Guardiamo i telegiornali e sentiamo sempre le stesse cose: incontri ufficiali, strette di mano, parole di circostanza.
Ma mentre i potenti si scambiano convenevoli, Gaza viene rasa al suolo, l’Ucraina sanguina, e il mondo sembra aver smarrito ogni bussola morale.
Mi chiedo: perché, invece di perdere tempo in cerimonie vuote, Papa Leone XIV e il presidente Mattarella non usano quel prezioso faccia a faccia per gridare al mondo che basta?
Perché non trasformare quell’ora di conversazione in un appello globale, in una sfida lanciata alle coscienze di tre miliardi di cristiani?
Il Vaticano non è un salotto buono. È la voce di un miliardo e mezzo di cattolici, e se si unisse alle altre confessioni cristiane, potrebbe mobilitare quasi metà dell’umanità. Un potere immenso, capace di far tremare i potenti della Terra. Basterebbe una sola frase detta senza paura: "Questa strage deve finire, e chi la alimenta sarà giudicato dalla storia."
Eppure, no. Si preferisce parlare di "equilibri", di "multilateralismo", di "dialogo". Ma il dialogo, senza coraggio, è solo un modo elegante per girarsi dall’altra parte. Le bombe non si fermano con i protocolli. I bambini morti non si risvegliano con le dichiarazioni bilanciate.
Se fossi al posto del Papa, userei ogni secondo di quegli incontri per chiedere conto ai potenti. Se avessi anche solo un briciolo di quella influenza, cercherei di parlare con Putin, Zelensky, Netanyahu, Hamas, con chiunque possa fermare questa follia. Perché il silenzio, di fronte al male, è già una colpa.
La pace non è diplomazia. La pace è rivoluzione. E se la Chiesa non ha il coraggio di farla, allora che almeno abbia l’onestà di ammettere che sta solo recitando una parte.
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