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martedì 21 settembre 2021

“Mi dia del lei, io sono giudice, anzi il signor giudice”: Rosario Livatino

Nel ristorante di un albergo di Canicattì si svolge un seminario sui rapporti tra criminalità organizzata e politica alla presenza delle personalità più autorevoli del paese, mafiosi compresi. Tra i relatori c'è Rosario Livatino, sostituto procuratore del Tribunale di Agrigento. Il discorso del "giudice ragazzino", scandisce il ritmo della vicenda, che si snoda alternando episodi di cronaca a frammenti della vita del magistrato. Mosso da un sincero ideale di giustizia Livatino è schierato in prima linea nella lotta ai clan della zona. Due famiglie, appartenenti alla stessa cosca, si contendono il comando del territorio agrigentino: quella di Antonio Forte e quella di Giuseppe Migliore. Per un gioco del destino, il boss Migliore è suo vicino di casa. 
Ogni mattina, Rosario attende alla finestra che questi esca, per evitare di incontrarlo.
Livatino vive con gli anziani genitori, Rosalia e Vincenzo, in un appartamento modesto. 
Nella sua esistenza, regolare e metodica, nonostante la professione esercitata, subentra un sentimento d'attrazione, per l'avvocatessa Angela Guarnera, designata a difendere un uomo da lui inquisito.
Tra i due inizia una tenera relazione, troncata alla vigilia del matrimonio, a causa dei pericoli cui la vita del giovane Livatino è esposta. 
Le minacce contro la famiglia non lo spaventano e emette una raffica di ordini di cattura, di cui uno ai danni del suo vicino di casa Migliore. 
Il suo equilibrio comincia a vacillare quando le persone di cui si fida, l'anziano collega Saetta e il maresciallo dei carabinieri Guazzelli, vengono trucidate dai sicari di Cosa Nostra. 
La mattina del 21 settembre 1990, mentre percorre la superstrada per Agrigento, il giudice Rosario Livatino è alle porte di Agrigento, con la sua auto sta percorrendo la statale 640 per andare al lavoro di tutti i giorni. Al chilometro 10 viene affiancato da un’altra auto e da una moto.
Una selva di colpi d’arma da fuoco investe la macchina del giudice, che va a sbattere contro il guardrail. Ferito ad una spalla Livatino fugge a piedi. Una fuga tragica e disperata nella valle sottostante. I killer lo inseguono, lo braccano come una preda, una caccia crudele, che si conclude con quattro colpi di grazia.
Quando fu ucciso Rosario Livatino aveva solo 38 anni. 
Magistrato in forze al Tribunale di Agrigento, impegnato nella lotta alla mafia, era stato allievo del giudice Antonio Saetta, presidente della Corte d’appello di Palermo, anch’egli trucidato dalla mafia su quella stessa strada insieme al figlio handicappato, e, anch’egli, come Rosario, di Canicattì.
La vicenda di questo giudice ragazzino, è la definizione che Cossiga diede a Rosario Livatino, raccontata da Nando Dalla Chiesa è importante per capire molti fatti della nostra prima Repubblica.
Con la riga dei capelli da parte, con quel suo sguardo onesto e pulito, Livatino e la sua storia " sono uno specchio pubblico per un’intera società … e la sua morte, più che essere un documento d’accusa contro la mafia, finisce per essere - con la pura forza dei fatti - un silenzioso, terribile documento d’accusa contro il complessivo regime della corruzione. Al tempo stesso è un indimenticabile omaggio ai valori che quel regime ha inteso calpestare".
Il consiglio che oggi a molti "ragazzini" posso dare è quello di acquistare e leggersi un libro, quello di Nando dalla Chiesa intitolato "Il giudice ragazzino: storia di Rosario Livatino assassinato dalla mafia sotto il regime della corruzione", nel quale l'autore ( figlio anch'egli di una vittima di mafia... ) riesce a narrare questa storia terribile senza perder mai di vista il contesto politico e sociale in generale e soprattutto senza risparmiare i nomi eccellenti e le tacite connivenze di quel periodo, unendo con un filo ideale fatti solo apparentemente disgiunti tra loro, per mettere a nudo quello che passerà alla storia come il "regime della corruzione"!!! 

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