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giovedì 6 aprile 2017

La Giustizia non ha bisogno di spiegazioni: iustum est iustum!!!

Non può gridare contro l'ingiustizia... chi non sa che cosa sia la giustizia!!!
Difatti... in base a che cosa condanna l'ingiustizia???
Come fa a comprendere che una cosa è ingiusta, se non si conosce che cosa sia giusto...
E' se per caso fosse giusto proprio ciò che definiamo ingiusto???
D'altronde non è così??? Si grida ad alta voce... è ingiusto!!!
Lo si grida come se la cosa fosse evidente, ritenendola ingiusta in rapporto ad una certa norma di giustizia sulla quale si è misurato ciò che si riteneva errato e, vedendo che qualcosa non corrisponda alla norma che si era ritenuta retta, ora la condanniamo, come degli esperti che sanno distinguere il giusto... dall'ingiusto!!!
Ed allora vi chiedo: " come si fa a sapere che una cosa è giusta? Da dove deriva questo concetto di giustizia??? Ha forse una sua fonte oppure deriva da noi stessi quel concetto di giusto... operando su noi stessi quel concetto di giustizia???  
Nessuno può dare a se stesso ciò che non ha... dunque essendo noi uomini ingiusti, non potremmo mai essere giusti se non convertendoci a quella "giustizia" che per sua natura è permanente: se ti allontani da essa, sei ingiusto; se ti avvicini ad essa, sei giusto"...
Se ci si allontana... non viene meno; se sei vicino... non cresce!!!  Dov'è quindi questa giustizia???
C'è un esempio bellissimo che descrive quel senso d'ingiustizia... quel profondo sbigottimento che si prova quando si prova a chiedere aiuto alla giustizia e non si riceve alcun sostegno... anzi tutt'altro e a raccontarcelo è proprio un famoso libro che da bambini abbiamo letto, ma del quale abbiamo dimostrato crescendo... d'esserci dimenticati o certamente ne abbiamo scordato alcuni passi...
Non voglio dirvi subito il titolo, lo comprendere immediatamente: "andò proprio su quella piccola buca, dove aveva sotterrato i suoi zecchini, e nulla...
Allora diventò pensieroso e, dimenticando le regole del Galateo e della buona creanza, tirò fuori una mano di tasca e si dette una lunghissima grattatina di capo...
In quel mentre sentì fischiarsi negli orecchi una gran risata: voltatosi in su, vide sopra un albero un
grosso Pappagallo che si spollinava le poche penne che aveva addosso.
Perché ridi? gli domandò con voce di bizza...
Rido, perché nello spollinarmi mi sono fatto il solletico sotto le ali...
Il burattino non rispose. Andò alla gora e riempita d’acqua la solita ciabatta, si pose novamente ad
annaffiare la terra, che ricopriva le monete d’oro.
Quand'ecco che un’altra risata, anche più impertinente della prima, si fece sentire nella solitudine
silenziosa di quel campo.
Insomma... gridò Pinocchio, arrabbiandosi, si può sapere, Pappagallo mal educato, di che cosa ridi?
Rido di quei barbagianni, che credono a tutte le scioccherie e che si lasciano trappolare da chi è più furbo di loro.
Parli forse di me?
Sì, parlo di te, povero Pinocchio; di te che sei così dolce di sale da credere che i denari si possano seminare e raccogliere nei campi, come si seminano i fagiuoli e le zucche. Anch'io l’ho creduto una volta, e oggi ne porto le pene... 
Oggi (ma troppo tardi...) mi son dovuto persuadere che per mettere insieme onestamente pochi soldi bisogna saperseli guadagnare o col lavoro delle proprie mani o coll'ingegno della propria testa.
Non ti capisco, disse il burattino, che già cominciava a tremare dalla paura.
Pazienza! Mi spiegherò meglio, soggiunse il Pappagallo... 
Sappi dunque che, mentre tu eri in città, la Volpe e il Gatto sono tornati in questo campo: hanno preso le monete d’oro sotterrate, e poi sono fuggiti come il vento. E ora chi li raggiunge, è bravo! 
Pinocchio restò a bocca aperta, e non volendo credere alle parole del Pappagallo, cominciò colle mani e colle unghie a scavare il terreno che aveva annaffiato. E scava, scava, scava, fece una buca così profonda, che ci sarebbe entrato per ritto un pagliaio: ma le monete non c’erano più...
Preso allora dalla disperazione, tornò di corsa in città e andò difilato in tribunale, per denunziare al
giudice i due malandrini, che lo avevano derubato.
Il giudice era uno scimmione della razza dei Gorilla: un vecchio scimmione rispettabile per la sua grave età, per la sua barba bianca e specialmente per i suoi occhiali d’oro, senza vetri, che era costretto a portare continuamente, a motivo d’una flussione d’occhi, che lo tormentava da parecchi anni. 
Pinocchio, alla presenza del giudice, raccontò per filo e per segno l’iniqua frode, di cui era stato vittima; dette il nome, il cognome e i connotati dei malandrini, e finì chiedendo giustizia!!!
Il giudice lo ascoltò con molta benignità; prese vivissima parte al racconto: s’intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello.
A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da giandarmi...
Allora il giudice, accennando Pinocchio ai giandarmi, disse loro:
Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque, e mettetelo subito in prigione.
Il burattino, sentendosi dare questa sentenza fra capo e collo, rimase di princisbecco e voleva  protestare: ma i giandarmi, a scanso di perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero in
gattabuia...
E lì v'ebbe a rimanere quattro mesi: quattro lunghissimi mesi: e vi sarebbe rimasto anche di più se non si fosse dato un caso fortunatissimo. 
Perché bisogna sapere che il giovane Imperatore che regnava nella città di Acchiappa-citrulli, avendo riportato una bella vittoria contro i suoi nemici, ordinò grandi feste pubbliche, luminarie, fuochi artificiali, corse di barberi e di velocipedi, e in segno di maggiore esultanza, volle che fossero aperte anche le carceri e mandati fuori tutti i malandrini.
Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch'io... disse Pinocchio al carceriere.
Voi no, rispose il carceriere, perché voi non siete del bel numero...
Domando scusa; replicò Pinocchio... sono un malandrino anch'io...
In questo caso avete mille ragioni, disse il carceriere... e levandosi il berretto rispettosamente e
salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare...
Ecco, sarebbe bastato ricordarsi questa parte del capitolo, per comprendere come crescendo sarebbe potuta essere la nostra vita, a seconda delle scelte che avremmo compiuto...
Se essere dei furbi "barbagianni" pronti a rubare al prossimo o viceversa, delle persone oneste, talvolta ingenui, ma capaci di ricercare la verità... superando ogni sorta d'ingiustizia...
Concludo con una frese di Gesù: Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso tra gli uomini, è abominevole davanti a Dio.
 Vangelo di Luca c. 16, v. 15

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