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mercoledì 9 aprile 2025

Un grido nel silenzio delle corsie!

Stasera affronto un tema che da tempo fa parte della cronaca quotidiana, ma che troppo spesso scivola via come una notizia tra tante, perdendosi nel rumore di fondo dell'indifferenza generale...

E difatti... nelle luci accecanti dei reparti, tra il ronzio dei monitor e l’odore asettico del disinfettante, si muovono ogni giorno uomini e donne che hanno scelto di farsi carico del dolore altrui, di asciugare lacrime, di lottare contro il tempo per strappare vite alla morte.

Sono loro i guardiani invisibili della nostra salute che, sempre più spesso, diventano bersagli di una rabbia cieca, incomprensibile, che esplode in minacce sussurrate con voce roca, in insulti urlati con il volto congestionato, in gesti violenti che lasciano lividi sulla pelle e segni più profondi nell’anima.

Le aggressioni arrivano senza preavviso, come temporali improvvisi in una giornata serena!

Un paziente deluso da un’attesa troppo lunga, un familiare sopraffatto dalla disperazione, qualcuno che ha perso il controllo e scarica la propria frustrazione su chi gli sta davanti, su chi indossa un camice è per questo motivo, diventa simbolo di un sistema imperfetto da colpire.

Eppure quelle mani che si alzano minacciose sono le stesse che poco prima stringevano quelle degli operatori sanitari in un muto appello di aiuto.

I danni materiali si contano in vetri infranti, attrezzature vandalizzate, porte sfondate, ma il vero costo è quello invisibile!

Già... lo sguardo sfuggente di un infermiere che ora esita prima di avvicinarsi a un letto, la voce tremula di una dottoressa che deve spiegare per l’ennesima volta che no, non può fare miracoli, il volontario che si chiede se valga ancora la pena donare il proprio tempo in un luogo dove la gratitudine sembra essersi estinta...

D'altronde, mancano leggi adeguate a proteggerli, mancano protocolli chiari, manca persino la consapevolezza che questa violenza non è un rischio del mestiere ma un’ingiustizia inaccettabile, ed ancora, serve più vigilanza nei corridoi, ma ancor più serve ascolto, maggior dialogo, più umanità.

Intanto vorrei dire che servono norme stringenti da parte della politica, affinché si riconosca la dignità di chi cura e la sacralità di qui luoghi.

Perché quando un operatore sanitario viene aggredito, non è solo la sua persona a essere ferita, già... è l’intera società a perdere un pezzo della propria civiltà; in quel preciso momento, mentre qualcuno cerca di medicare le proprie ferite nell’infermeria del personale, fuori c'è un paziente che aspetta invano quel medico, quell’infermiere, quell’angelo in camice che in quel momento non può più prendersi cura di lui.

La violenza non è la risposta! Viceversa, la risposta è ricordare che dietro ogni divisa c’è un cuore che batte, dietro ogni protocollo c’è una vita dedicata agli altri, e che nessuna sofferenza giustifica l’offesa a chi soffre con noi e per noi.

È tempo quindi di salvaguardare quella professionalità, fare in modo che i nostri giovani non abbiano timore a dirigersi verso quel mondo del lavoro, perché dietro ogni camice c’è una storia, un nobile sentimento che non può e non deve diventare bersaglio d'individui che non hanno alcun rispetto per sé, figuriamoci per la società che li ospita.

E quindi, mentre fuori, in quel corridoio troppo luminoso, un paziente aspetta invano un medico che in quel momento non può raggiungerlo – perché sta medicando le proprie ferite, quelle dell’anima più che quelle del corpo – forse dovremmo tutti iniziare a chiedersi su quanto ahimè sta quotidianamente avvenendo.

Bisogna comprendere che ogni aggressione, ogni insulto, ogni gesto violento, non è solo un atto contro una persona, ma un tradimento della nostra umanità. Già... quando colpiamo chi ci tende la mano, quando feriamo chi ci cura, rinneghiamo ciò che ci rende civili!

Non bisogna mai dimenticare che in quei luoghi c'è chi ha rinunciato a cenare con la propria famiglia per assistere la nostra, chi ha pianto in silenzio dopo aver perso un paziente, eppure, si è asciugato le lacrime per affrontare il turno successivo, chi ha scelto di stare accanto al dolore altrui, anche quando nessuno starà accanto al suo.

Ecco perché è fondamentale guardarli sempre negli occhi, riconoscerli per ciò che sono: non eroi, non santi, ma semplicemente esseri umani che hanno scelto di prenderci cura, individui che meritano certamente di essere protetti.

Sì... perché un giorno, quel paziente in attesa, potremmo essere noi, e in quel momento, spereremo che chi indossa il camice non abbia paura di avvicinarsi al nostro letto.

È tempo quindi di cambiare, già... prima che sia troppo tardi.

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