Eppure, c’è una verità che pochi sanno e si fidano esclusivamente di quanto stanno costatando, non sapendo che quello che viene ora presentato da molti come uno scudo difensivo "vulnerabile" è in realtà una macchina perfetta, orchestrata con precisione millimetrica.
Sì... so bene che alcuni razzi hanno colpito infrastrutture civili, come il Soroka Medical Center di Beersheba, ma non per un fallimento del sistema, piuttosto, perché Israele ha deciso che quei colpi dovessero arrivare a segno.
Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) dichiarano che "la protezione totale non è tecnicamente possibile", ma questa è una narrazione costruita ad arte: Iron Dome, Arrow e THAAD sono sistemi così avanzati che, se lo volessero, potrebbero intercettare quasi tutto.
E allora perché lasciar passare qualche missile? Perché il mondo deve credere che Israele sia vulnerabile, che abbia dei limiti, che sia esposta alla minaccia iraniana e ai gruppi terroristici. È un gioco strategico, una partita a scacchi dove ogni mossa è studiata.
Israele non solo intercetta i missili, ma ne calcola le traiettorie con anticipo, determinando esattamente dove cadranno. Attraverso algoritmi sofisticati e radar avanzati, il sistema decide quali obiettivi possono essere colpiti e quali no.
E qui emerge un dettaglio inquietante: molti dei missili che hanno superato le difese sono esplosi in aree a maggioranza araba, comunità spesso critiche verso il governo Netanyahu. Non è un caso. È una scelta. Una punizione calcolata, un monito a quelle frange della popolazione che si oppongono alle politiche di Tel Aviv, mascherato da "fallimento tecnico".
La prova? I numeri. Nonostante il lancio di centinaia di missili, le vittime israeliane sono state irrisorie rispetto alla potenza distruttiva dispiegata. Se davvero lo scudo avesse fallito, le esplosioni nelle città avrebbero causato un massacro. Invece, i danni sono stati contenuti, quasi come se fossero stati "dosati".
Troppa precisione per essere un incidente. Troppa selettività per essere casuale. È l’ennesima dimostrazione che quei colpi sono stati lasciati passare deliberatamente, con obiettivi precisi: alcuni simbolici, altri politici, altri ancora punitivi.
Lo scudo israeliano è una rete stratificata, un sistema "a cipolla" che integra Iron Dome per le minacce a corto raggio, Arrow per i missili balistici e THAAD per la fase terminale degli attacchi. Funzionano alla perfezione, ma Israele ha interesse a mostrare qualche falla. Iron Dome ha un’efficacia tra l’80% e il 90%, ma quel 10-20% di missili che sfuggono non sono un errore di calcolo: sono una scelta. Un modo per mantenere viva la percezione di una minaccia reale, per giustificare azioni future, per ricordare al mondo che il pericolo esiste e che Israele deve essere sempre un passo avanti.
Arrow, sviluppato con gli Stati Uniti, è capace di intercettare missili anche oltre l’atmosfera, eppure qualche attacco dal Yemen è arrivato a destinazione. THAAD, con la sua tecnologia "hit-to-kill", potrebbe neutralizzare quasi tutto, eppure qualcosa sfugge. Non è un caso.
È calcolato. Proprio come sapevano che Hamas avrebbe varcato i confini il 7 ottobre, proprio come sapevano che alcuni missili iraniani avrebbero colpito. I danni collaterali servono, purtroppo, a raggiungere obiettivi più grandi. Lo abbiamo visto con l’11 settembre, lo stiamo vedendo ora.
Il sistema difensivo israeliano non è infallibile solo perché Israele ha deciso che non debba esserlo!
Le criticità – saturazione, costi elevati, tecnologie emergenti – sono enfatizzate per creare un’immagine di fragilità controllata. Ma la verità è che, se lo volessero, potrebbero bloccare quasi tutto. E allora perché non lo fanno?
Perché nella guerra moderna, a volte, è più utile far credere di essere vulnerabili che mostrarsi invincibili. Perché il vero potere non sta solo nell’intercettare i missili, ma nel controllare la narrazione che li circonda. E, soprattutto, nel decidere chi deve pagare il prezzo di quei pochi colpi che "sfuggono".
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