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giovedì 21 novembre 2019

Antimafia: come si evita la retorica?

Permettetemi di condividere una toccante lettera della Sig.ra Deborah Cartisano...
E' la figlia di Adolfo Cartisano, un fotografo che il 22 luglio 1993 a Bovalino - un piccolo paese sulla costa ionica calabrese - venne sequestrato mentre si trovava in auto con la moglie...
Alcuni uomini li fermarono, Mimma (la moglie) venne stordita e abbandonata, mentre il marito fu portato via e nonostante il pagamento di un riscatto, non venne mai riconsegnato alla famiglia. 
Di lui non si seppe più nulla e solo dieci anni dopo, grazie alla lettera anonima di un carceriere che si dichiarava pentito e implorava il perdono della famiglia, fu trovato il corpo... 
Da allora Deborah è impegnata nelle lotta alle mafie nella sua "locride", attraverso l'Associazione di legalità "Libera", diretta da don Luigi Ciotti.
Eccovi raccontata dalle parole di Deborah quella tragica storia: 
“Mio padre, ha avuto per tanti anni uno studio fotografico a Bovalino. Negli anni Ottanta ci hanno chiesto il pizzo, lui si è rifiutato di pagare e ha anche denunciato. Dopo qualche anno, il 22 luglio del 1993, è stato rapito e non è più tornato. Per dieci anni abbiamo aspettato il suo rientro, perché avevamo anche pagato un riscatto, ma per moltissimo tempo non abbiamo più saputo niente. Finché il suo carceriere, la persona che gli portava da mangiare, ci ha scritto una lettera anonima in cui ci faceva sapere dove era stato sepolto e ci chiedeva perdono… Era una lettera incredibile. Si pentiva. Parlava del fatto che lui voleva poter guardare in faccia i suoi figli. Diceva di non volere per loro il suo stesso destino. E ci chiedeva perdono”. 
Lei perdonò l’assassino di suo padre?
“Non proprio. Io gli scrissi, perché lui mi aveva chiesto una risposta. Gli scrissi che ci avrei provato, avrei provato ad aprirmi a questa possibilità. Allo stesso tempo gli dicevo che avevo apprezzato tantissimo il suo gesto e l’avevo ritenuto un dono prezioso, tanto voluto quanto inaspettato”.
In quegli anni per suo padre e la sua famiglia denunciare il pizzo, mettersi contro la ‘ndrangheta era una scelta difficile…
“Sì, era una scelta molto coraggiosa, non c’era una sensibilità antimafia forte come adesso. Quelli che denunciavano erano in pochissimi ed erano spesso da soli. Per fortuna mio padre incappò anche in alcune persone che stavano dalla parte giusta, a partire dalle forze dell’ordine che lo incoraggiarono e supportarono. Io avevo soltanto 12 anni ma mio padre mi raccontò tutto. E questo per me è stato molto importante perché è stato il bellissimo messaggio che mi ha lasciato. L’esempio”!!!
L’assassinio di suo padre come cambiò la sua vita?
“Innanzitutto fu un grande choc lo stesso sequestro, perché non ci aspettavamo di essere presi di mira dall'anonima sequestri. 
L’ndrangheta la conoscevo già, essendo io calabrese, ma certo non mi aspettavo di diventare protagonista così. Ero giovane, avevo vent'anni quando mio padre venne rapito. 
Sicuramente la mia fu una crescita veloce, ma con quell'esempio in mente, ho agito in maniera consona a quell'esempio. Tante famiglie di sequestrati sceglievano di stare in silenzio, di non mettersi troppo contro la ‘ndrangheta. Invece noi, memori di quello che era stato il comportamento di mio padre, abbiamo deciso che saremmo scesi in piazza, che avremmo cercato di sensibilizzare il più possibile le persone. E questo ci ha resi un po’ diversi, un po’ scomodi in alcuni momenti, ma tanta gente ha capito, ci ha seguito. E adesso, dopo oltre vent'anni, stiamo raccogliendo ancora una forte partecipazione”.
Per lei cosa rappresenta la Giornata di oggi a Locri?
“Rappresenta una tappa di un cammino, non un traguardo. E rappresenta un momento in cui tutta la società civile è accanto a noi familiari. Ci sentiamo sicuramente meno soli da molto tempo a questa parte. Per noi è importante perché non sono lutti privati, ma sono di tutta la società civile. Quel coraggio, quell'essersi messi contro erano per il bene di tutti, per il bene delle nostre comunità, e quindi è giusto che le comunità rispondano a questa giornata. E’ un momento di rinascita. Non a caso è stato scelto il 21 marzo, primo giorno di primavera. Noi vogliamo ricordare soprattutto la loro vita, non la loro morte. Quello che hanno fatto nella loro vita lo vogliamo portare con noi tutti i giorni, e quei nomi scriverli nelle nostre coscienze”.
Spesso il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, ha detto: “Attenzione, il 21 marzo non deve essere una giornata di retorica”. 
Come si evita la retorica?
“Impegnandosi tutti ogni giorno. La retorica della memoria purtroppo sta accadendo. Ma queste persone non sono morte affinché venissero scritte in un elenco. Sono morte perché si sono occupate del bene civile, quindi noi dobbiamo raccogliere quel testimone, con il nostro esempio, con le nostre scelte, con il nostro coraggio. E’ così che li ricordiamo in realtà. Quando facciamo la nostra parte li ricordiamo, più di ogni commemorazione”.
Mi scuso se non pubblico il link dalla quale è stata ripresa l'intervista, ma la copia della missiva - per come l'avete letta - mi è stata trasmessa da un'amica a mezzo "whatsapp" e non vi era purtroppo la fonte di provenienza: se qualcuno di voi lettori dovesse venirne a conoscenza, prego d'informarmi affinché provveda immediatamente ad inserirne il nome dell'autore e/o della testata web... 

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