L'emittente statale iraniana "IRIB" ha riferito - citando fonti informate - che i servizi segreti iraniani hanno condotto quello che definiscono "il più grande attacco di intelligence della storia" contro Israele, ottenendo enormi quantità di documenti e informazioni altamente sensibili.
L’Iran rivendica un colpo da maestro, un’operazione senza precedenti, capace di penetrare nel cuore segreto di Israele. Migliaia di documenti strappati via, custoditi in luoghi proteti, e tra quei fogli, si sussurra, vi sono segreti nucleari, progetti che potrebbero cambiare per sempre gli equilibri di una regione già sull’orlo del baratro.
Il silenzio di Israele è più eloquente di qualsiasi smentita. Si sa di due arresti, due giovani accusati di tradimento, forse pedine inconsapevoli in una partita più grande di loro. Ma il vero gioco si svolge altrove, nelle stanze dove si decidono i destini, tra mappe segnate da obiettivi strategici e parole che si trasformano in missili. Nessuno conferma, nessuno nega, perché in questa guerra d’ombra ogni verità è un’arma e ogni silenzio una minaccia.
Il Medio Oriente, ahimè, è un vaso di Pandora, e la chiave per aprirlo potrebbe essere proprio quella conoscenza rubata. D'altronde cosa accade quando i segreti nucleari smettono di essere segreti? Quando le paure si materializzano in progetti concreti, in rivalità che non conoscono più confini?
L’Iran avanza, Israele si ritrae, ma è solo l’illusione di un equilibrio precario. Basta una scintilla, un documento letto nel modo sbagliato, un sospetto in più, e la corsa all’arma definitiva diventerà inevitabile.
Quei documenti rubati potrebbero racchiudere informazioni capaci di mutare il corso degli eventi, forse persino la possibilità di costruire ciò che non dovrebbe mai esistere. Non è facile capire fino a che punto si possa giocare col fuoco senza bruciarsi, specialmente quando il fuoco ha il volto freddo dell’atomica.
Ogni volta che si parla di nucleare, ogni volta che un Paese fissa quell’orizzonte, si allunga l’ombra di qualcosa di irrimediabile. Il Medio Oriente è già un crocevia di tensioni, di interessi incrociati, di ferite mai rimarginate e aggiungere ora la minaccia atomica è come versare benzina su un falò che non si è mai davvero spento!
Quando un laboratorio segreto diventa un progetto accessibile, quando le ambizioni si traducono in calcoli precisi e materiali sensibili, il confine tra guerra e distruzione totale si assottiglia, fino a sparire.
Ed allora non ci saranno più frontiere da difendere, né bandiere da innalzare, ma solo paesaggi cancellati, città ridotte a memoria, già come l'immagine di quel quadro riportato sopra!
Non è l’attacco che dobbiamo temere, non sempre. Talvolta è la reazione a far precipitare tutto. Un errore di valutazione, un gesto mal interpretato, un documento letto con gli occhi sbagliati. Basta poco per mettere in moto l’ingranaggio, e molto per fermarlo, ammesso che sia possibile.
L’equilibrio esiste solo finché nessuno osa romperlo. Ma ogni equilibrio è fragile, specie quando poggia su una paura reciproca che tiene a bada le intenzioni. E se quella paura svanisce, se uno dei contendenti crede di poter agire senza conseguenze, allora sarà la fine di ogni logica strategica, e l’inizio di un incubo senza ritorno.
Perché il nucleare non è una carta da giocare, non è una moneta di scambio, è l’ultimo atto, il punto oltre il quale non c’è più niente. Chiunque lo usi, chiunque lo minacci, firma la sentenza non solo per il nemico, ma anche per sé stesso, per chi sta vicino, per chi non c’entra nulla.
Il nucleare non è uno strumento di guerra, è la fine di ogni guerra, perché dopo di esso non ci saranno più vincitori né vinti. Solo cenere...
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