. L’obiettivo dovrebbe essere quello di cercare, insieme, un punto di incontro che riduca i danni e rispetti la dignità delle persone coinvolte. Per questo è fondamentale saper ascoltare tutti, anche chi la pensa in modo diverso, con spirito critico ma costruttivo.
Spero quindi che questo evento, con gli interventi accademici e le testimonianze previste, possa essere un’ulteriore occasione di approfondimento autentico, sì... un confronto che non pretende di dover dare risposte definitive, ma che aiuti tutti a riflettere, con libertà e responsabilità.
martedì 23 settembre 2025
L'impressione è che tutti in questo Paese siano all'arrembaggio!!!
Ripetevano: “L’impressione è che tutti in questo Paese siano all’arrembaggio!”. Quella frase, così cruda eppure carica di un senso quasi poetico, mi ha trafitto, già... come un arpione lanciato da chissà quale nave fantasma in mezzo a un mare in tempesta...
“Arrembaggio”, pensavo tra me, mentre ripetevo mentalmente la parola come se fosse un incantesimo arcaico. Ed ecco che subito mi sono apparsi davanti agli occhi i volti segnati dal sale e dalla crudeltà dei pirati dei grandi romanzi d’avventura: Long John Silver che ride beffardo ne "L’isola del tesoro" di Robert Louis Stevenson, oppure il Capitano Nemo, già... che domina gli abissi in "Ventimila leghe sotto i mari" di Jules Verne, o ancora, il feroce "Capitano Hook" di J.M. Barrie, sempre in bilico tra paura e vendetta, e per finire, i predatori senza patria che solcano gli oceani nel "Capitano Blood" di Rafael Sabatini. Uomini senza bandiera se non quella dell’avidità, pronti a salire sul ponte delle navi altrui con sciabole sguainate e occhi pieni di brama.
Eppure, ascoltando quei discorsi al bar, non si stava parlando di bottini sepolti su isole lontane né di mappe con la X rossa segnata su un punto, ma viceversa si faceva riferimento alle bollette che lievitano, ai posti di lavoro persi, alle promesse politiche svanite, sì... come schiuma tra le dita.
La metafora del pirata, però, calzava a pennello, perché oggi sembra che ognuno, in qualche modo, stia preparando la propria scialuppa per raggiungere la nave accanto, non per aiutare l’equipaggio, ma per portargli via tutto ciò che può.
È un periodo in cui rubare, aggirare, approfittare, appare spesso più intelligente che agire con onestà e chi rispetta le regole sembra destinato a rimanere indietro, mentre chi - viceversa - sa arruffianare, mentire, truccare i conti, viene ammirato come un nuovo eroe dei tempi moderni.
Ed ecco quindi che la nostra società è diventata un oceano infinito popolato da vascelli in fuga e da predatori in caccia, dove nessuno si fida del timoniere e neppure del compagno di cabina.
Ma allora cosa c’è dietro questa sensazione diffusa, quasi viscerale, di vivere in un'era di saccheggio generalizzato? È davvero l’avidità umana a essersi improvvisamente moltiplicata, oppure è la paura a guidare questi comportamenti?
Chissà... forse la colpa è da ricercarsi in questo futuro incerto, quando ogni giorno da quei Tg giungono nuove notizie su conflitti, stragi, crisi, precarietà, ingiustizia, e quindi l’istinto primario prende il sopravvento: sopravvivere a tutti i costi, anche a costo di dover calpestare il nostro vicino, in fondo, se credi che il mondo stia per affondare, perché non provare a salvare almeno il tuo baule?
E così, lentamente, ci si convince che anche gli altri stiano facendo lo stesso, e allora diventa giusto farlo per primo, sì... prima degli altri! Ed è così che nasce una sorta di corsa al ribasso morale, dove l'etica viene considerata un peso inutile da abbandonare sul ponte per correre più veloce.
Mi chiedo però se questa visione sia davvero fedele alla realtà o se invece non sia il frutto di un racconto collettivo che si autoalimenta. Perché è innegabile che esistano casi eclatanti di corruzione, di speculazione, di furto delle nostre risorse pubbliche, ma possiamo dire con certezza che “tutti” siano ormai diventati "pirati"?
O forse è solo che i veri predatori, quelli rumorosi e spregiudicati, occupano tutta la scena, mentre la maggior parte della gente continua a lavorare in silenzio, a pagare le tasse, ad aiutare il vicino di casa, a tenere insieme i cocci senza fare titoli sui giornali? La percezione dell’arrembaggio generalizzato potrebbe essere amplificata dai media, dal web, dai discorsi nei bar appunto, fino a trasformarsi in una narrazione dominante, capace di plasmare il nostro sguardo sulla realtà, anche quando non corrisponde interamente alla verità.
E allora mi torna in mente un’altra immagine, meno epica ma forse più necessaria: quella del marinaio stanco che, pur vedendo altre navi attaccate e saccheggiate, decide di non issare la bandiera nera, ma di continuare a navigare con la sua rotta, magari offrendo soccorso a chi galleggia tra i relitti.
Perché forse il vero atto di ribellione in un’epoca di arrembaggi non è difendere il proprio tesoro a colpi di moschetto, ma ricordare che il mare è grande abbastanza per tutti, e che viaggiare insieme, condividendo fatica e speranza, potrebbe essere l’unica via per evitare che nessuno affondi. Certo, il tesoro condiviso brillerà meno di quello accumulato da un solo uomo, ma sarà un tesoro che non richiede sangue, tradimento o rimorso.
Ecco, forse è proprio questo il mio dubbio: stiamo assistendo a un crollo del senso di comunità, a una rinuncia collettiva all’idea che il bene comune possa ancora avere valore? Oppure, dietro questa retorica dell’arrembaggio, si nasconde una voglia repressa di giustizia, di equilibrio, di riscatto?
Mi piace pensare che dentro ognuno di noi ci sia ancora un po’ di capitano onesto, confinato in un angolo della coscienza, che osserva la tempesta e si chiede se non sia il caso di cambiare rotta, non per paura del nemico, ma per amore della nave, per rispetto del mare, e per non dimenticare che, alla fine, nessun pirata è mai stato felice del suo tesoro...
lunedì 22 settembre 2025
Droni russi in Polonia, Romania ed Estonia? O è solo l’ennesimo atto di una guerra mediatica per prepararci al conflitto che vogliono loro?
Perché ogni volta che sento parlare di droni russi al confine con la NATO, avverto un’inquietudine più profonda: quella di essere parte di un gioco più grande, dove le pedine siamo noi, e le regole le scrivono altri.
Non posso ignorare il sospetto che dietro queste narrazioni ci sia una regia invisibile, composta da poteri forti che muovono fili ben al di là dei nostri schermi. Non è paranoia, è semplice osservazione: quando un evento del genere accade, le reazioni sono sempre pronte, i commentatori all’unisono, le analisi già formulate ancor prima che i fatti siano chiariti.
Sembra quasi che esista una tavola rotonda di decisionisti, seduti in stanze senza finestre, che decidono quando innalzare il livello di allerta, quando indicare il nemico, quando farci sentire in pericolo e così, mentre loro discutono, noi veniamo informati - o meglio, condizionati - a pensare in un certo modo, a reagire in un certo modo, a chiedere soluzioni che, guarda caso, rafforzano proprio chi quegli stessi poteri rappresenta.
Cosa c’è davvero dietro questi droni? Erano armati? No! Hanno colpito obiettivi strategici? No! Hanno causato vittime? Neanche una... eppure viene definita una “provocazione”, un test ai confini della guerra ibrida. Ma chi prova chi? La Russia sta mettendo alla prova la NATO, dicono. E allora perché non chiedersi anche se non sia vero il contrario?
Forse è proprio questo il punto: creare una situazione ambigua, difficile da interpretare, dove ogni movimento possa essere letto come aggressione, dove ogni silenzio possa essere visto come debolezza, già... in questo clima, basta poco per accendere la miccia: un drone qui, un jamming del GPS là, un’esercitazione militare annunciata. Tutto diventa segnale, tutto diventa minaccia. E mentre Mosca viene indicata come artefice di ogni turbolenza, si dimentica che anche dall’altra parte ci sono manovre, pressioni, interessi strategici ben precisi.
Pensiamo al passato recente: quante volte abbiamo creduto a scenari poi smentiti dalla storia? L’Iraq, ancora una volta, con le armi di distruzione di massa mai trovate. La Siria, con gli attacchi chimici attribuiti ad Assad e mai provati oltre ogni ragionevole dubbio. Il Nord Stream, sabotato nel cuore del Mar Baltico, con tutti che puntavano il dito verso la Russia, finché giornalisti come Seymour Hersh hanno raccontato una verità molto diversa, scomoda, e immediatamente emarginata.
Quante altre volte ci hanno usato il timore per giustificare l’aumento delle spese militari, il rafforzamento delle alleanze, la limitazione delle libertà interne? È un meccanismo noto: crea un nemico, diffondi la paura, offri la sicurezza in cambio dell’obbedienza!
E oggi, con l’esercitazione Zapad 2025 alle porte, con le truppe russe in movimento, con la Polonia che invoca l’articolo 4 della NATO, sento risuonare lo stesso copione, si alza la temperatura, si mobilitano gli aerei, si annuncia un “muro di droni” europeo, come se la difesa dovesse necessariamente significare escalation. E von der Leyen, nel suo discorso sull’Unione, ne approfitta per rilanciare un progetto di integrazione militare che, detto sinceramente, sembra più un salto verso l’inevitabile che una vera proposta politica.
Ma chi guadagna da tutto ciò? Chi trae vantaggio dal mantenere l’Europa in uno stato di perenne emergenza? Forse chi vive del conflitto, chi specula sulle armi, chi teme un continente unito non sotto il segno della pace, ma sotto il simbolo della guerra.
E poi c’è Trump, ovviamente... Perché anche lui fa parte dello spettacolo. Un post criptico, una telefonata, e subito si dice che dipende da lui se la crisi degenera. Come se il destino del mondo debba sempre passare attraverso un uomo solo, un personaggio mediatico, un attore consumato del teatro del potere. Ma non è forse questo il vero obiettivo? Ridurre le grandi questioni internazionali a duelli personali, a tweet, a gesti simbolici, mentre le strutture profonde del controllo proseguono indisturbate, fuori dalla vista?
Ho paura... sì, ma non dei droni. Ho paura del silenzio che accompagna certe verità. Ho paura della facilità con cui accettiamo versioni comode, della fretta con cui demonizziamo chi non controlliamo. E ho paura che, tra provocazioni reali e montate ad arte, tra informazioni e disinformazione, finiremo per perdere la capacità di distinguere, fino a quando non sarà troppo tardi.
Perché se davvero stiamo andando verso un nuovo conflitto mondiale, non sarà annunciato da cannoni, ma da titoli urlati, da allarmi calibrati, da dubbi soffocati prima ancora di essere formulati...
domenica 21 settembre 2025
Continuo a ripetermi, ma le mie parole restano come l’eco delle stragi dimenticate!
Già... osservo che, dopo quanto ho scritto alcuni giorni fa - quando avevo implorato il Presidente Mattarella di intervenire per riprendere i parlamenti e obbligarli, una volta per tutte, a finirla con questi continui attacchi mediatici prima che qualcuno possa dare inizio a una nuova rivoluzione sociale: http://nicola-costanzo.blogspot.com/2025/09/presidente-mattarella-intervenga.html - poco o nulla sia cambiato nel clima degli scontri verbali.
Vorrei precisare inoltre che non mi è mai importato nulla di schierarmi politicamente, oggi, tuttavia, osservando la politica nazionale – da sinistra a destra, passando per il centro – constato come essa stia alimentando una pericolosa recrudescenza verbale che, ahimè, potrebbe rivoltarsi contro tutti noi.
Credo infatti che, continuando su questa strada, si rischi di sfociare in condizioni sociali imprevedibili e potenzialmente violente, simili a quelle che stanno lacerando altri paesi. L’unico risultato sarà alimentare mostri che credevamo sopiti.
Per questo invoco tutti i nostri politici, e mi riferisco in particolare ai nostri governanti, ad abbassare immediatamente la tensione sociale e a occuparsi finalmente di ciò per cui sono stati eletti.
Ecco, è proprio per questo, che impegno tutte le mie forze per dire: non possiamo più permettere che il confronto si trasformi in una raffica di insulti, dove l’unica verità è quella urlata più forte, e l’unico risultato è spegnere la speranza di un dialogo vero.
I nostri rappresentanti devono ricordare che il loro compito è servire il paese, non dividerlo!
E allora mi permetto di ricordare loro chi è già caduto sotto il peso di quelle parole, le stesse di oggi, che ahimè si sono poi trasformate in proiettili e bombe. È un monito che nessuno oggi può permettersi di ignorare e per farlo, elenco di seguito tutti coloro che, ahimè - proprio a causa di quelle parole - sono morti.
1969
27 febbraio: morte di Domenico Congedo.
9 aprile: morte di Carmine Citro e Teresa Ricciardi.
27 ottobre: morte di Cesare Pardini.
19 novembre: morte di Antonio Annarumma.
12 dicembre: strage di piazza Fontana (17 civili uccisi).
15 dicembre: Giuseppe Pinelli trovato in fin di vita sotto la finestra del 4º piano della questura di Milano.
1970
1º maggio: morte di Ugo Venturini.
22 luglio: strage di Gioia Tauro (6 civili uccisi).
Luglio 1970 – febbraio 1971: moti di Reggio (3 civili e 2 agenti uccisi).
12 dicembre: morte di Saverio Saltarelli.
1971
7 gennaio: morte dell’operaio Gianfranco Carminati, nell’Incendio della Pirelli-Bicocca.
16 gennaio: morte di Antonio Bellotti.
4 febbraio: morte di Giuseppe Malacaria.
26 marzo: morte di Alessandro Floris.
7 aprile: morte di Domenico Centola.
13 giugno: morte di Michele Guareschi.
1972
21 gennaio: morte di Vincenzo De Waure.
14 marzo: morte di Giuseppe Tavecchio.
17 maggio: morte di Luigi Calabresi.
31 maggio: strage di Peteano (3 carabinieri uccisi).
7 luglio: morte di Carlo Falvella.
25 agosto: morte di Mariano Lupo.
27 novembre: morte di Fiore Mete.
1973
30 gennaio: morte di Roberto Franceschi.
12 aprile: Giovedì nero di Milano: uccisione dell’agente di polizia Antonio Marino.
16 aprile: rogo di Primavalle Fratelli Mattei (2 civili uccisi).
17 maggio: strage della Questura di Milano (3 civili e 1 poliziotto uccisi).
8 luglio: morte di Adriano Salvini.
31 luglio: morte di Giuseppe Santostefano.
17 dicembre: strage di Fiumicino (34 morti).
1974
10 maggio: rivolta del carcere di Alessandria 6 morti: (2 detenuti Dibona e Concu, 2 poliziotti Gaeta e Cantiello, 1 medico del carcere Gandolfi, 1 assistente sociale Giarola e il professore del carcere Campi).
19 maggio: morte di Silvio Ferrari.
28 maggio: strage di piazza della Loggia (8 civili uccisi).
30 maggio: morte di Giancarlo Esposti.
17 giugno: morte di Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola.
25 giugno: morte di Vittorio Ingria.
4 agosto: strage dell’Italicus (12 civili uccisi).
8 settembre: morte di Fabrizio Ceruso.
15 ottobre: morte di Felice Maritano.
20 ottobre: morte di Sergio Adelchi Argada.
29 ottobre: morte di Luca Mantini e Sergio Romeo.
20 novembre: morte di Fanny Dallari.
5 dicembre: morte di Andrea Lombardini.
11 dicembre: morte di Zunno Minotti.
1975
24 gennaio: morte di Giovanni Ceravolo e Leonardo Falco (2 agenti di polizia).
28 febbraio: morte di Miki Mantakas.
14 aprile: morte di Carlo Saronio.
16 aprile: morte di Claudio Varalli.
17 aprile: morte di Giannino Zibecchi, Tonino Miccichè e Rodolfo Boschi.
29 aprile: morte di Sergio Ramelli.
17 maggio: morte di Gennaro Costantino.
25 maggio: morte di Alberto Brasili.
5 giugno: sequestro Gancia (morte dell’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso e della brigatista Margherita Cagol).
12 giugno: morte di Alceste Campanile.
21 giugno: morte di Iolanda Palladino.
8 luglio: morte di Annamaria Mantini.
4 settembre: morte di Antonio Niedda.
22 ottobre: morte di Armando Femiano, Giuseppe Lombardi e Gianni Mussi (Strage di Querceta).
29 ottobre: morte di Mario Zicchieri.
30 ottobre: morte di Antonio Corrado.
2 novembre: morte di Pier Paolo Pasolini.
22 novembre: morte di Pietro Bruno.
1976
27 gennaio: strage di Alcamo Marina (2 carabinieri uccisi).
15 marzo: morte di Mario Marotta.
7 aprile: morte di Mario Salvi.
27 aprile: morte di Gaetano Amoroso.
29 aprile: morte di Enrico Pedenovi.
28 maggio: morte di Luigi Di Rosa.
8 giugno: morte di Francesco Coco.
10 luglio: morte di Vittorio Occorsio.
1º settembre: morte di Francesco Cusano.
5 settembre: morte di Pierantonio Castelnuovo.
14 dicembre: morte di Prisco Palumbo e Martino Zichitella.
15 dicembre: arresto di Walter Alasia (2 poliziotti e 1 terrorista uccisi).
16 dicembre: bomba di Piazzale Arnaldo (1 civile ucciso).
1977
19 febbraio: morte di Lino Ghedini.
11 marzo: morte di Francesco Lorusso.
12 marzo: morte di Giuseppe Ciotta.
22 marzo: morte di Claudio Graziosi e Angelo Cerrai.
21 aprile: morte di Settimio Passamonti.
28 aprile: morte di Fulvio Croce.
12 maggio: morte di Giorgiana Masi.
14 maggio: morte di Antonio Custra.
1º luglio: morte di Antonio Lo Muscio.
8 luglio: morte di Mauro Amati.
18 luglio: morte di Romano Tognini.
4 agosto: morte di Attilio Alfredo Di Napoli e Aldo Marin Pinones.
29 settembre: morte di Elena Pacinelli.
30 settembre: morte di Walter Rossi.
3 ottobre: morte di Roberto Crescenzio.
28 novembre: morte di Benedetto Petrone.
29 novembre: morte di Carlo Casalegno.
28 dicembre: morte di Angelo Pistolesi.
1978
4 gennaio: morte di Carmine De Rosa, dirigente dello stabilimento Fiat di Cassino.
7 gennaio: strage di Acca Larentia (2 militanti uccisi) e morte di Stefano Recchioni (durante gli scontri immediatamente successivi).
20 gennaio: morte di Fausto Dionisi.
7 febbraio: morte di Gianfranco Spighi.
14 febbraio: morte di Riccardo Palma e Franco Battagliarin.
28 febbraio: morte di Roberto Scialabba.
6 marzo: morte di Franco Anselmi.
10 marzo: morte di Rosario Berardi.
16 marzo: agguato di via Fani (5 agenti della scorta di Aldo Moro uccisi).
18 marzo: morte di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci.
11 aprile: morte di Lorenzo Cotugno.
20 aprile: morte di Francesco Di Cataldo.
4 maggio: morte di Roberto Rigobello.
9 maggio: morte di Aldo Moro.
6 giugno: morte di Antonio Santoro.
21 giugno: morte di Antonio Esposito.
28 settembre: morte di Pietro Coggiola, capo officina nello Stabilimento Lancia di Chivasso e Ivo Zini.
6 ottobre: morte di Claudio Miccoli.
10 ottobre: morte di Girolamo Tartaglione.
11 ottobre: morte di Alfredo Paolella.
4 novembre: morte di Maurizio Tucci.
8 novembre: strage di Patrica (uccisi il magistrato Fedele Calvosa, il suo autista, un agente di scorta e un terrorista) e morte di Giampietro Grandi.
27 novembre: morte di Saaudi Vaturi.
15 dicembre: morte di Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu, agenti di Pubblica Sicurezza, e di Enrico Donati, ucciso per un errore di persona.
1979
10 gennaio: morte di Alberto Giaquinto e Stefano Cecchetti.
19 gennaio: morte di Giuseppe Lorusso.
24 gennaio: morte di Guido Rossa.
29 gennaio: morte di Emilio Alessandrini.
16 febbraio: morte di Lino Sabbadin e Pierluigi Torregiani.
23 febbraio: morte di Rosario Scalia.
28 febbraio: scontro a fuoco del bar dell’Angelo (2 terroristi uccisi: Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi).
9 marzo: agguato della bottiglieria di Via Millio e morte accidentale di Emanuele Iurilli.
13 marzo: morte di Giuseppe Gurrieri.
20 marzo: morte di Mino Pecorelli.
29 marzo: morte di Italo Schettini.
19 aprile: morte di Andrea Campagna e Ciro Principessa.
3 maggio: attacco alla sede regionale DC di piazza Nicosia (2 poliziotti uccisi).
16 giugno: morte di Francesco Cecchin.
11 luglio: morte di Bartolomeo Mana e Antonio Varisco.
18 luglio: morte di Carmine Civitate.
21 settembre: morte di Carlo Ghiglieno.
9 ottobre: morte di Roberto Cavallaro.
9 novembre: morte di Michele Granato.
21 novembre: morte di Vittorio Battaglini e Mario Tosa.
27 novembre: morte di Domenico Taverna.
7 dicembre: morte di Mariano Romiti.
14 dicembre: morte di Roberto Pautasso.
17 dicembre: morte di Antonio Leandri.
1980
25 gennaio: strage di Via Riboli (2 carabinieri uccisi).
29 gennaio: morte di Sergio Gori.
31 gennaio: morte di Carlo Ala.
5 febbraio: morte di Paolo Paoletti.
6 febbraio: morte di Maurizio Arnesano.
7 febbraio: morte di William Waccher.
12 febbraio: morte di Vittorio Bachelet.
22 febbraio: morte di Valerio Verbano.
25 febbraio: morte di Iolanda Rozzi.
10 marzo: morte di Luigi Allegretti.
12 marzo: morte di Angelo Mancia e Martino Traversa.
16 marzo: morte di Nicola Giacumbi.
18 marzo: morte di Girolamo Minervini.
19 marzo: omicidio di Guido Galli.
28 marzo: irruzione di via Fracchia (4 terroristi uccisi).
10 aprile: morte di Giuseppe Pisciuneri.
12 maggio: morte di Alfredo Albanese.
19 maggio: morte di Pino Amato.
28 maggio: morte di Francesco Evangelista e Walter Tobagi.
3 giugno: morte di Antonio Chionna.
19 giugno: morte di Pasquale Viele.
23 giugno: morte di Mario Amato.
2 luglio: morte di Ugo Benazzi.
2 agosto: strage di Bologna (85 civili uccisi).
11 agosto: morte di Ippolito Cortellessa e Pietro Cuzzoli.
2 settembre: morte di Maurizio Di Leo.
9 settembre: morte di Francesco Mangiameli.
24 settembre: morte di Alberto Contestabile.
5 ottobre: morte di Nanni De Angelis.
27 ottobre: rivolta del supercarcere di Nuoro (2 detenuti uccisi).
12 novembre: morte di Renato Briano.
13 novembre: morte di Arnaldo Genoino e Claudio Pallone.
26 novembre: morte di Ezio Lucarelli.
28 novembre: morte di Giuseppe Filippo e Manfredo Mazzanti.
1º dicembre: morte di Giuseppe Furci.
11 dicembre: morte di Walter Pezzoli e Roberto Serafini.
18 dicembre: morte di Alfio Zappalà.
31 dicembre: morte di Enrico Riziero Galvaligi.
1981
10 gennaio: morte di Luca Perucci.
5 febbraio: morte di Enea Codotto e Luigi Maronese.
17 febbraio: morte di Luigi Marangoni.
7 aprile: morte di Raffaele Cinotti.
13 aprile: morte di Ermanno Buzzi.
27 aprile: rapimento di Ciro Cirillo (1 autista e 1 poliziotto uccisi).
3 giugno: morte di Antonino Frasca.
10 giugno: morte di Nicola Zidda.
19 giugno: morte di Sebastiano Vinci.
5 luglio: morte di Luigi Carluccio e Giuseppe Taliercio.
31 luglio: morte di Giuseppe De Luca.
3 agosto: morte di Roberto Peci.
6 agosto: morte di Santo Lanzafame.
18 settembre: morte di Francesco Rucci.
30 settembre: morte di Marco Pizzari.
19 ottobre: morte di Carlo Buonantuono e Vincenzo Tumminello, agenti Digos di Milano ad opera dei NAR.
21 ottobre: morte di Ciriaco Di Roma e Francesco Straullu.
13 novembre: morte di Eleno Viscardi.
5 dicembre: ferimento di Ciro Capobianco, agente di Polizia, che morirà dopo due giorni.
5 dicembre: morte di Alessandro Alibrandi.
6 dicembre: morte di Romano Radici.
7 dicembre: morte di Ciro Capobianco.
10 dicembre: morte di Giorgio Soldati.
1982
3 gennaio: morte di Angelo Furlan.
21 gennaio: scontro di Monteroni d’Arbia (2 carabinieri e 1 terrorista uccisi).
5 marzo: morte di Alessandro Caravillani.
1º aprile: morte di Aldo Semerari.
27 aprile: morte di Danilo Abbruciati.
27 aprile: morte di Raffaele Delcogliano e Aldo Iermano.
6 maggio: morte di Giuseppe Rapesta.
24 maggio: morte di Umberto Catabiani.
24 giugno: morte di Antonio Galluzzo.
8 luglio: morte di Mauro Mennucci.
15 luglio: morte di Antonio Ammaturo e Pasquale Paola.
16 luglio: morte di Valerio Renzi.
23 luglio: morte di Stefano Ferrari.
27 luglio: morte di Ennio Di Rocco.
10 agosto: morte di Carmine Palladino.
9 ottobre: morte di Stefano Gaj Taché.
21 ottobre: morte di Sebastiano D’Alleo e Antonio Pedio.
1983
9 febbraio: morte di Paolo Di Nella.
1984
28 settembre: morte di Antonio Chichiarelli.
14 dicembre: morte di Antonio Gustini e Laura Bartolini.
23 dicembre: strage del Rapido 904 (16 civili uccisi).
giovedì 18 settembre 2025
Associazioni "Antiracket e Anti usura": Stando soltanto tutti insieme, si può pensare di cambiare le cose.
Si parla giustamente di comunità che “non si arrendono all’omertà”, di scelte coraggiose a favore della legalità, eppure, per esperienza, mi tornano in mente alcuni alcuni casi di negozianti che dopo aver firmato con grande entusiasmo l'adesione a talune associazioni, hanno poi preferito ritirarsi, sì... dopo la prima minaccia ricevuta.
Perché la legalità non è una semplice firma da apporre su un foglio, ma rappresenta un vero e proprio impegno, un vincolo che ti segue ovunque, a lavoro, a casa, un obbligo che ti sveglia di notte, che ti costringe a guardare negli occhi chi ti dice: “non farlo”.
Apprezzo sempre con entusiasmo il coraggio di quanti, in qualità di associati, hanno deciso di portare avanti la loro scelta, mi riferisco a commercianti e giovani imprenditori che sono entrati a far parte di quelle associazioni ed ora parlano di “forza del gruppo”, di solidarietà come scudo contro le intimidazioni.
Ma noi siciliani sappiamo bene come la mafia non attacchi il gruppo, viceversa attacca il singolo, lo isola, lo spaventa con un messaggio anonimo, con una furto, con un incendio, con una finestra di casa rotta solitamente all’alba...
Ho visto in vita mia troppe volte questa rete di legalità sgretolarsi, non per mancanza di numeri, ma per la paura silenziosa di chi, pur rimanendo iscritto, smette di alzare la voce; e quindi, la domanda che mi pongo sempre non è “in quanti siamo”, ma “quanti resisteranno quando toccherà a loro”?
C’è poi un dubbio che mi assilla e non accenna a svanire: quante di quelle adesioni nascono da una presa di coscienza autentica o sono viceversa frutto di pressioni esterne, di possibili rischi che si prevedono potrebbero compiersi, sì... chissà, forse a causa di una crescita imprenditoriale, oppure si tratta di un rischio che si vorrebbe evitare o ancor peggio di qualche intimidazione (mai rivelata) ricevuta, alla quale purtroppo non si sa come rispondere?
Ho notato in questi miei lunghi anni - in qualità di delegato di una Associazione di legalità - come, certe iniziative antimafia, siano diventate più un marchio di prestigio per chi vuole apparire “dalla parte giusta”, senza però mai sporcarsi le mani.
Leggo difatti di politici che citano le lotte di altri nei propri discorsi elettorali, imprenditori che sponsorizzano eventi per lavare la propria immagine, giovani commercianti che condividono post sui social senza però mai mettere piede in una qualsivoglia riunione o assemblea in cui si affrontano temi sociali a difesa della legalità.
D'altronde, quanto si prova a realizzare - senza però mai esporsi personalmente, senza denunciare alle Procure nazionali ciò di cui si è venuti a conoscenza, ripeto, senza minimamente pensare di entrare in un ufficio di polizia giudiziaria - è diventato per molti quasi un accessorio da sfoggiare, sì... la lotta alla illegalità viene difatti rappresentata da questi soggetti, quasi fosse una banale pratica quotidiana, ad esempio, attraverso un selfie dietro uno striscione, solitamente osserviamo quella foto posta con dietro le loro spalle l'immagine dei due giudici eroi, vittime della mafia.
Li conosco bene i miei conterranei e non sono nuovi a queste dinamiche, eccoli infatti nelle fiaccolate per le strade "indignati" dopo l’ultima estorsione, gridano slogan a squarciagola contro la criminalità, ma poi, col passar del tempo, il silenzio, le voci si affievoliscono, le assemblee si svuotano, e i problemi rimangono lì, nascosti dietro la facciata di una “comunità unita”!
Chissà... forse un giorno tutto sarà diverso, forse quando tutti quei professionisti non si limiteranno a firmare un documento, ma diverranno "sentinelle" attive; infatti, solo se racconteranno ai loro figli che pagare il pizzo è una sconfitta per tutti, se interverranno quando sentiranno qualcuno dire “è meglio stare zitti”, perché la decisione più importante non è quella di essere dei soci iscritti, ma quella di essere portatori di legalità, affinché tutte le coscienze coinvolte, inizieranno a svegliarsi.
Serve quindi un messaggio che si trasformi in azioni concrete: controlli incrociati tra commercianti, denunce collettive, sostegno economico a chi perde clienti dopo aver detto no al racket. Ho visto troppi progetti fallire perché si è creduto che bastasse riempire una sala per cambiare le cose. La mafia non teme le parole, teme i fatti. E i fatti richiedono tempo, risorse, e soprattutto uno Stato sempre presente e che non molli quando il clamore inizia a spegnersi...
Ecco perché, pur riconoscendo il valore simbolico di chi prova a contrastare quell'odiosa metodologia criminale, non posso nascondere il mio scetticismo, non verso le persone e il loro impegno, ma verso il sistema che le circonda. D'altronde ditemi, quando mai un Comune ha stanziato un solo euro per la sicurezza dei negozianti, commercianti e imprenditori?
Quanti sanno che certi cosiddetti “amici della legalità” sono poi gli stessi che hanno chiuso un occhio davanti ad appalti e/o subappalti sospetti? La legalità non è un evento, è una maratona, e spesso chi corre all’inizio non arriva al traguardo.
Ma forse, questa volta, proprio perché siamo stanchi di illuderci, possiamo davvero fare la differenza, sì... stando soltanto tutti insieme, ma soprattutto, stando insieme sempre!!!
mercoledì 17 settembre 2025
Droni russi? Ma quando mai… è l’ennesima macchinazione della "NATO"! Sì... per farci credere di avere un nemico che non esiste.
Mi chiedo spesso: chi decide cosa deve arrivare alle nostre orecchie? Chi stabilisce quale versione dei fatti deve prevalere, anche quando le prove sono fragili, contraddittorie o del tutto assenti?
È difficile non notare come certi eventi siano costruiti ad arte per generare reazioni prevedibili: paura, rabbia, richieste di intervento. E ogni volta, puntualmente, il colpevole ha lo stesso volto, lo stesso accento, lo stesso simbolo sulla bandiera.
La Russia, negli ultimi anni, è diventata quel fantasma che aleggia su ogni crisi, su ogni incidente internazionale, come se fosse l’unica nazione al mondo capace di agire nell’ombra. Ma davvero crediamo che sia così? O forse ci stanno semplicemente abituando a cercare il male sempre nello stesso luogo, perché così è più facile giustificare le scelte geopolitiche, i riarmi, le alleanze strategiche?
Quando sento parlare di droni russi abbattuti al confine con paesi NATO, non posso fare a meno di chiedermi: dove sono le prove concrete? Dove sono i dati accessibili, trasparenti, verificabili? Oppure assistiamo di nuovo a una sceneggiata mediatica, utile a tenere alta la tensione e a legittimare ulteriori pressioni?
Pensiamo al passato: quante volte ci hanno portato in guerra con argomentazioni fasulle? Ricordate le armi di distruzione di massa in Iraq? Un castello di bugie costruito su intelligence manipolata, dichiarazioni gonfiate, silenzi compiacenti. Milioni di persone sono morte per una menzogna che oggi nessuno osa più difendere. Eppure, all’epoca, tutti i media ripetevano lo stesso copione, come se fossero collegati allo stesso palcoscenico.
Oppure ricordiamo l’affondamento del Kursk: subito voci su incidenti provocati da sottomarini stranieri, teorie su collisioni con navi NATO. Poi, con il tempo, emerse che si trattava di un incidente interno, ma l’onda emotiva era già partita, e aveva già fatto il suo lavoro: creare sospetto, diffidenza, tensione. Anche in quel caso, la Russia fu dipinta come vittima di aggressioni occidentali, o come responsabile di disastri evitabili, a seconda delle convenienze narrative del momento.
E che dire del sabotaggio del gasdotto Nord Stream? All’inizio, ovviamente, la Russia fu indicata come principale sospettata. Una mossa logica, secondo la narrativa dominante: Putin vendica le sanzioni, colpisce l’Europa nel cuore energetico. Ma poi? Poi sono emerse tracce, analisi, testimonianze che hanno cominciato a puntare altrove.
Giornalisti liberi e soprattutto coraggiosi, come Seymour Hersh, hanno tirato fuori documenti e fonti che indicavano un intervento diretto della NATO, con la complicità di governi europei. Non sono teorie complottiste, sono ricostruzioni basate su fonti militari e diplomatiche. Eppure, questi racconti sono stati marginalizzati, ridicolizzati, cancellati dai mainstream. Perché? Perché non si adattano alla storia che dev’essere raccontata. Perché smontare il nemico ufficiale significherebbe ammettere che il sistema ha mentito. E questo, evidentemente, non è contemplato.
Mi torna in mente anche la cosiddetta “invasione” della Georgia nel 2008. Fu la Russia a iniziare, dissero. Ma studi successivi, rapporti dell’Unione Europea, testimonianze di esperti neutrali, hanno mostrato che fu Tbilisi a scatenare le ostilità, con il sostegno esplicito di alcuni alleati occidentali.
Ancora una volta, ecco che la Russia viene dipinta come l’aggressore, mentre in realtà quest'ultima intervenne dopo un attacco a una regione già in conflitto da anni. La stampa mondiale, però, non cambiò mai rotta. Il racconto rimase immutato: Mosca cattiva, Occidente buono. E così si costruiscono i mostri, non con la realtà, ma con la ripetizione costante di una versione dei fatti.
Tutto questo mi porta a un dubbio profondo, che non riesco a scrollarmi di dosso: siamo ancora liberi di pensare, o ci viene soltanto permesso di pensare entro limiti ben precisi? Dietro ogni notizia, dietro ogni emergenza internazionale, sembra esserci una mano che guida, che sceglie chi deve essere colpevolizzato, chi deve essere salvato, chi deve essere temuto.
E quando questa mano appartiene a un blocco politico-militare come la NATO, che ha interessi economici, strategici e di potere da difendere, diventa ancora più urgente chiedersi: chi controlla la narrazione, controlla il mondo.
E soprattutto... se continuiamo a credere ciecamente a ciò che ci viene servito ogni sera nei telegiornali, ahimè anche dai nostri governanti, sì... senza mai scavare oltre, senza mai domandarci chi trae vantaggio da quella specifica versione dei fatti, allora saremo sempre marionette, mossi da fili invisibili, applaudendo mentre il puparo cambia scena.
Ecco perché giunto il momento di smettere di guardare solo il palco, e iniziare a fissare l’ombra di chi sta dietro le quinte!!!
martedì 16 settembre 2025
Dott. Grassi e Avv. Nunzio Condorelli Caff: perché quel record doveva esistere!
Ma cosa significa tutto questo? Significa che la convalida del record di Siracusa non è stata un'operazione routine. È stata un'operazione di altissima scienza, condotta con la metodologia più avanzata e rigorosa al mondo, sotto l'egida dei programmi di ricerca più prestigiosi d'Europa. E proprio per questo motivo, la domanda che sorge spontanea - e che attende ancora una risposta chiara - è: perché tanta metrologia avanzata per convalidare un dato, e poi così poca trasparenza su tutto ciò che quel dato ha scatenato a livello istituzionale? Perché un simile apparato scientifico si è piegato a certificare un valore proveniente da una stazione che, come ci ha mostrato il Dott. Alfio Grassi con prove fotografiche, tecniche e logiche inoppugnabili, era palesemente fuori norma, esposta al sole diretto, circondata da asfalto surriscaldato e priva delle condizioni minime richieste da qualsiasi protocollo internazionale?
Alla mia 5° domanda, relativa alle motivazioni personali e al sostegno economico delle sue indagini, il Dott. Grassi ha risposto con disarmante sincerità: Il mio impegno sotto forma di volontariato e integralmente sostenuto con le mi finanze è animato dal principio di verità. Mi ritengo autonomo e indipendente a qualsiasi logica di potere, ma ritengo inammissibile, come nel caso in questione, che un falso record sia stato convalidato da Enti, Organizzazioni, Istituti che dovrebbero ispirarsi esclusivamente al rigido metodo scientifico. Quindi, non ricevo alcun finanziamento se non dalla mia stessa tasca. Ritengo, inoltre, che ogni cittadino ha il dovere di ricevere una corretta informazione e che da questi Enti, finanziati con i nostri soldi, sia reso un servizio professionale e trasparente. Qui, invece, ho notato molta opacità, anzi direi malafede!
Ecco perché ha desiderato aggiungermi testualmente che trova inammissibile che Enti pagati con denaro pubblico producano informazioni opache, se non addirittura maliziose. Perché - secondo egli - non si parla più solo di errore tecnico, ma di responsabilità morale e istituzionale. Se un geologo spende i suoi soldi per installare una stazione meteo a norma a 500 metri da quella del SIAS e registra temperature sistematicamente inferiori di fino a 3 gradi, mentre l’altra continua a produrre dati gonfiati, qualcuno dovrà pur chiedersi: chi decide cosa è affidabile e cosa no? E soprattutto, chi trae vantaggio da questa narrazione distorta?
Rappresenta un momento di riflessione profonda, necessaria, urgente. E mentre guardate quel video, chiedetevi: quanti di noi si fidano ciecamente dei numeri che leggono sui giornali, senza mai chiedersi chi li ha prodotti, come, e perché? Perché forse, alla fine, la domanda più importante non è quanto caldo ci sia, ma chi decide quale versione del caldo dobbiamo accettare come verità.
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