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martedì 5 agosto 2025

Mafia e antimafia, tra riforme e passi indietro! - Parte Finale

Sono giunto alla fine di questa "mini-serie" sulla giustizia, e vorrei concludere riepilogando con precisione ciò che accade a chi, armato di coraggio, prova a denunciare.

Come già accennavo ieri, la "Legge Cartabia" ha finito per scoraggiare chiunque avesse presentato un esposto, anche se spesso, più per motivi profondamente personali che per fare il proprio dovere di cittadini. Ora che la riforma impone di procedere solo tramite formale querela, molti hanno preferito ritirarsi, lasciando che il sistema li inghiottisse nel silenzio.

Alcuni mesi fa, mi trovavo in Tribunale a Messina come teste per la procura, e prima del mio intervento erano in calendario ben sette processi. Pensavo sarebbe stata una lunga attesa, che avrei impiegato almeno tutta la mattinata. Invece no. Il giudice apriva il dibattimento, chiamava i testimoni, e puntualmente gli avvocati comunicavano la rinuncia dei loro assistiti. Non è successo una volta, ma tutte e sette. In mezz’ora, ero già seduto per testimoniare.

Una dimostrazione lampante di come questa legge non serva a ridurre i processi, ma a farli evaporare prima ancora che inizino.

E poi c’è l’altro aspetto, quello più logorante. Quando denunci qualcosa che non ti riguarda direttamente, quando provi a fare la tua parte, il sistema ti accoglie con una serie infinita di intoppi.

L’udienza slitta di sei mesi per l’agenda del giudice, l’avvocato della difesa non si presenta bloccato in un altro tribunale. La volta successiva: il PM è assente per un “impegno istituzionale”. Poi tocca agli scioperi – prima i magistrati, poi i legali e infine gli uscieri – e quando finalmente sembra tutto a posto, l’imputato gioca la carta del “malore improvviso” e il processo si blocca di nuovo.

Nel frattempo, nessuno ti avvisa che l’udienza è saltata. E così, chi ha cercato solo di fare il proprio dovere, si ritrova a perdere tempo e denaro. Perché magari ha preso un aereo, essendo per lavoro in un’altra regione o addirittura all’estero. E lo Stato? Non ti rimborsa nulla. O meglio, mi dicono che puoi chiedere qualcosa per il biglietto del treno, rigorosamente di seconda classe.

Negli Stati Uniti, se grazie a una denuncia lo Stato smaschera una frode, chi ha contribuito viene premiato con una percentuale del recupero. Da noi, invece, sei tu a pagare. Sempre!

È comprensibile, allora, che chi ha già vissuto questa tortura preferisca rinunciare in partenza, evitando di riviverla. E così, l’illecito che avrebbe potuto essere fermato, prosegue indisturbato, mentre il sistema fa di tutto per scoraggiare chiunque provi a cambiare le cose.

Denuncia! È questo il mantra che ci ripetono in coro, dal Presidente della Repubblica all’ultimo funzionario di periferia. Peccato che nessuno di loro, quando si tratta di circostanze che non li riguardano personalmente, abbia mai avuto il coraggio di farlo davvero. Nessuno ha mai sacrificato un briciolo della propria comoda posizione, figuriamoci la carriera.

Basterebbe guardarsi intorno per capire come funziona questo sistema malato. Basterebbe ascoltare le inchieste giudiziarie che ci vengono vomitate addosso ogni giorno, con nomi e cognomi di politici inquisiti, coinvolti, condannati. Eppure, stranamente, eccoli lì, sempre gli stessi, che risorgono come zombi, pronti a riprendersi il loro posto come se nulla fosse.

È questo il Paese che abbiamo. Un Paese che non merita cittadini onesti, perché li schianta, li logora, li umilia. Un Paese che, per andare avanti, ha bisogno dei soliti meschini personaggi, quelli che da decenni si aggrappano alle poltrone e non hanno intenzione di mollare. Perché qui, chi denuncia perde. Chi tace, invece, sopravvive. E chi dovrebbe cambiare le cose, è troppo occupato a garantirsi l’immunità.

E allora, mi rivolgo ora a voi, cari Procuratori, con cui ho aperto questa serie di interventi – e permettetemi, in questa sede, di aggiungere due nomi che stimo profondamente: Nicola Gratteri, oggi Capo della Procura di Napoli, e Raffaele Cantone, alla guida della Procura di Perugia. A voi, che siete la parte sana del Paese, voi che ogni giorno sfidate questo sistema marcio, pongo una domanda semplice, ma straziante nella sua ovvietà: perché mai qualcuno dovrebbe ancora provarci?

Perché dovrebbe presentarsi in procura, denunciare alla Dia, segnalare alla Finanza, quando poi si ritrova solo contro un sistema che lo punisce per il suo coraggio? Quando scopre che i potenti indagati hanno più diritti dei cittadini onesti? Quando si accorge che i reati spariscano come neve al sole tra rinvii, prescrizioni e cavilli procedurali, ma anche quando alla fine si riesce a giungere ad una condanna?

Già... perché dovrebbe credere in uno Stato che, quando va bene, lo ignora, e quando va male, lo punisce per aver osato disturbare?

Voi lo sapete meglio di chiunque altro quanto costa, in termini di coraggio e solitudine, alzare la mano e dire "basta". Eppure, nonostante tutto, continuate a farlo. Ma ditemi: quanti ancora resisteranno, prima di capire che qui la giustizia è un lusso, non un diritto? Quanti cittadini perbene dovranno sbattere la faccia contro questo muro di gomma, prima che qualcosa – finalmente – si rompa?

Con affetto (e molta amarezza),
Nicola Costanzo

P.S. Questo non è un addio, ma un invito a non arrendersi. Sappiate che non sarete soli in questa battaglia: finché ci sarà anche solo uno di voi disposto a lottare, troverete sempre persone come il sottoscritto al vostro fianco. Perché la speranza, quando diventa collettiva, smette di essere un'illusione e diventa un'arma!

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