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giovedì 13 agosto 2020

Catania... un po' di quella storia poco raccontata e forse volutamente dimenticata!!!

Mi permetto con questo post, di riprendere il verbale di un processo svolto a Catania, nel quale ad essere sentito, era uno degli esponenti mafiosi più importanti allora della nostra città etnea che ci fa comprendere come in quest'isola, politica, mafia e imprenditoria fossero da sempre legati:
PRESIDENTE. Nel libro pubblicato da Arlacchi lei afferma che Pippo, suo fratello, dava il 5-10 per cento dell'importo degli appalti agli assessori regionali che li decidevano.
Ricorda questa cosa?
ANTONINO CALDERONE. Sì. Mio fratello nel 1963-1964 è fallito. Era una grossa impresa, che aveva qualcosa come 5 miliardi di lavori: nel 1964 erano belle cifre. Aveva preso questi lavori comprandoli a Palermo. Molti glieli ha venduti l'onorevole Laterza del movimento sociale italiano. Però gli diceva: "Pippo, se vado al governo non ti venderò nemmeno un bicchiere, però ricatto i miei colleghi che so che si vendono i lavori". Ma non erano del MSI, erano di altri partiti.
Pagava il 5 o il 10 per cento. Addirittura, poiché per i primi lavori non aveva i soldi, faceva una pratica - non so come era - per cui gli davano soldi ancor prima che cominciasse i lavori. Metteva degli assegni firmati in una busta e li dava ad un uomo in cui avevano fiducia, dopo che aveva avuto questi soldi. Se li prendevano ancora prima che cominciassero i lavori. Li pagava!!!
PRESIDENTE. Tra i mezzi di persuasione con i quali Cosa nostra convince o cerca di convincere i cittadini a votare per i propri candidati vi sono soltanto quelli che ha detto, cioè un invito rivolto da una persona autorevole, o vi è anche la paura?
ANTONINO CALDERONE. No, non è la paura, non lo fa con l'imposizione, perché sa che ci vanno automaticamente. 
Domandano per chi si deve votare perché poi possono dire agli uomini d'onore: "Senti, ho votato per il tale candidato, ora ho bisogno di questo". E' una cosa normale.
PRESIDENTE. Perché si sa che Cosa nostra riesce ad avere favori. Questo è il meccanismo.
ANTONINO CALDERONE. Sì.
PRESIDENTE. Un commissario vorrebbe sapere che ruolo ha avuto Bontade nell'attività politica di Lima.
ANTONINO CALDERONE. Non glielo so dire. Non lo so.
PRESIDENTE. Ho qui un elenco dei nomi di esponenti politici che lei ha citato nei vari interrogatori. Uno è Calogero Volpe.
ANTONINO CALDERONE. Uomo d'onore della provincia di Caltanissetta.
PRESIDENTE. Un altro è l'onorevole Lupis.
ANTONINO CALDERONE. L'onorevole Lupis non era uomo d'onore ma era molto vicino a noialtri, che lo votavamo sempre. Con "noialtri" intendo noi di Catania.
PRESIDENTE. L'onorevole Lima?
ANTONINO CALDERONE. L'onorevole Lima io non l'ho votato mai, non lo so, ma ne ho avuto bisogno.
PRESIDENTE. I cugini Salvo?
ANTONINO CALDERONE. Li conoscevo molto bene. Erano due uomini d'onore. Uno era vicerappresentante, l'altro era capodecina della famiglia di Salemi.
PRESIDENTE. Secondo lei perché è stato ammazzato Ignazio Salvo?
ANTONINO CALDERONE. Non posso fare ipotesi. So solo che sono stati ammazzati Lima, Ignazio Salvo, Falcone, questa gente.
PRESIDENTE. L'onorevole D'Angelo era presidente della regione ed aveva proposto l'istituzione della Commissione antimafia.
ANTONINO CALDERONE. La prima antimafia in Sicilia l'ha chiamata lui.
PRESIDENTE. Per questo è stato considerato come un nemico da Cosa nostra?
ANTONINO CALDERONE. Sì, lo volevano ammazzare, ma il rappresentante provinciale si è rifiutato. Siamo negli anni 1963-1964. La Commissione antimafia cominciò a dare soggiorni a tutti, addirittura si diceva "siamo diventati come i crasti di Pasqua", perché i crasti (i montoni in dialetto) di Pasqua sono tutti rinchiusi e la gente viene e li compra per ammazzarli. Si diceva che ad uno ad uno, ad uno ad uno, ci stavano mandando tutti al confino.
PRESIDENTE. Ciancimino?
ANTONINO CALDERONE. Non lo conosco.
PRESIDENTE. L'onorevole Concetto Gallo?
ANTONINO CALDERONE. Uomo d'onore della famiglia di Catania, poi messo fuori famiglia.
PRESIDENTE. Perché?
ANTONINO CALDERONE. Perché si era un po' "ubriacato" anche lui. Quando tutta la Sicilia votava Milazzo, dopo che Milazzo era al governo, un giorno è venuto un genero di Rimi, Nino Buccellato, da non confondere con Nicola Buccellato.
Voleva un favore da Concetto Gallo, che prima gli ha fatto fare un po' di anticamera e poi disse "Vediamo, non vediamo...". Sono venuti a lamentarsi da mio zio, che era rappresentante della famiglia di Catania, e l'ha messo fuori famiglia. Ecco quali erano le punizioni se non si facevano i favori agli amici dopo che avevano votato.
PRESIDENTE. A questo punto che succedeva, non si votava più per una persona così?
ANTONINO CALDERONE. Certo, se non prometteva più ...
PRESIDENTE. Nei suoi interrogatori ha detto che l'onorevole Milazzo favorì molto i Costanzo. Può spiegare? 
ANTONINO CALDERONE. Sì, l'onorevole Milazzo è stato... 
Nell'impresa dei Costanzo c'era un certo Giovanni Conti di Caltagirone, paesano di Milazzo e molto intimo suo. Questo Giovanni Conti comprava i lavori e faceva tutte le cose con la politica. Oltre allo
stipendio gli davano una percentuale sull'utile dei lavori che riusciva ad ottenere. Aveva il suo ufficio nell'impresa.
Ricordo di essere andato personalmente in via Etnea dove Milazzo - non ricordo bene ... - aveva l'ufficio elettorale, mi pare. Era questo Giovanni Conti che dirigeva il tutto e i Costanzo mettevano i soldi. Poi però hanno avuto i lavori e sono diventati ... Avevano già un certo nome, ma poi hanno fatto il salto di qualità.
PRESIDENTE. L'onorevole Guttadauro?
ANTONINO CALDERONE. L'onorevole Guttadauro ... Sono tre o quattro fratelli - penso che saranno morti - tutti uomini d'onore. Mi pare che l'onorevole Guttadauro era del partito liberale, ma non ricordo. Era deputato a Palermo. 
PRESIDENTE. L'onorevole Laterza?
ANTONINO CALDERONE. Laterza l'ho avuto come avvocato. Ma era un uomo che poteva capire che eravamo... manco mafiosi, perché a quei tempi a Catania nessuno sapeva che c'era la mafia. E' morto negli anni settanta, povero, senza soldi. Ogni tanto mi telefonava dicendo che aveva bisogno di 50 mila lire.
Mi difendeva gratis ma faceva una vita così: sperperava, era sempre senza soldi.
E' l'onorevole Laterza di cui ha parlato prima?
ANTONINO CALDERONE. Sissignore.
PRESIDENTE. Insalaco?
ANTONINO CALDERONE. So che Stefano Bontade ... Tanino Fiore, un uomo d'onore di Palermo, gli ha fatto la campagna elettorale con Stefano Bontade e dicevano: "Dobbiamo fare la campagna elettorale per il figlio di uno sbirro ...", perché suo padre era maresciallo dei carabinieri o di pubblica sicurezza.
PRESIDENTE. L'onorevole Verzotto?
ANTONINO CALDERONE. Molto vicino a Cosa nostra, però catanese. Era molto vicino a Di Cristina. Noialtri lo abbiamo conosciuto perché l'onorevole Verzotto aveva un segretario di Riesi. Di nome si chiamava Angelino, ma non ricordo il cognome. Era molto intimo di Di Cristina che ce lo ha fatto conoscere. Eravamo molto amici e non si vergognava di andare ad un matrimonio di mafiosi. E' venuto a fare il testimone di nozze a Di Cristina, ricordo che ero presente. Poi si è impelagato un po', non so cosa ha combinato, ed è stato latitante tanto tempo.
PRESIDENTE. E' importante andare ai matrimoni?
ANTONINO CALDERONE. A quei tempi sì, molto. Ricordo quando c'era Verzotto a Riesi: tutti venivano a guardare questo grande ... Dà forza all'uomo d'onore, perché se io faccio venire un grande deputato ad un matrimonio o ad un battesimo tutti sanno che poi possono chiedere un favore.
PRESIDENTE. Lei ha parlato anche di Antonio Succi, vicesindaco di Catania.
ANTONINO CALDERONE. Sì, era un DC, mi ha fatto dei favori. Noialtri lo abbiamo portato politicamente. Ma era un uomo buono.
PRESIDENTE. Nel suo libro fa riferimento ad un sottosegretario Evangelisti. Ricorda?
  ANTONINO CALDERONE. Sì, ricordo che mio fratello e Pasquale Costanzo volevano fare un regalo a Carmelo Costanzo facendolo diventare cavaliere del lavoro. Quell'anno c'era un po' ... c'è stata sempre rivalità tra Costanzo e Rendo, ma in quell'anno era particolarmente grande perché Rendo doveva diventare anche lui cavaliere del lavoro. Mi pare che lo ha fatto diventare un uomo politico, ma non so di che partito. Anche lui ha pagato 180 milioni.
PRESIDENTE. Chi ha pagato 180 milioni?
ANTONINO CALDERONE. Mi dicevano che Rendo ha pagato 180 milioni per diventare cavaliere del lavoro. Mio fratello disse che conosceva molto bene l'onorevole Lupis; allora, con Gino Costanzo, parlò con Lupis che disse che era possibile. Lupis a quei tempi aveva un segretario particolare, un nobile che poi non era nobile. Era un barone.
CARLO D'AMATO. Si faceva chiamare barone? 
ANTONINO CALDERONE. No, era stato adottato. Era il barone Felice Ciancio Villardita, che noialtri conoscevamo molto, molto bene. Felice Ciancio fece sapere che occorrevano 80 milioni da dare a Lupis o al partito, non so. Si incominciarono le pratiche. Quando tutto fu quasi pronto, un giorno mi trovavo nell'ufficio dell'impresa Costanzo e De Luca - la mano lunga dei Costanzo, quello che ne sapeva tutti i segreti - disse (c'era anche mio fratello): "Telefoniamo a Felice, vediamo a che punto sono le pratiche". Telefonarono e dissero a De Luca: "Sai, mi dispiace, ci vogliono altre 30 bottiglie di latte". "Ma come, eravamo rimasti d'accordo su un certo numero ...". "No, no, ce ne vogliono altre 30 perché si devono dare all'onorevole Evangelisti". "Ti darò risposta".
Poi mio fratello e Gino Costanzo si consultarono e decisero di rispondere affermativamente. E così Carmelo Costanzo è stato fatto cavaliere del lavoro. Mio fratello personalmente ha portato 110 milioni a Roma all'onorevole Lupis. Lo ricevette Felice Ciancio che disse: "Eccellenza, c'è Pippo con la borsa" "Sì, sì, prendi la borsa e fallo venire". Mio fratello è andato lì e l'ha ringraziato.
PRESIDENTE. Mi pare sia emerso che Costanzo era contento di essere stato fatto cavaliere con un ruolo più importante.
ANTONINO CALDERONE. Sì, perché vi è stato sempre questo gareggiare. Costanzo l'hanno fatto cavaliere del lavoro dell'industria, perché è un imprenditore, mentre invece non c'era il numero giusto e hanno dovuto declassare Rendo facendolo cavaliere del lavoro dell'agricoltura. Cose da bambini.
PRESIDENTE. Quali erano le intese ed i rapporti tra i cavalieri del lavoro Graci, Rendo e Costanzo? 
ANTONINO CALDERONE. Loro si dividevano i lavori, ma Rendo faceva sempre la parte del leone in quanto, non so perché, aveva qualcosa in più degli altri; probabilmente era più furbo. Innanzi tutto le riunioni dovevano tenersi a casa sua e tutti dovevano andare a baciargli la mano.
Carmelo si poteva difendere in un solo modo: ogni tanto, a detta di lui e del fratello Pasquale, quando non era d'accordo su qualcosa gettava lì la battuta: "Gli amici di mio fratello non sono molto contenti". Gli amici eravamo io e mio fratello. Tra l'altro, egli raccontava che si davano anche schiaffi. Noi mettevamo bombe nei cantieri.
PRESIDENTE. In quelli di Rendo?
ANTONINO CALDERONE. Sì, per farlo "abbassare". Poi dicono che il mafioso sono io!
PRESIDENTE. Come riusciva Rendo a far venire Costanzo, che pure contava sul vostro appoggio, a casa sua?
ANTONINO CALDERONE. Secondo me, egli era molto più addentrato nella politica, in quanto non riceveva appoggi dalla mafia.
PRESIDENTE. Non era sostenuto dalla mafia?
ANTONINO CALDERONE. No.
PRESIDENTE. Secondo la sua opinione, invece, era sostenuto a livello politico?
ANTONINO CALDERONE. Questa è la mia opinione.
PRESIDENTE. Può parlare delle intese che vi furono in quel momento tra Graci, Rendo e Costanzo per esempio su come dividersi gli appalti?
ANTONINO CALDERONE. Quando si sono aggiudicati i lavori relativi alle dighe ed agli aeroporti, hanno costituito un consorzio. Ne hanno anzi costituiti molti; per un loro consorzio ho lavorato anch'io. Per dare un nome al consorzio si servivano dei loro stessi nomi storpiati.
Dopo essersi aggiudicati i lavori relativi alle dighe e agli aeroporti, dovevano costituire un ufficio in cui far confluire uomini di Rendo, Costanzo e così via. Poi non si sono messi d'accordo, perché dopo aver unito le loro forze qualcuno avrebbe dovuto comandare. Rendo voleva essere lui a comandare, ma gli altri non erano d'accordo. Allora hanno dovuto dividersi le dighe e gli aeroporti prevedendo conguagli in denaro per chi aveva una parte minore del lavoro.
A questo punto si è scatenato l'inferno. Vi sono stati mesi e mesi per potersi accordare e per farlo hanno chiamato gente da fuori. Uno era un professore universitario (Laspisa), un altro era un commercialista di cui non ricordo il nome e poi vi era un uomo politico.
PRESIDENTE. Non ricorda il nome di quest'ultimo?
ANTONINO CALDERONE. No.
PRESIDENTE. Era siciliano?
ANTONINO CALDERONE. Sì.
PRESIDENTE. Era di Catania o di Palermo?
ANTONINO CALDERONE. Non lo so.
PRESIDENTE. Secondo quanto lei sa, come facevano Graci, Rendo e Costanzo ad avere tutti questi appalti?
ANTONINO CALDERONE. Si mettevano d'accordo tra loro e con gli imprenditori del nord. Questi ultimi, quando venivano in Sicilia, aggiungevano alle spese il 10-15 per cento alla voce mafia, perché avevano paura che gli venissero fatti saltare i cantieri. Conseguentemente, non potevano competere con le imprese siciliane.
PRESIDENTE. Dovevano sostenere costi più alti?
ANTONINO CALDERONE. Certo, è logico. Infatti, nel momento in cui si inserisce nella busta l'offerta per un determinato lavoro, vi si includono tutte le spese, tra cui un onere aggiuntivo per i danni provocati dalla mafia o per quello che si deve pagare.
Loro invece andavano bene perché pagavano pochissimo.
PRESIDENTE. Loro chi?
ANTONINO CALDERONE. I Costanzo e i Graci.
PRESIDENTE. Anche Rendo pagava?
ANTONINO CALDERONE. No. Egli aveva delle buone assicurazioni e pagavano loro.
PRESIDENTE. Invece per quanto riguarda Graci e Costanzo?
ANTONINO CALDERONE. Graci pagava Madonia e negli ultimi tempi Madonia figlio e Nitto Santapaola. Costanzo, invece, pagava a noi che pagavamo poi la "guardiania" e facevamo prendere lavori a cottimo a uomini d'onore del paese. Questi erano i rapporti.
PRESIDENTE. Costanzo pagava anche Santapaola?
ANTONINO CALDERONE. Sì. A mio fratello dava un milione al mese. Dopo la morte di mio fratello, pagò a Nitto Santapaola 15 milioni. In quel momento quest'ultimo era vicino, ma non tanto, ad Alfio Ferlito, il quale disse: "Che me ne faccio di 15 milioni? Non sono nulla". Decise allora di darli ai carcerati acquistando per loro panettone e champagne per Natale. Così nel carcere di Catania hanno brindato alla salute di Costanzo.
PRESIDENTE. Successivamente Costanzo ha pagato di più oppure è cambiato il rapporto?
ANTONINO CALDERONE. Non lo so.
PRESIDENTE. L'imprenditore Finocchiaro ha mai avuto niente a che fare con gli altri tre?ANTONINO CALDERONE. No. Finocchiaro aveva, come persone che lo guardavano, un gruppo catanese molto forte che non faceva parte della mafia. Si trattava del gruppo dei Cursoti di cui era capo un certo Manfredi. Non le so dire altro, perché Finocchiaro è emerso negli ultimi anni.
PRESIDENTE. Santapaola proteggeva altri imprenditori a Catania oltre a Costanzo?
ANTONINO CALDERONE. Apertamente no. Tuttavia, se andava da lui qualche imprenditore o qualche proprietario di negozi a lamentare di aver ricevuto estorsioni, egli li proteggeva.
Rispondeva lui al telefono e diceva: "Sono Nitto..."!!!

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