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mercoledì 17 gennaio 2018

"Uomini che odiano i leghisti"...

A ulteriore conferma di quanto ho finora riportato in questi giorni, pubblico una intervista di Stefano Rizzi all'ex Presidente della Regione Piemonte (leghista da sempre...) Roberto Cota che al pari del Governatore uscente della Regione Lombardia, Roberto Maroni,  non si ritrova nella linea politica imposta da Salvini e quindi fatto "fuori senza spiegazioni"!!!
Di seguito l'intervista:
Dei due quello che conosco di più è Bobo, lo stimo, ci sentiamo, ci uniscono tante cose. 
Con Salvini, purtroppo, questo non è stato possibile, io ci ho anche provato, ma non è andata bene”. 
Roberto Cota con Maroni non condivide solo il nome e la professione, quella di avvocato, che lui esercita dopo aver lasciato anzitempo la presidenza del Piemonte e l’altro prefigura come possibile impegno dopo la rinuncia a ricandidarsi a governatore della Lombardia. Li unisce pure il futuro, dove ci sarà ancora la politica. 
E il rapporto, a dir poco difficile, con il segretario. Così come l’idea di come e cosa dovrebbe essere la Lega, che non è più... 
Era quella che Maroni, citando la politica, valeva la P maiuscola diventata minuscola quando è sparito Nord dal simbolo e dal core del movimento, sempre più nazionale e nazionalista scivolando verso il modello lepenista. 
Un errore, uno dei tanti, che imputa alla gestione salviniana alla quale lei sta come il diavolo all'acquasanta o, per evocare l’“altra Lega”, la felpa con su scritto Napoli sta all'acqua dell’ampolla riempita a Pian del Re?
«Sulla questione del partito nazionale dico che ci sarebbe una modalità per avere una presenza dell’idea federalista anche al Sud, ma questa deve però prevedere un forte imprinting autonomista e federalista. Resto convinto che la forza della Lega è sempre stata quella di essere fortemente radicata al Nord e poi contrattare con i partiti nazionali».
Quindi Maroni ha fatto bene a non ricandidarsi?
«Ha fatto una scelta che va rispettata e, magari, anche compresa. Di sbagliato c’è stata la reazione alla sua decisione. E poi non è che se uno non fa più il presidente della Lombardia, diventa un inabile alla politica. Maroni ha ancora molte cose da dire e da fare».
Magari anche lei.
«Io vivo un momento molto difficile. Sono stato messo all’angolo, ai margini, messo fuori».
Questo nonostante che dalle vicende giudiziarie sia uscito assolto, quindi la questione sta tutta dentro al movimento?
«È vero, dalle vicende giudiziarie sono uscito bene, così come sono usciti gli altri che erano componenti del gruppo della Lega. È stato affermato un principio: nessuno aveva commesso illeciti penali. Sono stato oggetto di una campagna mediatica e politica che era volta soprattutto a impedire il progetto che stavo realizzando. L’assoluzione ha dimostrato che è stata una campagna ingiusta, ma intanto…».
Intanto lei è fuori.
«Io sono un uomo che a 49 anni guarda al futuro, non mi volto indietro. 
Non sopporto le persone rancorose e quindi cerco di non esserlo, anche di fronte alle ingiustizie più cocenti che ritengo di aver subito».
"À la guerre comme à la guerre" direbbe, sia pure in altro contesto, il suo successore Sergio Chiamparino. 
Non dica che ha scoperto che la politica non è cosa assai diversa da quel sangue e merda come diceva, ai tempi della Prima Repubblica, Rino Formica?
«No. È che gli attacchi degli avversari politici ci stanno, certo senza arrivare a certi livelli, ma  ci stanno o comunque te li aspetti, gli altri no».
Cota, però qualcosa di non buono lei se lo aspettava, altrimenti perché al momento della vittoria alle elezioni, quel 29 marzo del 2010, tra un festeggiamento e l’altro a lei scappò detto: “ragazzi ci è capitata una grande sciagura”?
«Onestamente, mi ero prefigurato uno scenario molto difficile, avevo dentro come un sesto senso che mi ha accompagnato quasi fin dal primo giorno. 
Vedevo che c’era un ambiente e un sistema che non era pronto al cambiamento e magari anche una classe dirigente che in parte non era strutturata per gestire quel processo di riforme che io avevo in testa, ma anche un sistema non in grado di metabolizzarle quelle riforme, che poi sarebbero state invocate a gran voce».
Qualcosa non andava anche dentro alla Lega? Non tutti erano pronti a quella vittoria che giunse inattesa?
«Sì, anche all'interno della stessa Lega. 
Hanno fatto breccia le sirene di un sistema che ostacolava le riforme perché non erano loro a gestire il potere. 
Magari nella riforma sanitaria ci possono essere stati dei problemi sulle persone, io posso aver avuto dei limiti caratteriali, però tutto il lavoro fatto è stato importante. 
Lo era il progetto che stavo mettendo in campo: riforme che in buona parte sono state realizzate e per altra parte hanno contribuito ad evitare che la Regione finisse nel baratro, mettendola sulla strada giusta. 
So di aver governato abbastanza bene, non voglio enfatizzare, ma sono sicuro che questo me lo riconoscono anche i miei avversari politici. 
So che chi ha oggi responsabilità di governo sa che quei quattro anno non sono stati di malgoverno e che i progetti in larga parte erano giusti».
Però lei ruppe presto l’idillio con il suo gemello politico Massimo Giordano. 
Come andarono, davvero, le cose?
«All'inizio lui faceva l’amministratore locale a Novara, era supportato con tutto l’impegno facendo io all'epoca il parlamentare e il segretario politico. In quel periodo abbiamo fatto tante cose, c’era una sinergia e una specie di scudo politico che c’è quando si fa squadra. Poi io non sono più riuscito a capire il suo comportamento. Ho pensato che fosse dettato dal fatto che volesse usciere da Novara e così ho cercati di assecondarlo portandolo con me in Regione, ma da lì lui mi ha fatto una guerra sistematica che ancora oggi non capisco motivata da che cosa,  visto che eravamo due figure diverse: lui il lavoro che facevo io non era portato a farlo e viceversa, tant’è che non mi ha sostituito. Ma devo dire la verità, di quella guerra nei miei confronti non sono mai riuscito a capirne le ragioni».
Adesso di quella di Salvini e i suoi, il motivo l’avrà capito.
«Direi soprattutto che sono colpito. Essere messo fuori è una cosa che colpisce. Io mi sono strutturato abbastanza bene come persona, ho rispetto per chiunque, in questi anni mi sono costruito un profilo che non dipende dalla politica. Naturalmente all’inizio non è stato semplice, ma adesso lavoro con soddisfazione».
Però resta in politica.
«L’amore e la passione per la politica non riesci a toglierteli. È chiaro che guardo al futuro».
Intanto continua a battere sulla visione della grande area metropolitana con Milano, che ne pensa dell’apertura di Chiamparino all’autonomia? Il suo successore ha incontrato il presidente della Liguria Toti.
«Chiamparino ha tirato fuori l’autonomia dopo aver detto di no. Ma l’autonomia non è scattare una foto con Toti. Il tema è partire dalla grande metropoli del Nord. Non è che è sia sbagliato coinvolgere la Liguria, ma Torino deve avere la consapevolezza che è con Milano che deve partire, poi giusto pensare alla Liguria. Chiamparino ha preso la strada sbagliata, invece di andare a Milano è andato al mare».
Scusi la durezza, ma lei invece a Roma non ci andrà.
«Vero. Non solo la Lega non mi ha contattato per una candidatura, ma in un direttivo provinciale a Novara dove a Mauro Franzinelli che in buona fede e certo non telecomandato da nessuno ha avanzato la proposta di una mia candidatura, hanno detto di no. No perché io non sono allineato. Io non so in che cosa non sarei allineato. Perché  non sono salviniano?».
Non ha pensato che il suo nome, comunque potrebbe dar fastidio a qualcun altro pronto per andare in Parlamento, dove lei quando c’è stato ha fatto pure il capogruppo?
«Se è così, è una politica che mi lascia basito. Chi fa politica in questo modo, invece di costruire alla fine distrugge. Avrà il potere ma alla fine questo potere sarà effimero».
Quindi la Lega, dopo il durissimo scontro tra Salvini e Maroni che poi è lo specchio di due anime, due visioni e una divisione latente, pagherà un prezzo alle elezioni?
«Non so se lo pagherà adesso o dopo, a volte si paga subito a volte dopo. A mio avviso in politica ci deve essere spazio per poter coinvolgere tutte le persone che hanno qualcosa da dire, ci vuole obiettività, non farsi prendere da questioni personali dicendo che se stai in un gruppo vai bene, se stai in un altro non vai bene. Ciò che contano sono le idee. Almeno, dovrebbe essere così».
Comunque... non mi ritiro e guardo al futuro!!!

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