Ci dicono fin da piccoli che sbagliare è umano, e lo accettiamo come una specie di assoluzione universale, quasi un permesso a procedere senza troppi sensi di colpa, ma forse dimenticano di dirci tutta la verità: Sbagliare non è il problema, anzi, è spesso il primo passo verso qualcosa di più chiaro, di più vero.
Già... l’errore è un segnale, come una luce rossa che sul cruscotto ci avverte che qualcosa non va.
È un invito a fermarsi, a guardare, a capire...
Ma troppo spesso lo interpretiamo come una condanna, e allora reagiamo nel modo peggiore: fingiamo che la luce non ci sia, copriamo il cruscotto con un nastro o ancor peggio, stacchiamo il fusibile dell'auto che lo faceva accendere.
Eppure, nascondere non cancella! L’errore continua a esistere, anche se nessuno lo vede più, anche se si fa finta di niente e diventa più pesante col passare del tempo, perché si moltiplica in conseguenze che non avevamo previsto - ahimè - si trasforma in qualcosa di più grande di noi.
E alla fine, inevitabilmente, emerge. Non con un sussurro, ma con un tonfo! Quando accade, non è più solo un errore, è un crollo! E in quel momento, non si giudica più soltanto l’errore, ma la scelta di averlo tenuto nascosto. È lì che nasce la vera perdita di fiducia, non perché qualcuno ha sbagliato, ma perché ha preferito mentire al mondo e a se stesso.
C’è una sottile differenza tra chi cade e si rialza subito dicendo “ho perso l’equilibrio”, e chi cade e poi si affretta a dire “no... non sono caduto, è il pavimento che ha tremato”.
Perché nel primo caso, c’è dignità. Nel secondo, c’è paura. Sì... paura del giudizio, dell’immagine, della fragilità che ci rende umani. Ma è proprio in quella fragilità che si nasconde la forza.
Riconoscere un errore non ci rende deboli, ci rende presenti. Significa che stiamo ancora prestando attenzione, che non ci siamo arresi all'autoinganno. Significa che vogliamo ancora fare meglio. E forse, è l’unica vera misura dell’integrità: non quanto sei perfetto, ma quanto sei onesto con i tuoi limiti.
L’unico peccato imperdonabile, allora, non è l’errore. È il silenzio che lo segue...
Già... è la scelta di proteggere il proprio orgoglio invece che la verità. Perché quando nascondi un errore, non lo stai proteggendo solo tu, ma lo stai lasciato in agguato per qualcun altro. E prima o poi, qualcun altro inciamperà. E allora non sarà più solo il tuo errore, sarà anche la tua responsabilità.
Viceversa, se lo avessi mostrato subito, forse avresti evitato che qualcuno ci cascasse dentro.
Per cui, correggere un errore in tempo non è un segno di debolezza, ma un atto di rispetto, verso chi ti circonda, verso il tuo ruolo, verso te stesso...
È dire: sono qui, sono attento, e se ho sbagliato, lo dico.
Non per essere perdonato, ma per non tradire. Perché alla fine, non ci ricorderanno per non aver mai fallito, ma per non aver mai smesso di provare a fare la cosa giusta. E a volte, la cosa giusta è semplicemente ammettere che non lo abbiamo fatto bene.
Quel gesto, piccolo eppure enorme, è tutto ciò che serve per rimanere in rotta. Non la perfezione, che è un miraggio, ma la lucidità. E la lucidità comincia sempre con una sola frase, detta a bassa voce, ma con chiarezza: ho sbagliato...
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