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lunedì 28 aprile 2025

Un ponte di pace in un mondo diviso: l’ultimo dono di Papa Francesco?

È possibile che la pace nasca proprio nel dolore? 

Che due leader, separati da interessi opposti e da anni di tensioni, possano trovare un barlume di dialogo davanti alla bara di un uomo che ha dedicato la sua vita a costruire ponti?

Oggi, mentre il mondo piange Papa Francesco , ci troviamo di fronte a un evento che sembra uscito da un racconto simbolico, quasi troppo bello per essere vero. 

Durante i solenni funerali del Pontefice, due figure apparentemente inconciliabili – Donald Trump e Volodymyr Zelens'kyi – si sono parlati nuovamente...

Non sappiamo cosa si siano detti, ma quel successivo gesto, già... quella stretta di mano, quelle parole sussurrate in un momento di raccoglimento, hanno spezzato forse quel muro di silenzio che si era - ahimè - alzato,  durante l'ultimo incontro alla "Casa Bianca".

Quindici minuti, poche parole scambiate in un angolo discreto della Basilica, lontano dai riflettori, eppure, quel breve incontro ha acceso una flebile luce sul percorso verso la pace in Ucraina.

Un dialogo nato nel dolore, certo, ma capace di trasformarsi in un seme di riconciliazione, proprio come avrebbe voluto Francesco.

Possiamo definirlo l’ultimo miracolo del Papa?

Sappiamo quanto la scomparsa di Francesco ha lasciato un vuoto immenso, non solo nella Chiesa cattolica, ma in tutto il mondo. Era un uomo che parlava a tutti, credenti e non credenti, con una voce che superava le barriere politiche, culturali e religiose. Il suo messaggio era chiaro: il dialogo è l’unica via per risolvere i conflitti. E ora, persino nella morte, sembra aver compiuto un ultimo, silenzioso miracolo.

In quel luogo sacro, davanti alla bara del Santo Padre, due leader divisi dalla guerra – Trump, simbolo dell’America più assertiva, e Zelensky, volto della resistenza ucraina – si sono ritrovati fianco a fianco. Non erano lì per negoziare o per fare dichiarazioni pubbliche. Erano lì per onorare un uomo di pace. Ma qualcosa, in quel momento di raccoglimento, ha spinto entrambi a parlare.

Non sappiamo cosa si siano detti. Forse hanno ricordato le parole di Francesco: “La guerra è sempre una sconfitta per l’umanità.” Forse hanno riconosciuto, almeno per un istante, che la sofferenza umana va oltre le bandiere e gli interessi nazionali. O forse, semplicemente, si sono resi conto che il silenzio reciproco non fa che alimentare il fuoco del conflitto.

Quella stretta di mano, quelle parole quasi sussurrate, hanno spezzato un muro di silenzio che sembrava invalicabile. Un gesto piccolo, ma carico di significato.

Ovviamente nessuno si illuda che la guerra finirà domani. Le ostilità continueranno in quanto le posizioni restano ancora troppo lontane, e la strada verso la pace è lunga e piena di ostacoli. Ma oggi, almeno, qualcosa è cambiato...

Quando due Capi di Stato si siedono allo stesso tavolo – anche solo per onorare un uomo di pace – riconoscono una verità più grande delle loro divisioni politiche: il dialogo non è debolezza, ma coraggio.

Francesco lo sapeva bene. Lui, che aveva incontrato leader di ogni fazione, che aveva abbracciato vittime e carnefici, che aveva pregato per chi combatte e per chi subisce la guerra. Lui, che aveva definito la pace come “un lavoro artigianale”, qualcosa che si costruisce giorno per giorno, con pazienza e tenacia.

Oggi, forse, quel lavoro artigianale ha trovato una nuova voce. Una voce che potrebbe portare a un tavolo negoziale, a un cessate il fuoco, a un accordo che metta fine alle sofferenze di milioni di persone.

Ed allora come possiamo immaginare di giungere ad una pace? Immaginiamo un futuro in cui la Russia e l’Ucraina, grazie a mediazioni internazionali e al sostegno di leader come il Presidente degli Usa, riescano a trovare un terreno comune. Un futuro in cui le armi tacciono e le città distrutte vengono ricostruite. Un futuro in cui le famiglie separate dalla guerra possano riabbracciarsi, e i bambini possano crescere senza il rumore delle bombe.

Ma perché questo accada, serve un impegno collettivo. Serve che i leader mondiali smettano di vedere la guerra come uno strumento di potere e inizino a considerarla per quello che è: una tragedia umana. Serve che i cittadini di ogni Paese chiedano ai propri governi di scegliere la pace invece della violenza.

Forse, l’incontro tra Trump e Zelensky è solo un primo passo. Un passo piccolo, certo, ma significativo, un passo che può aprire la strada a nuovi colloqui, a nuove mediazioni, a nuove opportunità di dialogo.

Francesco ci ha lasciato un’eredità potente: l’arte di costruire ponti laddove sembra impossibile. 

Oggi, mentre il mondo piange il Papa, forse piange anche l’inizio di una nuova possibilità. Quella stessa possibilità che lui ha sempre cercato, fino all’ultimo respiro.

E tu, cosa ne pensi? Credi che questo incontro possa rappresentare un punto di svolta? Oppure è solo un momento passeggero, destinato a svanire nel tempo? Parliamone nei commenti. Perché la pace non è solo una questione di leader o governi. È una questione di tutti noi.

Francesco lo sapeva: il dialogo non è debolezza, ma coraggio!

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